Gli imperialisti americani, russi ed europei si contendono il controllo dell'Ucraina
Il nuovo zar Putin schiera le sue truppe in Crimea

 
Che il nuovo zar Vladimir Putin non sarebbe stato tranquillo spettatore delle manovre dei concorrenti imperialisti americani e europei impegnati a sfilargli l'Ucraina era scontato ma il braccio di ferro innescato con la decisione del Cremlino di schierare le truppe russe nella regione autonoma di Crimea ha fatto schizzare la tensione alle stelle tra minacce di sanzioni economiche e rottura di accordi commerciali da parte degli Usa, di boicottaggio di tutte le potenze occidentali del prossimo vertice del G8 a Sochi. Le speranze alimentate dal successo della rivolta popolare contro il corrotto regime del presidente deposto Viktor Yanukovich, riparato in Russia, erano già state freddate dal nuovo vertice filo-Ue ucraino che annunciava pesanti misure di austerità a carico delle masse popolari, non certo dei capitalisti molti dei quali passati in fretta e furia armi e bagagli dal sostegno al precedente regime all'appoggio a quello nuovo. La reazione della Russia ha aperto un secondo importante capitolo nella crisi del paese e dato il via a un braccio di ferro dei paesi imperialisti la cui posta in gioco è il controllo dell'Ucraina.
Il presidente pro tempore Oleksandr Turchynov e il nuovo premier del governo transitorio Arseni Yatseniuk, entrambi del partito Patria e stretti collaboratori della ex premier Yulia Tymoshenko, chiedevano il 27 febbraio l'aiuto del Fondo Monetario Internazionale (Fmi) per coprire almeno una parte dei 35 miliardi di dollari necessari al paese per evitare il default e far fronte nell'immediato anche alla chiusura dei rubinetti da parte della Russia. Richiesta accolta dal direttore generale del Fmi, la francese Christine Lagarde, cui si associavano nei giorni successivi gli Usa con la messa a disposizione di Kiev di un prestito di almeno un miliardo di dollari.
L'attenzione però si spostava rapidamente sul fronte militare con la decisione del 26 febbraio del presidente russo Putin di mettere le truppe in stato di allerta e dare il via a delle manovre presso la frontiera ucraina con la partecipazione di oltre 150 mila soldati e un migliaio di mezzi fra carri armati, aerei e navi della flotta del Mar Nero la cui base si trova in Crimea.
Proprio nella regione autonoma di Crimea a maggioranza russofona, che da provincia dell'allora Urss era associata all'Ucraina nel 1954, decine di migliaia di manifestanti occupavano le sedi del governo e del parlamento locali nella capitale Sinferopoli, ammainavano la bandiera ucraina e issavano quella russa. Il parlamento riunito in sessione straordinaria destituiva il governo e indiceva per il 30 marzo un referendum a favore della richiesta di una ancora maggiore autonomia da Kiev.
La Russia "risponderà in una maniera decisa e senza compromessi a violazioni dei diritti di compatrioti da parte di Stati esteri" tuonava da Mosca il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, e per “proteggere” gli abitanti russofoni della Crimea inviava nella penisola almeno 2 mila paracadutisti che occupavano i principali aeroporti. L'intervento armato era approvato l'1 marzo dal parlamento di Mosca “fino a quando la situazione nel Paese non si sarà stabilizzata”.
Per il governo di Kiev, del quale fanno parte tre ministri fascisti, si trattava di una “invasione armata russa”; in appoggio arrivava la condanna di Obama e dei leader europei.
Ma la questione della Crimea è solo una parte del problema dato che anche in diverse località dell'Ucraina orientale, nella parte abitata a maggioranza dalla popolazione russofona, si moltiplicavano le manifestazioni contro il nuovo governo, pro-Ue insediatosi a Kiev.
Il segretario di Stato americano John Kerry, in procinto il 2 marzo di recarsi a Kiev con la promessa del miliardo di dollari in aiuti avvertiva la Russia che se non avesse fermato l'escalation militare contro l'Ucraina ci sarebbero state gravi ripercussioni nei rapporti con gli Stati Uniti. Lanciava inoltre l'ipotesi del boicottaggio del vertice del G8 a Sochi, trovando immediato appoggio nella Francia e nella Gran Bretagna, le due potenze europee ultimamente più vicine a Obama quando si tratta di intervenire o di minacciare interventi, dalla Libia alla Siria per restare alle ultime.
Maggior prudenza era messa un campo dalla Merkel che dopo un colloquio telefonico con Putin concordava col presidente russo la creazione di un “gruppo di contatto” per il ripristino del dialogo fra le potenze e l'invio di una missione congiunta in Ucraina per la verifica dello sviluppo della situazione sotto l'egida dell'Osce. l'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione Europea. Una tattica diversa, più formalmente dialogante e meno muscolare di quella ventilata dagli Usa e dai due galletti europei, per partecipare comunque al gioco del controllo sull'Ucraina. La linea della Germania, che punta a tutelare anche i consistenti scambi commerciali con la Russia che salterebbero con le minacciate ritorsioni che Washington vorrebbe attivare, sarà quella della Ue; appoggiata anche dall'Italia che ha altrettanti buoni motivi economici, a partire dalla forniture di gas, per non andare al muro contro muro con Putin.
Il 4 marzo Putin annunciava la fine delle esercitazioni militari al confine con l'Ucraina e il ritiro di quelle inviate in Crimea confermando che, per il momento, "non è necessario inviare truppe russe", benché la Russia "si riservi il diritto di usare ogni mezzo per proteggere il popolo". "Mosca è dalla parte sbagliata della storia", rispondeva da Washington Barack Obama mentre il suo segretario di Stao Kerry a Kiev affermava che “la Russia si sta comportando come se fossimo nell'800, invadendo un altro paese sulla base di pretesti completamente inventati”. La retorica imperialista è senza ritegno e sarà persino un editorialista del Washington Post a evidenziarlo ricordando che quando una grande potenza militare vuole colpire una più piccola non esita a inventarsi pretesti, dall'Iraq di Bush alla Libia di Obama; fino a quella costruita da Obama cogli alleati europei per abbattere il regime di Assad in Siria, fallita finora per l'opposizione in particolare della Russia. Gli stessi protagonisti del braccio di ferro per il controllo dell'Ucraina.

5 marzo 2014