Il governo Letta-Alfano privatizza Bankitalia
Un regalo alle banche da 4,2 miliardi di euro
Diktat senza precedenti: la presidente Boldrini cancella il dibattito parlamentare e impone l'approvazione del decreto

Il 29 gennaio, con una decisione senza precedenti negli annali della Camera dei deputati, e tra le furiose proteste di una parte dell'aula, la presidente Laura Boldrini ha applicato la cosiddetta “ghigliottina” per cancellare il dibattito parlamentare e imporre la conversione in legge forzata del decreto governativo Imu-Bankitalia, che altrimenti sarebbe decaduto di lì a poche ore.
L'ex parlamentare di SEL, che subito dopo il voto ha interrotto la seduta e se l'è svignata per un'uscita secondaria, mentre in aula esplodeva il caos, si è resa con ciò responsabile di un gravissimo atto antidemocratico e antiparlamentare, assecondando servilmente il diktat del governo Letta-Alfano, che aveva inserito furbescamente nel decreto di cancellazione della seconda rata dell'Imu un provvedimento che regala oltre quattro miliardi alle grandi banche e apre la strada alla privatizzazione della Banca d'Italia. E ciò col chiaro intento di usare il decreto Imu, e la minaccia del pagamento della seconda rata in caso della sua mancata conversione in legge, come cavallo di Troia per far passare anche quello su Bankitalia, senza dibattito parlamentare e senza che l'opinione pubblica fosse informata del suo contenuto.
E così infatti è andata, grazie alla Boldrini e grazie, va detto, anche alle forme di protesta in aula e fuori dall'aula scelte dai deputati del Movimento 5 Stelle per farsi belli come unici “oppositori” del sistema, scadute nel becero qualunquismo e negli insulti sessisti: con ciò regalando alla stessa Boldrini, al premier Letta, al PD di Renzi, a Napolitano, al neoduce Berlusconi e all'intero sistema dei mass-media del regime neofascita, coalizzati in un unico assordante coro, il pretesto perfetto per parlare per giorni solo dell'ottusa e narcisistica sceneggiata dei M5S, accusando loro di metodi eversivi e fascisti, per oscurare sia il vero atto fascista compiuto dalla maggioranza, sia i gravi risvolti del provvedimento su Bankitalia.
Già in precedenza, il 24 gennaio, il governo aveva imposto il voto di fiducia sul decreto, costringendo i suoi parlamentari a votarlo a scatola chiusa rinunciando a qualsiasi tentativo di discuterlo. Restava però da zittire anche l'ostruzionismo del M5S, che con i suoi interventi in massa, anche se brevi, rischiava di protrarre la discussione oltre il termine ultimo per il voto finale in aula, provocando con ciò la decadenza del provvedimento. Sarebbe bastato che il governo scorporasse la parte Bankitalia dal decreto Imu, come proponevano del resto i deputati M5S, per evitare l'ostruzionismo e approvare in tempo la parte riguardante l'Imu, per poi discutere separatamente e con tutto il tempo necessario un provvedimento così importante come quello che riguardava la Banca centrale: ma naturalmente il governo non ne ha voluto sapere, proprio perché il suo scopo era quello di farlo passare di contrabbando insieme al decreto sull'Imu.

