Imitando il suo maestro Berlusconi, il nuovo premier si atteggia a “portavoce” di certe lagnanze popolari
Il parlamento del regime neofascista vota la fiducia a Renzi che vuol cambiare da destra l'Italia
Il più soddisfatto è il NCD. Forza Italia pronta a votare i provvedimenti che condivide. La “sinistra” del PD abbaia ma poi dà la fiducia. Il M5S “massacra” Renzi, ma a difesa delle istituzioni borghesi
Solo il socialismo può cambiare l'Italia e dare il potere al proletariato

Il 24 febbraio al Senato e il 25 alla Camera il parlamento del regime neofascista ha concesso la fiducia al governo presieduto dal Berlusconi democristiano Renzi. Una fiducia risicata, sulla carta, visto che al Senato è passato con 169 sì contro 139 no, appena 8 voti in più della soglia di sopravvivenza di 161 voti, e che il suo predecessore appena fatto fuori, Letta, ne aveva ricevuti 173. Ma il patto di ferro con Berlusconi su legge elettorale, “riforme” istituzionali e costituzionali e giustizia, reciprocamente ribadito anche negli interventi in aula, gli garantisce a destra una maggioranza politica occulta ben più ampia di quella semplicemente numerica, rafforzata oltretutto dall'assenza di un'opposizione di qualche rilievo a sinistra: sia perché anche la minoranza di “sinistra” interna al PD, sia pure col mal di pancia, si è accodata e gli ha votato la fiducia, sia per l'opportunismo di SEL, che anziché un'opposizione aperta e senza quartiere gli ha promesso berlusconiamente che si confronterà “sui singoli provvedimenti”.
Sapendo tutto ciò in partenza, e facendo tesoro dell'esempio del suo maestro di Arcore, Renzi si è presentato in Senato sfoggiando ad uso delle telecamere tutto il suo piglio decisionista e le sue maniere sbrigative al limite dell'arroganza, parlando a braccio e spesso con le mani in tasca, ostentando di parlare direttamente al Paese, attraverso la diretta tv, più che al parlamento al quale chiedeva la fiducia, come a rimarcare la sua “vicinanza” alla gente comune e la sua “estraneità” ai “riti della politica”.
Infatti tutto il suo discorso era infarcito di riferimenti alla sua “diversità” rispetto ai vecchi politici, sia in virtù della sua età (“non ho l'età per stare in Senato”, “noi siamo la generazione Erasmus”, ecc.), sia presentandosi come “portavoce” della “gente comune” e di certe diffuse lagnanze popolari, quasi in contrapposizione all'“aula sorda e grigia” di mussoliniana memoria. Non a caso, esortando il parlamento a guardare “su ciò che sta fuori da queste Aule”, l'ha così ammonito: “Se in questi anni avessimo prestato ai mercati rionali lo stesso ascolto che abbiamo prestato ai mercati finanziari, ci saremmo accorti che la prima richiesta è la richiesta di semplicità, di pace, di chiarezza; è la richiesta di una tregua della politica rispetto ai cittadini”.

“È come me, parla al Paese”
Renzi si è atteggiato insomma a nuovo “uomo della provvidenza”, che come Berlusconi ascolta e rappresenta “la pancia del Paese”, un leader giovane e “coraggioso”, estraneo al “teatrino della politica” e venuto per operare con rapidità ed efficienza quel “cambiamento radicale” di cui il Paese ha urgente bisogno. Non a caso il suo discorso è piaciuto moltissimo al suo maestro, che ne ha riconosciuto il marchio di fabbrica: “Ha piglio deciso, coraggio, ha avuto la spregiudicatezza di affrontare per la prima volta l'aula senza alcun timore reverenziale”, ha detto infatti ai suoi il neoduce mentre lo guardava in tv, aggiungendo anche: “Mi piace, fa come me, parla al Paese, ai cittadini e non ai parlamentari che si trova davanti”.
Ma al di là della straripante demagogia da “uomo della provvidenza” e degli annunci roboanti, come quello sulle visite settimanali alle scuole, non è vero che nel suo discorso non ci siano stati chiari punti programmatici. Pur guardandosi bene dall'entrare troppo nello specifico, indicando anche le necessarie coperture finanziarie (come per il promesso intervento sull'edilizia scolastica), il suo programma di cambiare l'Italia, ma da destra, è emerso molto chiaramente: eccetto per chi fa finta di non capire solo per coprirlo coscientemente o no a sinistra, come certi “oppositori” interni al PD, come il partito del neoliberale Vendola e certa “sinistra” trotzkista (vedi il manifesto ), spontaneista e operaista.
E' emerso per esempio dalle quattro “riforme” da lui indicate e da realizzare subito, entro giugno (prima cioè del semestre europeo di luglio): quelle del lavoro (“Jobs Act”), del fisco (cuneo fiscale), della pubblica amministrazione e della giustizia, e con “le riforme costituzionali, istituzionali ed elettorali, sulle quali si è registrato un accordo che va oltre la maggioranza”, e per le quali, ha ribadito Renzi, “non possiamo che dire che gli accordi li rispetteremo nei tempi e nelle modalità stabilite”. “Riforme” di cui sappiamo già quello che conta, e cioè che prevedono l'abolizione dell'articolo 18 per i giovani, sgravi fiscali alle imprese, la licenziabilità dei dipendenti pubblici, una controriforma della giustizia gradita a Berlusconi, una legge elettorale maggioritaria e “bipolare” simile alla mussoliniana legge Acerbo e “riforme” costituzionali e istituzionali che completano la seconda repubblica neofascista secondo il piano della P2.
“Riforme” alle quali ha aggiunto la gestione privatistica e meritocratica delle scuole (gli insegnanti e la scuola non hanno bisogno di soldi, ma di “un cambio di forma mentis”, ha detto), il “coraggio di aprirsi agli investimenti privati nella cultura” e un piano per “attrarre investimenti in questo Paese”: leggi massicce privatizzazioni di aziende statali e municipalizzate, e non a caso ha esaltato come modello la privatizzazione del Nuovo Pignone di Firenze, un gioiello di industria statale all'avanguardia nel settore metalmeccanico svenduta nel '93 al colosso americano della General Electric.

