Nel discorso per il 120° Anniversario della nascita di Mao
Il rinnegato Xi Jinping “recupera” Mao per coprire la Cina imperialista
Siti della sinistra cinese: “chiudere con la politica di riforma e apertura”

 
L'editoriale “Studiamo e applichiamo le opere di Mao per tenere fuori dal PMLI il revisionismo e il riformismo” sul numero scorso de Il Bolscevico denunciava che la cricca a capo del Partito comunista cinese, oggi un partito revisionista e fascista, ha visto nel 120° anniversario della nascita di Mao (26 dicembre) un'occasione per riscoprirlo opportunisticamente e rifarsi la faccia agli occhi delle masse oppresse e sfruttate della Cina.
In effetti, con l'avvicinarsi dell'anniversario, in Cina sono state organizzate conferenze, pubblicati un libro e serie televisive sulla sua vita, scritti articoli di approfondimento su di lui, persino sono state ripulite le sue statue e restaurato il suo mausoleo a Pechino.
Lo scopo palese dei rinnegati revisionisti cinesi è quello di mettere a punto un cambio di strategia, identificando in Mao non più il tiranno sanguinario responsabile “delle più pesanti perdite subite dalla Cina” (così lo tacciò Deng Xiaoping), bensì il precursore del “socialismo con caratteristiche cinesi” (leggi capitalismo) e del “sogno cinese del rinnovamento nazionale”, lo slogan lanciato nel 2012 dietro cui la superpotenza socialimperialista cinese punta a inaugurare una nuova fase caratterizzata dallo sdoganamento totale del libero mercato, proclamato “elemento decisivo” dell'economia dal terzo plenum del Comitato centrale del PCC svoltosi a novembre (cfr. Il Bolscevico n. 43/2013). Accanto ad una ancora più massiccia presenza sullo scacchiere internazionale, che attualmente vede la Cina ai ferri corti con l'imperialismo USA e giapponese per l'egemonia sul Pacifico.
 

