Verso il completamento della seconda repubblica neofascista
Renzi e Berlusconi col patto sulle “riforme” istituzionali e costituzionali realizzano il piano della P2
La legge elettorale Italicum è un nuovo porcellum, in linea con la legge Acerbo di mussoliniana memoria

“Con Berlusconi c'è una profonda sintonia su un modello di legge elettorale che favorisca la governabilità, che favorisca il bipolarismo e che elimini il potere di ricatto dei partiti più piccoli”: così Matteo Renzi ha voluto sottolineare davanti ai giornalisti l'intesa di ferro siglata col neoduce sulla nuova legge elettorale e sulle “riforme” istituzionali e costituzionali, subito dopo il loro incontro del 18 gennaio nella sede romana del PD di Largo del Nazareno.
Una legge da lui stesso denominata Italicum per distinguerla dal modello spagnolo da cui deriva con diverse modifiche, tecnicamente definita proporzionale ma in realtà fortemente maggioritaria, e che punta ai tre obiettivi da lui indicati, riassumibili nell'esistenza di due soli grandi partiti in parlamento, attraverso alte soglie di sbarramento per i partiti e le liste minori, un grosso premio di maggioranza per il vincitore, con eventuale ballottaggio se non lo si ottiene al primo turno, e liste bloccate di candidati nominati dalle segreterie dei due suddetti partiti, che poi sarebbero PD e Forza Italia: in breve un nuovo porcellum, un patto tra banditi disegnato su misura dagli “esperti” dei due leader, il plurindagato e massone Verdini e il politologo renziano D'Alimonte, attraverso pochi ritocchi alla legge “porcata” del leghista Calderoli appena bocciata dalla Corte costituzionale. Non a caso quest'ultimo l'ha definita sarcasticamente un “porcellinum”.

Legge simile a quella fascista Acerbo
Con questa legge le circoscrizioni sarebbero portate dalle attuali 26 a circa 120, coincidenti pressappoco con le province, e in ciascuna di esse verrebbero presentate, in collegi plurinominali, piccole liste bloccate da 3 a 6 deputati senza preferenze. Il fatto che siano piccole dovrebbe, nelle intenzioni degli ideatori, far superare la sentenza della Consulta che ha giudicato incostituzionali le liste bloccate del porcellum perché non consentono agli elettori di scegliere i propri candidati.
Per ridurre la frammentazione del parlamento ci sono tre soglie di sbarramento: il 5% per i partiti che fanno parte di coalizioni (era il 2% col porcellum), l'8% per quelli che si presentano da soli, e il 12% per le coalizioni. Soglie altissime, superiori a tutte quelle esistenti altrove. La soglia dell'8%, in particolare, rende impensabile per i piccoli partiti sperare di entrare in parlamento, se non accettano di entrare nelle coalizioni dei partiti più forti. Ma anche facendo così devono comunque superare la soglia del 5%, il che non è alla portata di tutti. Se poi diversi partitini pensassero di aggirare l'ostacolo formando una coalizione indipendente che speri di superare il 12%, scatta un'altra tagliola, perché occorre che almeno uno di essi raggiunga il 5%.
Con questo meccanismo banditesco, insomma, il diritto di rappresentanza uguale per tutti i cittadini viene completamente azzerato. Secondo simulazioni fatte sulla base dei risultati delle elezioni politiche dell'anno scorso, con questa legge sarebbero entrati in parlamento solo PD, Forza Italia e M5S. Lo stesso D'Alimonte ha ammesso in un'intervista a La Repubblica che i partiti in parlamento non sarebbero più di cinque.
Solo per placare Alfano e rassicurare Letta, Renzi ha “strappato” a Berlusconi il riparto dei seggi su base nazionale anziché di circoscrizione, il che attenua leggermente l'effetto selettivo delle soglie di sbarramento. In cambio, però, il neoduce ha voluto il suo assenso ad un eventuale emendamento “salva Lega”: per entrare in parlamento basterebbe ottenere il 5% non su base nazionale, ma almeno in tre regioni. Un esempio a caso? Piemonte, Lombardia e Veneto.
Infine c'è un premio di maggioranza del 18% per il partito o la coalizione vincente che raggiunga almeno il 35% dei voti, in modo da garantirgli la maggioranza assoluta del 53% dei seggi. Se tale soglia non viene raggiunta da nessuno al primo turno, i seggi eccedenti non vengono distribuiti in maniera proporzionale tra tutti i partecipanti, ma si procede ad un ballottaggio tra le due coalizioni meglio piazzate, e vince il premio chi prende più voti.
Si tratta di un premio abnorme, che rende questa legge ancor più sfacciatamente antidemocratica della famigerata “legge truffa” democristiana, che almeno assegnava un premio del 15% (già quindi inferiore) a chi avesse superato il 50% dei voti. A ben guardare è molto più simile alla legge Acerbo di mussoliniana memoria, che dava i due terzi dei seggi al partito che superava il 25%, e che con le elezioni del 1924 aprì la strada alla dittatura fascista. Specie se si pensa che il 35% dei voti validi, in presenza di un astensionismo che viaggia ormai oltre il 30%, corrisponde a meno del 25% del corpo elettorale.
In ogni caso le liste bloccate, le soglie di sbarramento e l'abnorme premio di maggioranza, rendono questa legge una riedizione appena ritoccata dell'odioso porcellum inventato da Calderoli per Berlusconi e già bocciato dalla Consulta. Lo denuncia in maniera circostanziata anche un appello di giuristi e costituzionalisti, tra cui Gaetano Azzariti, Lorenza Carlassare, Gianni Ferrara, Luigi Ferrajoli, Alessandro Pace, Stefano Rodotà, Massimo Villone, Raniero La Valle, Domenico Gallo e altri. Nell'esprimere “il loro sconcerto e la loro protesta”, i firmatari auspicano che se la legge non sarà adeguatamente corretta in parlamento, ci sia “una nuova pronuncia di illegittimità da parte della Corte costituzionale e, ancor prima, un rinvio della legge alle Camere da parte del Presidente della Repubblica”.