Segnale (raccolto) di “pacificazione” al neoduce
Inoltre anche le cose che non ci sono dicono molto del programma di destra di Renzi, come la mancanza di qualsiasi accenno ad una legge sul conflitto di interessi, alla patrimoniale, ad interventi sul Mezzogiorno, alla difesa dell'ambiente, al no alla Tav e agli F-35, alla lotta contro l'evasione fiscale, alla mafia, alla corruzione, e così via. Chiarissimo è stato invece sulla controriforma della giustizia, quando ha esortato a mettere da parte i “derby ideologici” degli ultimi 20 anni (la famigerata “pacificazione” con impunità sempre invocata dal neoduce) e ha proclamato che “è arrivato il momento di mettere nel mese di giugno (sarà compito del ministro competente) all'attenzione di questo parlamento un pacchetto organico di revisione della giustizia che non lasci fuori niente”. Musica per le orecchie del delinquente di Arcore, che infatti ha subito chiosato: “Ha fatto fuori più comunisti lui in due mesi che io in vent'anni”. E poi ha aggiunto: “Di lui mi fido, peccato non sia uno dei nostri... ha il gradimento della gente, molti dicono sia il mio successore. Vedremo”.
Il discorso di Renzi ha fornito insomma le ampie rassicurazioni che Forza Italia si attendeva da lui per confermargli la sua finta opposizione formale e il suo appoggio sostanziale, tant'è vero che nell'annunciare che “non possiamo darle la fiducia”, il suo capogruppo al Senato, Paolo Romani, si è subito affrettato ad aggiungere: “Non valuteremo mai in modo pregiudiziale le proposte e i provvedimenti del suo governo, ma saremo pronti a valutarli, magari proponendo alternative, con la lealtà di un'opposizione responsabile e costruttiva. Le confermo che, su un percorso di riforme condiviso e su provvedimenti utili al Paese, noi ci siamo. Forse questa è la volta buona perché due leader, come lei e il presidente Berlusconi, possano stimarsi, parlarsi, confrontarsi, scambiare le reciproche esperienze e i diversi progetti e possano collaborare per il Paese senza pregiudizi, senza scambi o poltrone, con il solo interese del bene comune. Forse, come dice lei, presidente Renzi, è davvero la volta buona”.
Soddisfattissimo ovviamente il Nuovo centro destra di Alfano, che dal discorso di Renzi ha avuto rassicurazioni che “sui diritti” (come Jus soli , coppie di fatto, diritti degli omosessuali ecc.) si farà “lo sforzo di trovare un compromesso anche quando questo compromesso non ci soddisfa del tutto”. E che (a parole) il premier abbia riconosciuto la validità della richiesta del NCD di legare l'Italicum alla “riforma” del Senato, per non correre il rischio che Renzi e Berlusconi vogliano andare al voto appena approvata la nuova legge elettorale. Persino Bossi, intervenuto a nome della Lega Nord secessionista, neofascista e razzista, pur negando a Renzi la fiducia, gli ha garantito che “noi non le saremo contrari fino alla morte, ciecamente, valuteremo se le cose che fa sono cose giuste e, quindi, non le spareremo per sparare”. E gli ha fatto pure gli “auguri perché vada bene”.

