Col decreto “Destinazione Italia”
Il governo e il parlamento premiano gli inquinatori
Violato il principio “Chi inquina paga”

A tempo di record l'11 febbraio scorso la Camera ha approvato con 320 sì, 194 no e 1 astenuto il cosiddetto decreto “Destinazione Italia”. Il provvedimento, approdato a Montecitorio il 6 febbraio e fortemente voluto dal dimissionario presidente del Consiglio Enrico Letta e dal ministro per lo Sviluppo economico Flavio Zanonato, contiene all'articolo 4 un singolare dispositivo volto a favorire i responsabili delle peggiori situazioni di inquinamento in Italia.
La norma prevede che le imprese che si rendono disponibili alla stipula di “accordi di programma per la reindustrializzazione” con i Ministeri dell’ambiente e dello sviluppo economico, vengono esentate da ogni altro obbligo di bonifica sul sito oggetto dell’accordo. Di fatto una palese violazione del sacrosanto principio “Chi inquina paga” che è uno dei fondamenti del diritto ambientale comunitario.
Il Decreto consente di stringere accordi di programma anche con i proprietari dei terreni responsabili dell’inquinamento avvenuto entro il 2007, praticamente tutti i siti inquinati censiti in Italia. Tali accordi potranno anche prevedere la sola messa in sicurezza e non la bonifica e finanziamenti pubblici. Una volta sancito l’accordo gli inquinatori non avranno più nulla da temere qualora la situazione di inquinamento ambientale risulti più grave del previsto, ad esempio con nuove indagini o la scoperta di nuove discariche abusive.
L’accordo equivarrà a un vero e proprio condono ambientale tombale e la popolazione, che già da anni paga sulla propria pelle le conseguenze dei disastri ambientali causati dalle industrie, adesso rischia di dover pagare anche le bonifiche e le multe che ci pioveranno dall’Ue.
Altro che “decreto dal contenuto vasto e articolato, che va ad incidere su un ampio spettro di settori normativi e reca misure multiformi” come cianciano Letta e Alfano; con questo provvedimento e in particolare con gli emendamenti proposti dal PD in Commissione e riassunti negli articoli 4-bis e 4-ter, il governo e le cosche parlamentari che lo sostengono hanno posto ancora una volta gli interessi delle aziende sopra la salute delle popolazioni confermando così di operare in piena simbiosi con le ecomafie e gli inquinatori senza scrupoli offrendo loro aiuto e protezione.
Del resto c'era da aspettarselo dal momento che, come denunciato dal rapporto “Sin Italy” di Greenpeace a ottobre 2011, la porta a questo odioso condono era stata spalancata dall’articolo 2 della Legge n.13/2009 che ha introdotto una procedura alternativa di risoluzione stragiudiziale del contenzioso relativo alle procedure di rimborso delle spese di bonifica e ripristino di aree contaminate e al risarcimento del danno ambientale. Il decreto Destinazione Italia è giusto il passettino che mancava, ampiamente previsto e prevedibile.
Il rapporto di Greenpeace fa anche il nome del maggior “utilizzatore finale” del condono: Eni. La controllata di Eni, Syndial (ex Enichem), ha “vertenze” sulle bonifiche nei siti di Porto Torres, Priolo, Napoli Orientale, Brindisi, Pieve Vergonte, Cengio, Crotone, Mantova e Gela. Risulta che nel 2010 il gruppo ha stanziato per le “transazioni” 1 miliardo e 109 milioni di euro. Solo la bonifica di Porto Tolle ha una stima di costi dell’ordine di 500 milioni. Per fare un esempio delle cifre in ballo, nel luglio 2008 il Tribunale di Torino ha condannato la società Syndial al pagamento di una multa di circa 1,9 miliardi di euro per aver inquinato il Lago Maggiore col Ddt nel periodo 1990–1996. Il Ministero dell’Ambiente aveva richiesto un risarcimento di 2,396 miliardi e Eni (che nel 2006 aveva rifiutato una proposta di transazione per 239 milioni di euro fatta dall’Avvocatura dello Stato) ha immediatamente fatto appello, considerando la multa spropositata.
Per non parlare della cancellazione del reato di “omessa bonifica”, abrogato e riformulato dall’art. 257 D.Lgs. n. 152/2006 in merito al quale il Procuratore della Repubblica di Mantova, Antonino Condorelli, durante il suo intervento alla Commissione bicamerale d’inchiesta sugli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti ha detto: “quando è stata modificata la norma sul reato di omessa bonifica – la Cassazione è tassativa sul punto e ci sono molte sentenze – è stato eliminato il reato di non partecipazione al procedimento di bonifica. Senza un progetto approvato, quindi, il responsabile che si rifiuti di attuarlo non può essere sanzionato penalmente. Mentre prima al primo atto di procedimento rifiutato si ravvisava la responsabilità penale e quindi ci era possibile intervenire, oggi non è più così.”
Chiediamo l'immediata cancellazione dell'articolo 4 del decreto; il ripristino del reato di omessa bonifica e il ripristino del principio “chi inquina paga”. La stagione dei commissariamenti va definitivamente chiusa e il controllo delle bonifiche va affidato alle popolazioni interessate.

5 marzo 2014