La Costituzione, il bicameralismo e le province
Il governo e Renzi fanno carta straccia di quello che hanno detto i Costituenti
Nelle riforme costituzionali promosse da Letta e da Renzi si nasconde un progetto autoritario

 
I temi della “riforma” del bicameralismo perfetto e dell’abolizione delle Province sono da qualche tempo entrati nell’agenda politica sia del governo Letta sia del Pd guidato da Renzi. Per quanto riguarda Enrico Letta, l’ha chiaramente detto nel discorso alle Camere tenuto l’11 dicembre scorso per porre la questione di fiducia alla conferenza stampa di fine anno 2013, ponendoli come obiettivi strategici del suo governo e l’ha ribadito nel suo discorso di fine anno. Per ciò che riguarda il bicameralismo, il ministro per le Riforme Quagliariello ha già reso noto a nome del governo il suo disegno di legge costituzionale che prevede la trasformazione del Senato in un’Assemblea di delegati regionali - priva peraltro del potere di voto di fiducia al governo - e la completa abolizione delle Province. In attesa della votazione su tali riforme costituzionali dal canto suo il ministro per gli Affari regionali, il renziano Delrio, a dicembre ha depositato alla Camera il disegno di legge ordinario per il commissariamento di 52 province, alcune delle quali spariranno e altre diventeranno Città metropolitane, anticipando così gli effetti della definitiva sparizione degli enti provinciali.
Quanto a Matteo Renzi, quello della “riforma” del Senato e dell’abolizione delle Province è un suo cavallo di battaglia sostenuto ampiamente alla riunione che si è svolta alla Leopolda di Firenze lo scorso ottobre, concetto ribadito in un’intervista a Claudio Tito pubblicata su Repubblica del 1° dicembre 2013 dove Renzi propone a letta un patto di governo per arrivare fino al 2015, patto nel quale sono punti fondamentali sia l’abolizione delle Province sia l’eliminazione del bicameralismo perfetto.
Quindi sostanzialmente il governo Letta e il Pd di Renzi si trovano su questi due punti perfettamente d’accordo tra di loro, e soprattutto si trovano in sintonia con lla Loggia P2, quella organizzazione criminale eversiva da destra dell’ordine costituzionale democratico borghese che per questo motivo fu sciolta nell’82.
Infatti ciò che Letta e Renzi ora spacciano per novità non lo è affatto, perché il piano golpista della massoneria “illegale guidata” da Gelli prevedeva tra i suoi punti qualificanti proprio l’abolizione delle Province e la trasformazione del Senato in istituzione rappresentativa delle Regioni. In entrambi i casi la logica politica che sorregge la revisione costituzionale in tale direzione, dietro la facciata di un presunto snellimento delle istituzioni, nasconde una logica autoritaria che è del tutto in sintonia con il cosiddetto ‘piano di rinascita democratica’ del maestro massonico.
Con l’abolizione delle Provincie infatti Renzi e Letta restringono ulteriormente gli spazi di democrazia sui territori, mentre con l’abolizione del Senato e la sua trasformazione in una Camera delle regioni viene meno uno dei due contrappesi nei confronti del Governo che già ora spadroneggia nell’ambito legislativo perché da tempo ha trasformato quello che la Costituzione ha configurato all’articolo 77 come un potere eccezionale (quello di emanare decreti-legge) in un potere ordinario, subordinando quindi ancor di più il Parlamento al Governo sempre più dominato da personaggi con un forte culto della personalità. Insomma, Licio Gelli non potrebbe essere più soddisfatto nel vedere il coronamento del suo progetto politico, per di più realizzato da due uomini - Letta e Renzi - che teoricamente dovrebbero essere nemici giurati del progetto del maneggione aretino, ma che all’atto pratico non lo sono, in quanto il primo, Enrico Letta, è il nipote di quel Gianni Letta che è da sempre l’eminenza grigia delle strategie del piduista Berlusconi che ultimamente sembra andare perfettamente d’accordo con l’altro protagonista delle “riforme” costituzionali, Matteo Renzi, il quale in aggiunta, proponendo il ‘sindaco d’Italia’ come figura forte alla presidenza del Consiglio dei ministri, non fa che proseguire nella strada a suo tempo inaugurata da Bettino Craxi, altro mentore insieme a Gelli di Silvio Berlusconi. A questo punto il cerchio si chiude, e quello che poteva apparire un processo di snellimento e di modernizzazione dello Stato appare invece in tutta la sua carica golpista, cioè un restringimento dei già precari spazi di democrazia sia territoriale sia centrale all’interno dello Stato borghese, aggravati da ulteriori poteri che si assume il governo nazionale.
L’architettura costituzionale in vigore messa in piedi tra il 1946 e il 1947 dai partiti politici che fecero la Resistenza ne esce totalmente stravolta, e a tal propoisto abbiamo nell'altro articolo esaminato le posizioni politiche dell’Assemblea costituente antifascista.
 

12 febbraio 2014