Via facile anche a “sinistra”
Se a destra ha avuto la strada spianata, nessun problema gli è venuto neanche da sinistra, a parte la patetica scena dell'incontro alla Camera tra Letta e Bersani, salutato da un'ipocrita ovazione che voleva essere anche una ripicca polemica in diretta tv contro il vincitore da parte della minoranza di “sinistra” sconfitta e domata. L'ex viceministro e “giovane turco” Stefano Fassina, che in Direzione si era astenuto sul siluramento di Letta (lasciato solo anche dai suoi compari di corrente Orfini e Orlando, già passati armi e bagagli con Renzi), ha pronunciato un intervento pieno di lamentele e mugugni, ma poi ha annunciato di votare la fiducia al nuovo governo, pur sottolineando che il suo voto non era “una delega in bianco”. E Giuseppe Civati, l'unico con la sua corrente a votare contro il golpe di Renzi in Direzione, dopo alcuni giorni di tira e molla, ha finito per dare anche lui la fiducia a Renzi, “per non sfasciare tutto come ha detto Bersani”.
Quanto a SEL, nell'annunciare il no alla fiducia, tutti gli interventi si sono però ben guardati dallo smascherare e attaccare frontalmente Renzi, limitando le critiche ai suoi partner del NCD e assicurando invece al leader del PD un “confronto sui singoli provvedimenti” (De Cristofaro); “occhi attenti per cogliere e apprezzare le novità importanti che dovessero venire” (Stefàno); “il nostro contributo se il suo governo sarà all'altezza delle nostre sfide” (De Petris), e via di questo passo. Per non parlare degli appelli al “rottamatore” a ricostruire una futuribile alleanza di “centro-sinistra”, come questo accorato e conclusivo alla Camera di Gennaro Migliore: “Non confondiamo avversari (Renzi, ndr) con nemici (Alfano, ndr). La nostra idea è sempre la stessa ed è dritta: vogliamo ricostruire il centrosinistra. Non si rassegni, Presidente, a sognare da solo (sic). Non si rassegni. Bisogna sognare insieme agli uomini e alle donne che nel centrosinistra credono e che vogliono cambiare definitivamente questo Paese”.

L'opposizione strumentale del M5S
Solo i deputati e senatori del Movimento 5 Stelle hanno sparato a zero su Renzi, con una valanga di interventi che lo hanno “massacrato” senza pietà dicendogli di tutto: che lui era lì “in virtù di un patto stretto coi poteri forti”, che la sua è una “banda di giovani vecchi”, che è “abituato a mentire, degno allievo di un ex primo ministro teleimbonitore”, che è solo una spruzzata di profumo per coprire il tanfo del vecchio sistema”, che il suo è “un governo nato dalla menzogna e dal tradimento”, “ultimo dei becchini della sinistra italiana”, “paggetto di Arcore”, “presidente del Consiglio per mandato di Re Napolitano”, “Berlusconi 2.0”, e così via. Gli hanno ricordato tutte le sue dichiarazioni regolarmente smentite dai fatti, le sue simpatie per il delinquente Berlusconi e per i vari Marchionne, Briatore ecc. e le sue “amicizie” con i vari Gutgeld, Carrai, Bernabé, Serra, Mediobanca, De Benedetti, Caltagirone, Montezemolo e perfino l'agente Cia Michel Ledeen, nonché le sue posizioni favorevoli agli inceneritori, alla privatizzazione dei servizi pubblici, di voler inciuciare con Berlusconi e Alfano sulla giustizia, e chi più ne ha più ne metta.
Tutte cose verissime, ma a ben guardare anche strumentali, mirate a concludere alla fine che la risposta a tutto ciò non è chiamare i lavoratori, i precari, gli studenti, e tutti gli oppositori della politica liberista e di macelleria sociale alla lotta di massa per abbattere il governo di destra del Berlusconi democristiano, ma per appoggiare l'azione parlamentare del M5S e farlo vincere alle prossime elezioni europee e alle prossime politiche, aspettando che vada al governo per risolvere tutti i problemi: “Noi siamo pronti a governare questo Paese – ha detto infatti Federico D'Incà alla Camera dichiarando il no del M5S alla fiducia – . Oggi la maggioranza di quest'Aula darà la fiducia a questo governo, e sarà l'ultimo governo dei partiti. Non conosciamo ancora ora e giorno delle nuove elezioni, ma vi posso assicurare che il prossimo sarà il governo del Movimento 5 Stelle”.
Questo sarebbe solo un modo per sostituire un governo borghese ad un altro governo borghese diversamente camuffato, un modo surrettizio per difendere in extremis le marce e screditate istituzioni borghesi e il capitalismo. Per noi marxisti-leninisti, invece, la cacciata del governo Renzi può e deve avvenire – come indica il Documento dell'Ufficio Politico del PMLI del 25 febbraio – solo attraverso “una dura opposizione di classe e di massa nelle fabbriche, in tutti i luoghi di lavoro, nelle scuole e nelle università, nelle piazze e nelle organizzazioni di massa, specie sindacali e studentesche”. Ed è solo una tappa – anche se indispensabile - della lotta più generale per la conquista del socialismo, l'unica che può cambiare l'Italia e dare il potere al proletariato.
 

5 marzo 2014