Il 9 gennaio 1950 furono 6 gli operai uccisi e centinaia i feriti dalle “forze dell'ordine” del criminale DC Scelba
Onore ai sei martiri dell'eccidio di Modena
Un incancellabile crimine della borghesia

di Stefano (Modena)
In questi giorni cade l'anniversario della cosiddetta “Strage delle Fonderie”, uno dei fatti più neri dal dopoguerra per le masse lavoratrici italiane e per il movimento operaio. Il 9 gennaio 1950, a Modena, sei operai furono trucidati a sangue freddo dalla polizia del fascista Scelba, e con la benedizione di tutto il governo democristiano di De Gasperi. La dinamica dei fatti e, soprattutto la natura della vertenza alla loro origine, presenta inquietanti similitudini e non pochi parallelismi con le attuali lotte di fabbrica nella grande industria italiana. Questa tragica verità, oltre alla necessità di tenere viva la lotta di classe, impone a tutti noi di non dimenticare quanto successe in quel freddo mattino di gennaio di sessantaquattro anni fa.
Questi i fatti. Dopo una serie di vertenze fallite con il sindacato che chiedeva condizioni di lavoro più umane (peraltro garantite – sulla carta – dalla Costituzione repubblicana entrate in vigore approvata solo due anni prima), il padrone e “signore” delle Fonderie Riunite – il conte Adolfo Orsi - dichiara la serrata il 5 dicembre 1949. Il piano di Orsi, che si è arricchito con la produzione di armamenti durante il ventennio fascista e che del fascismo fu sempre un fervente sostenitore, è quello di licenziare i 560 operai che lavorano nello stabilimento, per poi riassumerne solo 200 e sostituire i “non graditi” con nuovi assunti. L'obiettivo dell'epurazione sono gli operai comunisti o iscritti alla CGIL. Alla riapertura degli impianti – prevista per il 9 gennaio - Orsi punta quindi a de-sindacalizzare completamente le Fonderie ed a riaffermare il proprio potere assoluto non solo sulla proprietà della fabbrica, ma anche sulle stesse vite e sul lavoro degli operai.
Nei giorni precedenti la riapertura delle Fonderia il ministro dell'interno, il democristiano fascista Mario Scelba, su richiesta di Orsi e con la velata connivenza delle autorità cittadine, invia rinforzi della celere da tutta la regione per presidiare la fabbrica e reagire militarmente ad ogni azione da parte del sindacato e degli operai, anche al fine di prevenire un'eventuale occupazione degli impianti.
In occasione della data dell'annunciata riapertura la Camera del lavoro e il movimento operaio modenese organizzarono una grande manifestazione di protesta che dalla periferia aveva l'obiettivo di convergere verso le Fonderie e pretendere dal padrone fascista Orsi la riassunzione di tutti gli operai oltre all'ingresso del sindacato in fabbrica.
Tra le 10 e le 11 il corteo giunse in vista delle Fonderie. All'avvicinarsi degli operai la polizia e i carabinieri di Scelba e del governo democristiano appostati sui tetti dell'impianto, oltre che intorno al suo perimetro, cominciano a sparare sulla folla che fino a quel momento non aveva reagito alle provocazioni e si era mantenuta compatta e determinata, ma non violenta. Gli agenti della celere – molti dei quali reclutati tra i picchiatori del regime mussoliniano – sparano in poche ore almeno 200 colpi. Nelle prime ore della manifestazione tre operai vengono uccisi, in quello che le cronache dell'epoca descriveranno come un tiro al piccione. Il primo ad essere trucidato è Arturo Chiappelli, di 43 anni, ucciso da un cecchino appostato sui tetti mentre si dirigeva ai lati del corteo per evitare il fumo dei lacrimogeni. Poco dopo è il turno di Angelo Appiani, ex partigiano di 36 anni, che viene freddato da un proiettile a bruciapelo. Roberto Rovatti, di 30 anni, che portava un cartello di protesta viene prima buttato in un fosso e pestato a sangue e poi finito con un colpo alla nuca. Mentre la folla di operai e delle proprie famiglie corre in ogni direzione per evitare i proiettili assassini firmati-conte-Orsi, altri tre operai restano uccisi nelle vicinanze delle Fonderie: Ennio Garagnani, Renzo Bersani, ed Arturo Malagoli, tutti di 21 anni. Alla fine della giornata gli operai trucidati saranno sei, mentre i feriti – che evitarono gli ospedali per paura dell'arresto - sono quasi duecento. L'11 gennaio le masse popolari modenesi si presentarono compatte ai funerali dei sei martiri e idealmente ne raccolsero la bandiera imbrattata di sangue.
Come nel caso della carneficina di Portella della Ginestra che inaugura questa stagione di stragi ai danni del movimento operaio, il governo neo-fascista democristiano di De Gasperi non spese una parola per gli operai trucidati e mentre i celerini di Scelba furono assolti “d'ufficio”, molti operai e sindacalisti furono inquisiti per numerosi reati di “turbativa dell'ordine pubblico”. Gli operai accusati sono finalmente assolti solo nel 1954. Nei giorni successivi la strage, a seguito di interrogazioni di deputati comunisti e socialisti, il governo non solo giustificò, ma supportò apertamente la violenza della celere e le “ragioni” del conte Orsi. In particolare il ministro Scelba affermò che i suoi uomini avevano risposto alle provocazioni dei facinorosi e avevano agito per garantire ordine e tranquillità.
A sessantaquattro anni di distanza Arturo Chiappelli, Angelo Appiani, Roberto Rovatti, Ennio Garagnani, Renzo Bersani e Arturo Malagoli ci ricordano che non bisogna mai abbassare la guardia e che è necessario tenere alta la bandiera della lotta di classe, ora più che mai quando l'attacco ai diritti basilari dei lavoratori è sempre più frontale e sempre più numerosi novelli conti Orsi, primo fra tutti l'infame Marchionne della FIAT, attuano la stessa strategia di de-sindacalizzazione di sessant'anni fa. I 560 operai licenziati nel 1950 ci ricordano che solo un paio di anni fa, a Pomigliano la dirigenza della FIAT ha attuato la stessa ricetta di Orsi, licenziando gli operai e praticando riassunzioni selettive, scartando gli operai “non graditi” iscritti alla FIOM.

8 gennaio 2014