Continuerà fino al 2017
Non è vero che è stato abolito il finanziamento pubblico ai partiti
Il decreto legge del governo Letta-Alfano toglie soldi allo Stato, consente allo Stato di ingerirsi nella vita interna dei partiti e di schedare i donatori, favorisce l'influenza dei capitalisti e dell'alta borghesia sui partiti
Il finanziamento dei partiti deve avvenire senza l'intermediazione dello Stato

“Avevamo detto che avremmo abolito il finanziamento pubblico entro l'anno e l'abbiamo fatto”, ha detto Enrico Letta il 13 dicembre presentando trionfalmente l'inaspettato decreto legge appena approvato dal Consiglio dei ministri. Una “sorpresona” approvata a tambur battente per bruciare sul tempo la “sorpresina” che il suo compare e rivale Matteo Renzi, fresco di vittoria alle primarie, avrebbe annunciato di lì a due giorni all'assemblea di Milano che lo ha incoronato nuovo segretario del PD.
La “sorpresona” consisterebbe nel fatto che questa sedicente abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, mascherato sotto forma di “rimborsi elettorali”, è stata fatta per decreto, e quindi entra in vigore subito, producendo i suoi effetti già dalla prima rata del 2014. Solo che è del tutto falso che questo provvedimento abbia abolito e da subito il finanziamento pubblico ai partiti: in realtà ha semplicemente abolito l'attuale sistema di finanziamento pubblico, per sostituirlo, non subito ma gradualmente in tre anni, con un altro del tutto equivalente ma ancor più ipocrita e truffaldino del vecchio.
Il decreto del governo Letta-Alfano, infatti, ha semplicemente riesumato il disegno di legge già approvato il 16 ottobre scorso alla Camera e che giaceva fermo da due mesi al Senato, il quale stabiliva in soldoni tre cose: 1) gli attuali “rimborsi elettorali” non cessano subito, ma diminuiscono gradualmente azzerandosi solo nel 2017; 2) contemporaneamente vengono rimpiazzati da un sistema basato su un contributo volontario del 2 per mille dell'Irpef, simile a quello dell'8 per mille per la chiesa, e su agevolazioni fiscali per le donazioni da privati e aziende; 3) il gettito finale ai partiti previsto col nuovo sistema non sarà molto inferiore, se non sarà addirittura uguale, al gettito attuale, pari complessivamente a 91 milioni l'anno. Come si può avere la faccia tosta di chiamare tutto ciò “abolizione del finanziamento pubblico ai partiti”?

Un'operazione demagogica e truffaldina
Il decreto-legge del governo ricalca in pieno questa logica truffaldina: esso taglia il fondo per i “rimborsi elettorali” ai partiti del 25 % l'anno a partire da quest'anno, fino al suo azzeramento solo nel 2017. Ma entra in vigore già da quest'anno anche la possibilità per i contribuenti di devolvere nella dichiarazione dei redditi il 2 per mille ad un partito prescelto. Partono subito anche le detrazioni fiscali super agevolate per le cosiddette donazioni liberali, che tra l'altro salgono dal 26% già previsto dall'ormai decaduto ddl a ben il 37%, per quelle da 30 euro fino a 20 mila euro da parte di privati (26% per le società), la fascia in cui si concentra statisticamente la maggioranza delle donazioni.
Per importi superiori la detrazione è del 26%, con limite fino a 70 mila euro per i privati e fino a 100 mila euro per le società. Se poi le donazioni vanno a finanziare scuole di partito o corsi di formazione politica, la detrazione dal reddito sale addirittura al 75% per un massimo di 750 euro annui (era del 52% fino a 500 euro nel vecchio ddl). I massimali annui assoluti per le donazioni sono di 300 mila euro per i privati e di 200 mila euro per le società. Se poi l'importo delle detrazioni per le elargizioni dovesse rivelarsi inferiore al previsto, nella fattispecie inferiore a 15,65 milioni, scatta un comma all'art. 11 della legge che aggiunge la differenza mancante al tetto di spesa per il 2 per mille, che da 45 milioni può arrivare quindi a circa 61 milioni.
Per accedere alle donazioni e alle agevolazioni fiscali i partiti dovranno iscriversi a un registro nazionale, dotarsi di uno statuto “democratico” e di bilanci certificati da una società esterna, nonché sottoporsi ad un'apposita Commissione di garanzia. Dovranno inoltre avere almeno un eletto in parlamento o in un Consiglio regionale, o aver presentato candidati in almeno tre circoscrizioni. Per accedere al 2 per mille ci vuole almeno un parlamentare eletto sotto il proprio simbolo di partito, vale a dire che ne potranno usufruire solo i partiti più grandi in grado di superare le soglie di sbarramento.
Per quanto i partiti borghesi piangano miseria e annuncino scenari disastrosi, paventando licenziamenti di personale e chiusura di sedi, se non addirittura la messa in liquidazione - tra questi in particolare SEL del narcisista liberale Vendola, che teme per i suoi 5 milioni di finanziamento pubblico e si oppone apertamente al provvedimento, parlando di “riforma iniqua” perché il finanziamento pubblico dei partiti “c'è in tutta Europa” - il governo ha ben calcolato i rischi, tanto che a regime il nuovo sistema non si dovrebbe discostare troppo dal vecchio in quanto a gettito complessivo: 72 milioni di euro l'anno contro i 91 attuali, soltanto 19 milioni in meno, cioè. A questa cifra si arriva sommando i 45,1 milioni di tetto massimo stabilito per il 2 per mille, i 15,65 milioni dalle detrazioni per donazioni e gli 11,25 milioni dal 2016 stanziati per la cassa integrazione straordinaria e i contratti di solidarietà per il personale in eccedenza dei partiti.

