Proseguendo una pratica dell'epoca feudale
Il rinnegato Xi rende omaggio a Confucio
Il presidente della RPC e segretario del PCC revisionista ricorre al confucianesimo nel tentativo di ammortizzare l'inasprimento del capitalismo in Cina

 
Il 27 novembre scorso, a poco più di una settimana dalla chiusura del plenum del Comitato centrale del Partito “comunista” cinese (in realtà revisionista) che ha sancito il “ruolo decisivo” del libero mercato in Cina, il presidente della Repubblica Xi Jinping si è recato a rendere omaggio al filosofo classico Confucio, nel suo tempio collocato nel paese natale Qufu. Nel corso della visita, Xi ha dichiarato che “la Cina può vantare una vasta cultura tradizionale e sarà da questa cultura che la Cina trarrà nuova gloria”.
Non è la prima volta che Xi fa professione di confucianesimo. Il 15 ottobre ha infatti organizzato un simposio commemorativo per il padre, Xi Zhongxun, dirigente revisionista morto nel 2002, sproporzionato rispetto al suo effettivo ruolo storico e utile piuttosto a fare atto di pietà filiale confuciana.
La pratica di andare in pellegrinaggio a Qufu fu inaugurata dall'allora segretario generale Jiang Zemin nel 1989 e ancora prima, negli anni '60, da Liu Shaoqi, l'apripista dei revisionisti moderni cinesi rovesciato nel 1968, ma affonda le radici addirittura all'epoca feudale, quando gli imperatori visitavano il tempio dopo l'incoronazione o per eventi propizi. Il PCC revisionista ha infatti sdoganato il recupero di Confucio, oltre che delle altre filosofie tradizionali – taoismo e buddhismo –, per estrapolarne le idee reazionarie di gerarchizzazione sociale e obbedienza all'”imperatore” e alle autorità (oggi la cricca dei rinnegati del comunismo), ma soprattutto per trovare un collante sociale in grado di ammortizzare la crescita dell'economia capitalista in Cina, accompagnata dall'inasprimento dello sfruttamento dei lavoratori e del degrado sociale e morale.
Non è un caso se un servizio dell'agenzia Xinhua del 7 dicembre metteva l'etica confuciana in relazione alla “edificazione della cultura spirituale socialista”. “China Daily” il 27 novembre citava il ricercatore Yin Yitang secondo cui il PCC “ha trovato il suo DNA e la sua linfa vitale nella ricca cultura antica del Paese”. Vero per l'attuale partito revisionista, ma non certo per l'autentico Partito comunista di Mao che lottò a fondo contro il confucianesimo e tutte le altre ideologie reazionarie, specie durante la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria (1966-1976), prima di essere usurpato dai revisionisti con a capo Deng Xiaoping nel 1978.
Addirittura, di recente, il governo ha proposto di spostare la festa degli insegnanti, che cade il 10 settembre, al 28 dello stesso mese per farla coincidere con il compleanno di Confucio (come già avviene a Taiwan, dove governano gli eredi del tiranno anticomunista Chiang Kai-shek). Questa proposta ha trovato diversi oppositori nella società e sui social network. Liu Dongchao, professore della Scuola nazionale di amministrazione, ha ricordato che “il confucianesimo non è stato in grado di sradicare i problemi etici dell'epoca feudale, quando era dominante”.
Comunque Xi ha dato un'ulteriore prova che il suo vero maestro è Confucio, insieme a Deng, non certo Mao, e che i responsabili della restaurazione del capitalismo in Cina non si fanno scrupoli di ricorrere alle idee del feudalesimo e della reazione storica aperta pur di salvaguardare il proprio potere borghese e fascista.

29 gennaio 2014