Il discorso di Xi Jinping
Il piatto forte di questa operazione antistorica revisionista è il discorso tenuto da Xi Jinping, segretario generale del CC del PCC revisionista e presidente della Repubblica, al simposio commemorativo del 26 dicembre a Pechino.
In questo discorso, annacquato qua e là da frasi di lode per il “grande marxista e grande rivoluzionario, stratega e teorico proletario”, Xi ha completamente stravolto il grande contributo di Mao alla causa del socialismo, sostenendo che con la sua epocale opera rivoluzionaria questo grande maestro del proletariato avrebbe “prodotto l'esperienza e posto le condizioni perché noi potessimo intraprendere la strada del socialismo con caratteristiche cinesi”. Il discorso è una sequela di assurdità e falsità, come quando vi si dice che “tutto il lavoro svolto dal 18° Congresso del Partito” (novembre 2012) ha “avanzato e sviluppato al meglio” la causa “del primo gruppo dirigente centrale del Partito diretto dal compagno Mao Zedong”, fino ad affermare clamorosamente: “Oggi possiamo rassicurare il compagno Mao Zedong e gli altri rivoluzionari anziani che, sulla base della costruzione del socialismo da parte del Partito e del popolo da essi guidati, la politica di riforma e apertura e la modernizzazione della Cina hanno conseguito risultati epocali e che ora siamo più vicini che mai nella storia alla realizzazione dell'obiettivo del grande rinnovamento della nazione cinese”.
Lo scopo è evidentemente quello di colmare l'abisso fra la fiorente epoca socialista di Mao, dove la classe operaia dirigeva tutto, e l'attuale dominio capitalista fondato sullo sfruttamento feroce e selvaggio della classe operaia e dei lavoratori e sull'oppressione dei popoli nella maglia del sempre più accanito imperialismo cinese. Nella stessa strategia rientra la campagna anticorruzione lanciata da Xi per lavare l'immagine del PCC, dopo decenni di corruzione sbracata che ha provocato il disgusto del popolo cinese, senza però cambiare la linea revisionista e anzi offrendo un'ottima occasione per regolare i conti fra le consorterie di palazzo, favorendo al contempo una sempre più accentuata personalizzazione del potere in Xi, presentato dalla propaganda come affabile “uomo del popolo” (nascondendo convenientemente le sue enormi ricchezze). Lo stesso presidente cinese ha dovuto ammettere che “il problema principale interno al Partito” è costituito dalla “insoddisfazione delle masse popolari”.
Eppure, puntualmente, l'asino casca sulla Grande Rivoluzione Culturale Proletaria (GRCP), condotta da Mao fra il 1966 e il 1976 per smascherare e sconfiggere i dirigenti avviatisi sulla via capitalista. Non a caso Xi riafferma che Mao “negli ultimi anni della sua vita commise gravi errori, la 'rivoluzione culturale' prima di tutti”. E non potrebbe essere diversamente, dato che l'attuale dirigenza è filiazione diretta dei vecchi revisionisti ai quali la GRCP ha impedito per dieci anni ciò che a Deng Xiaoping è riuscito nel 1978, ossia riportare la borghesia al potere.
Insomma, tutta l'operazione fraudolenta si auto-smaschera come tentativo di recuperare la figura di Mao solo come guscio vuoto, continuando a rinnegarne il pensiero e gli insegnamenti. Come precisa categorico lo stesso Xi: “Senza riforma e apertura, non ci sarebbe il presente della Cina; se ci allontanassimo dalla riforma e apertura, non ci sarebbe il domani della Cina”. In altre parole: la restaurazione del capitalismo non è in discussione.
La verità è che il PCC ha rinnegato da tempo il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e il socialismo, ha restaurato il capitalismo dietro la facciata del “socialismo di mercato” e rappresenta ora la garanzia del potere della nuova e vecchia borghesia, dei burocrati corrotti e arricchiti, dei nuovi contadini ricchi. Ogni tentativo di sfruttare Mao per giustificare la Cina capitalista e la sua corsa a superpotenza è quindi inutile. Mao stesso, prevedendo questa possibilità, già nel 1966 con grande lungimiranza aveva scritto: “Qualora in Cina dovesse avere luogo un colpo di Stato anticomunista, sono sicuro che non sarà una cosa pacifica e che avrà vita breve, perché i rivoluzionari, che rappresentano gli interessi di più del 90% della popolazione, difficilmente lo potranno tollerare. La destra potrà anche usare queste mie parole per prendere il potere e tenerlo per un po', ma la sinistra sicuramente sfrutterà le altre mie parole per organizzarsi e rovesciare la destra” .
 

Prese di posizione della sinistra cinese
Di tutt'altro tenore rispetto alle “celebrazioni” ufficiali la sincerità e l'emozione con cui il popolo cinese ha partecipato alle commemorazioni, portando fiori alle statue di Mao e partecipando ad iniziative commemorative, fra cui una camminata sulla strada di 5 chilometri percorsa per raggiungere i monti Jinggang, dai quali Mao avviò la rivoluzione a capo dell'Esercito Rosso. Si ha notizia di commemorazioni spontanee a Shaoshan, suo villaggio natale, e viaggi a Yan'an, quartier generale del PCC dopo la Lunga Marcia.
A differenza di certi elementi ambigui della cosiddetta “nuova sinistra” (composta perlopiù da universitari e funzionari a favore del rafforzamento dell'economia pubblica), caduti come pere cotte nella trappola del partito revisionista, numerosi siti della sinistra cinese hanno pubblicato importanti e incoraggianti articoli commemorativi, nei quali hanno anche criticato esplicitamente il PCC, venendo rimbeccati dal Global Times , costola del Quotidiano del popolo , come “ultrasinistri”.
È il caso di “Dongfanghong” (L'Oriente è rosso) che ha definito il suddetto terzo plenum del CC del PCC una “fase nuova e più intensa” della “lotta della borghesia contro la classe operaia”, o di “Maoflag” (Bandiera di Mao) che ha attaccato il “sogno cinese” come “antimaoista, anticomunista e antipopolare”, fino a “Redchina” (Cina Rossa) che ha scritto: “Per salvare l'economia cinese bisogna chiudere con la politica di riforma e apertura”.

8 gennaio 2014