Finanziamento mascherato da contributo “volontario”
Complessivamente, in tutto il prossimo triennio, i partiti incasseranno 136,5 milioni dei vecchi “rimborsi elettorali” ridotti progressivamente, a cui vanno aggiunti però 98 milioni per compensare detrazioni e 2 per mille e quasi 35 milioni per gli ammortizzatori sociali: totale 269 milioni di euro, anziché 273 spettanti loro se fosse rimasto in vigore il vecchio sistema dei “rimborsi elettorali”. E l'hanno chiamata “soppressione immediata del finanziamento pubblico ai partiti”! La verità è che non solo non è immediata e diluita invece in tre anni, ma anche il contributo “volontario” del 2 per mille e le detrazioni fiscali per le donazioni sono in realtà una forma di finanziamento pubblico ai partiti, dal momento che quei soldi invece di andare allo Stato per finanziare la sanità, le scuole, i servizi sociali ecc., vanno a finire con un volgare gioco di bussolotti sempre e comunque nelle casse insaziabili dei partiti borghesi.
Ma ci sono anche altri aspetti di questo decreto che in fatto di gravità e pericolosità vanno addirittura oltre il sistema in vigore finora. Uno dei quali è che offre allo Stato la facoltà di ingerirsi nella vita interna dei partiti, stabilendo su di loro un diretto controllo politico-fiscale attraverso il registro nazionale, la Commissione di garanzia, i controlli sugli statuti e i bilanci ecc., nonché nella vita privata dei cittadini attraverso la vera e propria schedatura delle adesioni e simpatie politiche rappresentata dal contributo del 2 per mille indicato nella dichiarazione dei redditi. Schedatura che potrebbe essere sfruttata anche dalle aziende per discriminare politicamente i lavoratori, specie se questi ultimi utilizzassero i Caf aziendali.

Uno strumento per controllare i partiti
Inoltre le donazioni ai partiti, sia da parte di privati che di società, con i loro tetti molto alti e per giunta premiate anche dalle detrazioni fiscali a spese della collettività, rappresentano un formidabile strumento in mano ai capitalisti e all'alta borghesia per finanziare e controllare i propri partiti e le proprie cosche parlamentari di riferimento, ottenendone per giunta cospicui vantaggi fiscali. Che tra l'altro sono in molti casi di gran lunga superiori, anche del doppio (37% contro 19%), rispetto a quelli consentiti per le donazioni ad enti benefici, università, centri di ricerca ecc, ciò che rappresenta un paradosso intollerabile che sposta ulteriori risorse da opere di utilità collettiva e sociale alla corruzione politica.
É vero che finora non c'erano tetti alle donazioni, ed è per questo che Forza Italia accusa questo provvedimento di essere una legge “contra personam”, contro cioè Berlusconi, che in teoria potrebbe finanziare il suo partito solo per un massimo di 300 mila euro, e ciò vale anche per le fideiussioni bancarie. Ma in realtà le scappatoie ci sono: una è che le eccedenze al tetto non vengono cancellate, ma riportate a scalare da quelle degli anni successivi. Cosicché, per esempio, nessuno potrebbe impedire al neoduce di pompare una valanga di soldi su Forza Italia nel 2014, per vincere le elezioni europee e le probabili elezioni politiche anticipate.
L'altra è rappresentata dal fatto che dal tetto sono escluse le “fideiussioni o altre tipologie di garanzia reale o personale concessa prima dell'entrata in vigore del decreto”. Il neoduce può cioè continuare a garantire i prestiti bancari milionari di cui gode da sempre il suo partito. Regole e controlli non si applicano poi alle fondazioni i cui organi direttivi non siano direttamente “determinati in tutto o in parte” dai partiti, e anche questa è una porta lasciata aperta dal governo per aggirare i tetti alle donazioni.
Questa “abolizione” del finanziamento pubblico ai partiti è insomma una beffa, un altro miserevole inganno per placare le masse facendo loro credere di aver risposto in qualche modo alla loro sacrosanta rabbia per la corruzione politica dilagante, rabbia che si è espressa con la clamorosa avanzata dell'astensionismo elettorale, e di cui ha approfittato in parte anche il milionario megalomane Grillo. Perciò lo si può solo respingere in blocco e affossare, e lo stesso vale per qualsiasi altra forma di finanziamento pubblico che dovesse escogitarsi in futuro. I partiti devono autofinanziarsi, attraverso esclusivamente il contributo dei propri aderenti e sostenitori e senza alcuna intermediazione e intromissione da parte dello Stato, come da sempre fa il PMLI che conta solo sul sostegno dei propri militanti, dei simpatizzanti e delle masse popolari.

8 gennaio 2014