In combutta coi clan imprenditori, funzionari anche delle Poste ed evasori senza scrupoli
Riciclati centinaia di milioni dalla banca delle 'ndrine in Brianza
34 gli arresti. Il boss: “Dobbiamo essere come i polipi: i tentacoli devono arrivare ovunque”

 
Una grande operazione di polizia coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano ha portato in carcere 34 persone legate alla ‘ndrangheta calabrese e al sequestro di beni mobili e immobili per il valore di decine di milioni di euro in Lombardia, permettendo altresì di individuare una vera e propria banca occulta che operava completamente al di fuori del ciclo del credito legale.
I reati contestati a vario titolo agli arrestati sono di associazione mafiosa, riciclaggio, usura, estorsione, corruzione, esercizio abusivo del credito e intestazione fittizia di beni e società
Sostenuta da una rete di 39 società di copertura e coperta dalla collaborazione attiva di dipendenti postali, bancari e di imprenditori, la banca clandestina aveva sede in un retrobottega di un locale di Seveso (Monza Brianza) ed era gestita da Giuseppe Pensabene, 47 anni, affiliato alla ‘ndrangheta fin dagli anni '80 e co-reggente, secondo i magistrati lombardi, della cosca di Desio.
È sua la voce registrata dalle intercettazioni mentre dice testualmente “dobbiamo essere come i polipi, ci dobbiamo agganciare dappertutto, i tentacoli devono arrivare dappertutto”, ed infatti aveva creato una vera e propria organizzazione imprenditoriale a base capitalista del tutto integrata con il tessuto economico dell’intero territorio lombardo. Alla faccia della Lega razzista e secessionista che continua a raccontare la favoletta che la maifa sarebbe confinata nel Meridione ed estranea al Nord.
Le casse dell’istituto di credito illegale erano sempre piene, ingrassate dai soldi che - derivanti dall’attività di usura e da altri reati - venivano sistematicamente riciclati, ovvero reinvestiti per acquistare attività economiche nel settore dell’edilizia, dei trasporti. della nautica, delle energie rinnovabili, del commercio, della ristorazione e degli appalti pubblici.
Una parte dei capitali accumulati - hanno accertato i magistrati milanesi - è finita nelle banche della vicinissima Svizzera o della Repubblica di San Marino per essere riciclata o come forma di assistenza e previdenza per aiutare le famiglie dei carcerati di ‘ndrangheta.
Esattamente come una banca legale l’organizzazione messa in piedi concedeva - a tassi elevatissimi di carattere pienamente usurario - prestiti a imprenditori che talvolta erano costretti, non potendo restituire i prestiti, a cedere le proprie attività all’organizzazione criminale, la quale prontamente le reinseriva nel ciclo economico, ed infatti fondamentale era la complicità di alcuni dirigenti di istituti di credito e anche di un direttore e di alcuni dipendenti di un ufficio postale della Brianza, tutti corrotti con favori e regali, che autorizzavano prelievi di contanti in violazione di tutte le norme antiriciclaggio.
Pensabene si occupava inoltre della gestione dell’ampia rete di società di copertura, alcune usate per schermare i capitali illeciti: i magistrati hanno calcolato in alcune centinaia di milioni di euro il denaro riciclato nel corso di alcuni anni dall’organizzazione che serviva da sportello, oltre che per proprie attività, anche per quelle di altri gruppi criminali lombardi, come quello dei fratelli Martino, Giulio e Domenico, referenti della cosca Liberi, o quello su un gruppo legato alla famiglia Fidanzati, e con Antonio Robertone, detto “Ciccio Panza”, esponente di spicco della cosca Mancuso.
Altra figura di spicco dell’organizzazione era quella di un ex politico di Forza Italia, assessore all’urbanistica di Cesano Maderno negli anni ’90, Domenico Zema detto Mimmo, anche lui ritenuto al vertice della ‘ndrina di Desio.
La raccolta del denaro veniva alimentata anche da imprenditori che depositavano capitali frutto di evasione fiscale, e a questo proposito ciò che più impressiona i magistrati lombardi, come si legge nell’ordinanza, è la perfetta integrazione dell’istituto di credito illegale nel tessuto economico lombardo: “per alcuni operatori economici la mafia rappresenta un vincolo, per altri un’opportunità” scrive il Giudice per le indagini preliminari che sottolinea come tutti gli imprenditori che entravano in contatto con l’organizzazione di Pensabene conoscevano perfettamente e senza ombra di dubbio la sua natura criminale, e proprio per questo cercavano di trarne il maggior profitto possibile per le loro attività.
Il magistrato, pur con il tecnicismo giuridico delle sue parole, afferma un concetto chiarissimo, cioè quello della tendenza all’illegalità del sistema economico capitalista che viola qualsiasi legge giuridica in nome della legge economica del profitto. Infatti le organizzazioni criminali di stampo mafioso fanno ormai parte del tessuto economico del capitalismo italiano in un intreccio ormai inestricabile nel quale i capitalisti legali, pur di far profitti, stringono coscientemente patti con altri capitalisti, questa volta illegali. E una compenetrazione tra potere economico e potere politico.

12 marzo 2014