Il delinquente n° 1 resuscitato da Renzi
Con Berlusconi, ha aggiunto poi il leader del PD in conferenza stampa, “c'è una seconda intesa sulla trasformazione del Senato in 'Camera delle autonomie', con il paletto che non ci sia un'indennità per i senatori, né la loro elezione diretta e si modifichi il bicameralismo perfetto, in modo che il Senato non voti la fiducia al governo”. A cui si aggiunge una seconda “riforma” costituzionale, la modifica del Titolo V della Costituzione, per il ritorno allo Stato di alcune competenze oggi in mano alle Regioni, per ridurre il numero e le indennità dei consiglieri regionali ed eliminare i finanziamenti ai gruppi regionali.
Gli ha fatto subito eco il delinquente n° 1 di Arcore, ancora incredulo per essere stato riportato da Renzi dalla condizione di pregiudicato e decaduto dal Senato al rango di “statista” e di “padre costituzionale”, dichiarando trionfalmente “una giornata storica” quella dell'incontro al Nazareno, dicendosi “lieto di prendere atto del cambiamento di rotta del PD”, e sottolineando non a torto che quelle del Titolo V e dell'abolizione del bicameralismo “sono riforme che il centro destra da me guidato ha sempre ricercato e che la nostra maggioranza aveva approvato in parlamento già nel 2006, ma che fu la sinistra a vanificare, attraverso un referendum”.
Il neoduce ha validi motivi per gioire e per cantare le lodi di Renzi, che non nasconde di ammirare perché “ricorda me da giovane”. Renzi gli ha concesso infatti tutto quello che voleva: le soglie di sbarramento altissime, per essere sicuro che la Lega e il Nuovo centro destra di Alfano siano costretti a coalizzarsi con il suo partito, se vogliono sperare di entrare in parlamento. La soglia del 35% per poter avere il premio di maggioranza al primo turno, calibrata sui sondaggi che gliela danno a portata di mano, per cui già vagheggia di tornare in trionfo a Palazzo Chigi, e forse salire perfino al Quirinale. E, dulcis in fundo , le liste bloccate, che gli consentono di fare entrare in parlamento solo i suoi servitori più zelanti e fedeli.
Inoltre questo accordo lo rimette al centro della scena politica come un “padre della patria” e rilancia il tema della “pacificazione” e della sua “agibilità politica”, come se fosse un nuovo scudo dalle inchieste giudiziarie in cui è ancora coinvolto: “I veri sconfitti di ieri – ha sentenziato infatti la falchessa Daniela Santanché – sono i magistrati. Il loro sporco tentativo di rendere impresentabile Berlusconi è fallito definitivamente. Possono anche arrestarlo domani mattina, ma dopo ieri – per la storia e per l'opinione pubblica – in cella non finirebbe un pregiudicato ma uno statista perseguitato politico”. E non a caso il neofascista Vittorio Feltri, su Il Giornale berlusconiano, così esultava: “Una riforma tira l'altra, ora tocca alla giustizia”.

