Riprende la rivolta popolare contro il presidente Yanukovych filo russo
Assalto al parlamento a Kiev
Ventisei morti e centinaia di feriti

 
La fine dell'occupazione del municipio di Kiev e il rilascio degli oltre 200 manifestanti arrestati negli oltre due mesi di proteste del 16 febbraio, assieme all'avvio il 18 febbraio della discussione in parlamento sulle modifiche alla costituzione per ridurre i poteri presidenziali sembravano avere quantomeno attenuato lo scontro frontale tra i filo russi del presidente Viktor Yanukovych e i partiti di opposizione filo-Ue. L'assalto alla sede del partito del presidente e della sede del parlamento a Kiev ha riacceso il 18 febbraio la rivolta antigovernativa e fatto registrare un pesante bilancio che al momento in cui scriviamo conta ventisei morti e circa 150 feriti. Secondo fonti ospedaliere la maggior parte dei feriti è stata causata dalle bombe stordenti usate dalla polizia e ci sarebbero almeno 30 dimostranti in condizioni gravi con ferite alla testa.
Nella mattinata a Kiev alcune centinaia di manifestanti lanciavano molotov e pietre contro le finestre dell'edificio che ospita la sede del partito del presidente e un gruppo riusciva a forzare un ingresso secondario e a occuparla fino all'intervento dei reparti antisommossa della polizia.
Gli scontri più violenti si registravano nel pomeriggio davanti al parlamento quando alcune migliaia di manifestanti cercavano di forzare i blocchi della polizia schierati a protezione dell'edificio. Pietre e bastoni le armi dei manifestanti contro manganelli, lacrimogeni, granate assordanti e proiettili di gomma usati dalla polizia. All'interno del parlamento era in corso la protesta di alcune decine di deputati dell’opposizione che bloccavano l'aula perché il governo nella discussione della riforma costituzionale non aveva inserito in agenda le loro proposte per ridurre i poteri del capo dello Stato.
Le cronache riferiscono di violenti scontri in almeno tre punti del centro della capitale, dalla zona attorno al parlamento a quella presso il parco Marinski, a via Grushevski dove i manifestanti avevano attaccato e occupato la “Casa degli ufficiali”, una sede del ministero della Difesa già teatro di violenti scontri a fine gennaio. La polizia metteva sotto assedio anche Maidan, la piazza simbolo della protesta a Kiev.
La reazione dei governi imperialisti che appoggiano i partiti filo-Ue si è limitata a una formale condanna della repressione poliziesca, la Russia amica di Yanukovych
ha accusato: “ciò che sta succedendo è una diretta conseguenza della politica di connivenza fra i politici occidentali e le agenzie europee che hanno chiuso gli occhi di fronte alle azioni aggressive delle forze radicali ucraine fin dall’inizio della crisi”. Certo che può tirarla dalla sua parte grazie anche al comportamento di parte delle opposizioni, come quella del leader dell'Alleanza ucraina per le riforme, Vitaliy Klitschko, che era appena tornato da un incontro con la cancelliera Merkel a Berlino dove ha chiesto esplicitamente un aiuto finanziario e sanzioni per il governo di Yanukovich. Ciò nulla toglie comunque alla legittimità di una rivolta popolare che anche se punta a appoggiarsi sul fronte Ue, rischiando di cadere dalla padella di Mosca alla brace di Bruxelles, e nata contro la decisione del governo di interrompere il processo di adesione alla Ue, si è alimentata col malcontento per gli effetti negativi della crisi economica sulle masse popolari e contro la dilagante corruzione nelle istituzioni e le misure repressive fasciste.

19 febbraio 2014