Avallato il ricatto del governo sull'Imu
La Boldrini si è prestata a questo sporco gioco, giustificandosi dietro l'intransigenza del governo e all'ipocrita scusa che non applicare la “ghigliottina”, cioè l'interruzione d'imperio degli interventi in aula per procedere forzatamente al voto, avrebbe equivalso a far pagare l'Imu a milioni di italiani: avallando in pieno con ciò il ricatto del governo. In un intervento successivo preparato ad hoc con la compiacente collaborazione di Fazio e di Rai 3, la presidente della Camera ha avuto finanche la faccia tosta di sostenere che se è vero che è la prima volta che si fa ricorso alla “ghigliottina” alla Camera è perché fino ad ora in casi come questo le opposizioni cessavano spontaneamente l'ostruzionismo “un attimo prima della scadenza dei decreti”.
C'è da dire anche che i M5S l'hanno aiutata parecchio a passare per vittima a reti Rai unificate, grazie anche agli insulti triviali e sessisti da cui è stata inondata sul blog di Grillo, che oltre le accuse di incitamento allo stupro rivolte loro dall'interessata, hanno offerto il pretesto a Letta di annunciare la “tolleranza zero” contro le “prevaricazioni grilline”, e al rinnegato Napolitano di dirsi “preoccupato per quel che succede in parlamento”. Che ipocrita: proprio lui che poco tempo fa si era rifiutato di firmare il decreto “salva Roma”, perché metteva insieme provvedimenti troppo diversi, andando contro anche un giudizio della Corte costituzionale che stigmatizzava la pratica intollerabile dei “decreti omnibus”, ora non solo non trova nulla da ridire sul decreto Imu-Bankitalia, ma copre e avalla con la sua autorità il colpo di mano antiparlamentare e fascista del governo, dicendosi preoccupato solo delle proteste che esso ha suscitato!
Comunque l'enorme potenza di fuoco dispiegata da governo, PD (a cui si è accodato servilmente anche il partito della Boldrini, SEL, che pure aveva votato contro il decreto), Quirinale, la grande stampa borghese con in testa Corriere della Sera e Repubblica , nonché l'intero apparato massmediatico di regime con in testa le tre reti Rai, ha funzionato, visto che preoccupato per l'isolamento in cui si era cacciato, lo stesso Grillo è dovuto correre a Roma a calmare i suoi parlamentari, raccomandando loro di “non esagerare, non farvi prendere la mano, non offrire pretesti”, e invitandoli a “lavorare in parlamento con serietà”.
Di sicuro tutta questa interminabile bagarre ha fatto molto comodo per non far capire all'opinione pubblica in che cosa consista esattamente il decreto Bankitalia approvato grazie alla “ghigliottina” parlamentare. Ufficialmente era stato presentato dal ministro Saccomanni come una semplice rivalutazione nominale del capitale societario della nostra Banca centrale - rimasto ancora ai 300 milioni di lire (circa 156 mila euro) del 1936 - secondo le regole imposte della Bce in vista dell'unificazione bancaria europea. Nonostante che Bankitalia sia formalmente un istituto dello Stato, preposto anche a vigilare sulle altre banche, in realtà dopo la privatizzazione delle banche è di fatto controllata dalle banche stesse, in particolare da Intesa e Unicredit, che insieme detengono il 52,4% del capitale. Altre quote importanti, anche se nettamente inferiori, sono detenute da Inps e Generali.
Il governo, ignorando del tutto una legge del 2005 che prevedeva il ritorno della Banca centrale in mano pubblica, ponendo fine allo scandalo dei controllati che sono anche i controllori, ha deciso invece di muoversi in direzione esattamente opposta, verso la privatizzazione completa dell'istituto. Come? Cogliendo appunto l'occasione della rivalutazione del capitale, che passa da 156 mila a 7,5 miliardi di euro, il che consentirebbe alle banche di ricapitalizzarsi secondo i dettami della Bce, e allo Stato di incassare le tasse sulle plusvalenze: mentre infatti finora venivano distribuiti ai soci circa 70 milioni di euro, con le nuove quote, a parità di utili, si arriverebbe a circa 450 milioni.

Un decreto fatto per le banche e i capitalisti
Qui finisce però la motivazione ufficiale fornita dal governo e cominciano i trucchi. Intanto la tassazione di dette plusvalenze è stata inspiegabilmente ribassata al 12%, anziché essere al 20% come per tutte le rendite finanziarie. Più bassa addirittura del tasso già di favore del 16% inizialmente scelto dal governo, per cui l'introito per lo Stato sarà di soli 900 milioni, contro gli 1,5 miliardi inizialmente ipotizzati. Ma questo non è il solo regalo alle banche. Infatti il decreto fissa al 3% la quota massima che le banche possono detenere, riservando a Bankitalia la possibilità di ricomprare le quote in eccesso e poi rivenderle sul mercato, al fine di trasformarla in una “public company” aperta a investitori privati, anche internazionali. A conti fatti questo significa che le banche nel loro complesso, in cambio delle loro quote nominali in eccesso, avranno dallo Stato la bellezza di 4,2 miliardi, di cui 3,5 andranno a Intesa e Unicredit: soldi freschi, che potranno già mettere a bilancio, e non semplici quote nominali. E in questo modo viene aggirato anche il divieto della Bce di considerare la semplice rivalutazione delle quote come una garanzia patrimoniale.
Così, da una parte il governo Letta-Alfano regala miliardi alle grandi banche prelevati direttamente dalle riserve pubbliche, e dall'altra apre la strada alla privatizzazione completa e ufficiale di Bankitalia, anche se formalmente la sua “indipendenza” dovrebbe essere garantita dal fatto che quelle messe sul mercato sarebbero quote e non azioni e dal loro tetto al 3%. Ma sempre di quote private si tratterebbe, e comunque non saranno certo questi fragili ostacoli ad impedire alle lobby bancarie e capitalistiche di formare cartelli segreti tra di loro per raggiungere quote importanti e impadronirsi del controllo effettivo dello strategico istituto di via Nazionale.
 
 

5 febbraio 2014