La minoranza anti Renzi con le spalle al muro
A Matteo Renzi è riuscito in poche settimane il capolavoro politico di aver riabilitato e riportato sugli scudi il delinquente, dopo che in base alla legge Severino e anche con i voti del PD era stato espulso dal parlamento in quanto pregiudicato toccando il suo punto più basso, e dopo che lo stesso neopodestà fiorentino (ma questo prima delle primarie) lo aveva dichiarato “finito, game over”! E ciò attraverso una indecente trattativa esclusiva e segreta con Verdini, sotto l'occhio compiacente e benedicente del rinnegato Napolitano, che ha scavalcato persino il governo Letta-Alfano.
Con pari strafottenza e arroganza il Berlusconi democristiano ha ignorato anche la minoranza interna del suo stesso partito, come bersaniani, dalemiani, lettiani, prodiani ecc., che del resto ha avuto buon gioco a zittire rinfacciando loro di averci fatto un governo, insieme a Berlusconi, e di essere sempre stati favorevoli alle liste bloccate. La stessa scelta inaudita e senza precedenti di invitare il neoduce nella sede centrale del PD, è stata una mossa sapientemente studiata per infliggere loro un'umiliazione e ribadire la sua leadership assoluta, e al tempo stesso per mettere i militanti e gli elettori di sinistra e antiberlusconiani del partito di fronte al fatto compiuto della fine dell'antiberlusconismo e della “pacificazione” col loro nemico storico. A Renzi, forte del mandato plebiscitario delle primarie e libero da qualsiasi remora di dover apparire di “sinistra” e di non disgustare la base antiberlusconiana, è riuscito insomma ciò che non era riuscito al rinnegato D'Alema con la Bicamerale golpista e il “patto della crostata”, e al liberale presidenzialista Veltroni col tentativo di accordo sulla legge elettorale bipolare e le “riforme” istituzionali, entrambi falliti per la spregiudicata quanto vincente “slealtà” del neoduce.
Né del resto i suoi oppositori interni - messi con le spalle al muro dal suo “prendere o lasciare” e dal ricatto che se salta la “riforma” saltano anche il governo e la legislatura e si va subito al voto con una legge ancor più bipolare, il modello spagnolo secco su cui aveva già il pieno assenso di Berlusconi - hanno avuto il coraggio di dare veramente battaglia al nuovo segretario. Tanto che salvo le dimissioni per protesta di Cuperlo da presidente del partito, la Direzione del 20 gennaio si è conclusa con l'approvazione dell'accordo con 111 sì, 34 astensioni e neppure un voto contrario.
Inoltre tutta l'”opposizione” interna all'accordo si riduce essenzialmente alle liste bloccate e alla richiesta di sostituirle con le preferenze, rivendicando anche la libertà, più che altro di bandiera, di presentare emendamenti in tal senso in parlamento: ed è logico, dal momento che costoro, che attualmente sono ancora maggioranza nei gruppi parlamentari del PD, temono di essere mandati tutti a casa quando si tratterà di stilare le liste alle prossime elezioni. Alla fine, comunque, hanno ceduto pure su questo, accettando di ritirare tutti gli emendamenti quando Renzi li ha di nuovo messi di fronte alla responsabilità di far saltare l'accordo, e con esso anche la legislatura e i loro posti in parlamento.

Prova di forza di Renzi e Berlusconi in parlamento
Anche Letta e Alfano, pur essendo stati apertamente ostili alla trattativa, hanno finito per dire sì all'accordo Renzi-Berlusconi: il primo perché l'aver legato la legge elettorale alle “riforme” costituzionali presuppone tempi lunghi e Renzi gli ha ventilato che può durare fino alla loro approvazione; il secondo perché Renzi ha ottenuto da Berlusconi la ripartizione dei seggi a livello nazionale e non nelle singole circoscrizioni, ciò che garantisce al Nuovo centro destra maggiori speranze di superare la soglia di sbarramento, nonché l'eventuale doppio turno di ballottaggio che anche il NCD, come da sempre il PD, ora sostiene.
Tutto lascia pensare, quindi, che nonostante la pioggia di emendamenti, se Berlusconi accetterà qualche ulteriore ritocchino per venire incontro al NCD e alla fronda interna del PD, come per esempio l'abbassamento di un punto percentuale delle soglie di sbarramento per i partiti e le coalizioni minori e l'aumento dal 35 al 37-38 per cento della soglia per il premio di maggioranza, tutte le resistenze potrebbero cadere e l'Italicum potrebbe essere approvato in tempi anche rapidi dal parlamento nero. Sulle liste bloccate, invece, Berlusconi e Renzi si mostrano irremovibili, perché non intendono rinunciare a questa esclusiva arma per nominare e controllare personalmente i rispettivi gruppi parlamentari. I quali poi, se e quando passerà l'abolizione del bicameralismo perfetto, con la trasformazione del Senato in Camera delle autonomie (anche questa nominata dai partiti), si ridurrebbero ad uno solo per partito, quello della Camera dei deputati. Per cui sarebbe ancor più facile per le maggioranze di governo ridurre il parlamento ad una loro semplice e obbediente appendice, senza alcuna libertà e autonomia legislativa che non sia quella di approvare meccanicamente tutti i provvedimenti del governo.
Allora sarebbe non la “terza repubblica” di cui favoleggiano d'amore e d'accordo il delinquente n° 1 di Arcore e il Berlusconi democristiano, ma il completamento dell'attuale seconda repubblica neofascista, presidenzialista e federalista disegnata nel “Piano di rinascita democratica” e nello “Schema R” della P2, la cui realizzazione i due banditi hanno deciso di accelerare decisamente con il patto mussoliniano del Nazareno.

29 gennaio 2014