Mezzo milione di posti di lavoro perduti nell'ultimo anno
Disoccupazione al 13%, la più alta dal 1977
Tra i giovani è al 42,3%

Nonostante le rassicurazioni dei politicanti borghesi gli effetti della crisi sull'occupazione nel nostro Paese sono sempre più drammatici anche se l'Istat mette in campo una serie di dati che creano confusione tra la percentuale di occupazione e quella di disoccupazione. Comunque sia i numeri dell'istituto nazionale di statistica certificano una realtà che le masse popolari hanno già sperimentato sulla propria pelle: il 2013 è stato il peggior anno da quando è scoppiata la crisi nel 2008. Anzi i dati sulla disoccupazione non raggiungevano questi livelli da ben 35 anni, arrivando alla spaventosa cifra del 13% con un aumento dell'1,1 rispetto al 2012 che tradotto in cifre significa in un anno aver perso quasi mezzo milione di posti di lavoro, esattamente ci sono 478.000 occupati in meno.
In questo modo la disoccupazione italiana ha superato di quasi un punto quella dei paesi dell'euro che si attesta al 12%. Certo la colpa è della gravissima crisi capitalistica che partita dagli Stati Uniti ha poi raggiunto l'Europa e il resto del mondo fino a frenare anche quelle economie che sino ad ora erano in pieno sviluppo come Russia, Brasile e India o Paesi che avevano un aumento del PIL a doppia cifra come la Cina. A questo però si devono aggiungere peculiarità tutte italiane, ad esempio la piccola dimensione delle aziende italiane che le vede svantaggiate nella spietata guerra commerciale sui mercati internazionali e le controriforme che di fatto hanno favorito le ristrutturazioni e i licenziamenti.
Se disaggreghiamo i dati emergono chiaramente altre situazioni allarmanti. I senza lavoro tra i 15 e i 24 anni raggiungono l'agghiacciante percentuale del 42,3% che vede un incremento del 4% netto rispetto all'anno precedente, il più forte aumento rispetto a tutti i 28 paesi dell'Unione Europea. Un'intera generazione impossibilitata ad avere un proprio reddito è costretta a campare con l'aiuto di genitori e familiari. Anche in questo caso c'è un'aggravante tutta italiana che sono le controriforme delle pensioni da quella Dini a quella della Fornero che in poco più di 15 anni hanno innalzato di 10 anni (e oltre per le donne) l'età pensionabile creando un blocco per il lavoro giovanile che ha aggravato la già pesante situazione occupazionale.
Nel Mezzogiorno i disoccupati sono il 19,7% mentre nelle tre regioni più martoriate del nostro Sud (Campania, Sicilia e Calabria), supera ampiamente il 20%. La disoccupazione giovanile è ancora in aumento di 0,3 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 0,8 punti su base annua. Nel quarto trimestre del 2013 il tasso di disoccupazione dei giovani tra 15 e 24 anni sale al 43,5% (era il 39,0% nel quarto trimestre 2012). Nelle regioni meridionali oltre la metà della forza lavoro giovanile (occupati e disoccupati) è in cerca di lavoro, con valori del tasso pari al 52,4% per i maschi e al 59,8% per le giovani donne. Insomma quando c'è una classifica negativa, purtroppo, il Mezzogiorno si trova sempre in prima posizione confermando l'enorme divario che lo separa dal resto dell'Europa.
Di fronte a questi dati il capo del governo, il Berlusconi democristiano Renzi, ha subito cinguettato su Twitter:“ cifre allucinanti” e ha promesso immediatamente il suo decreto sul lavoro (il “Jobs Act”). Ma questo decreto non farà altro che proporre contratti di 2 o 3 anni in cui i neoassunti non avranno la copertura dell'articolo 18 e potranno essere licenziati in qualsiasi momento, toglie la cassa integrazione sostituita da un sussidio che quando sarà finito lascerà il lavoratore sul lastrico senza nemmeno la speranza di poter rientrare nella propria azienda. In tutti i paesi europei i governi hanno stangato le masse ma in Italia l'impoverimento dei lavoratori e pensionati è stato talmente repentino che il mercato e i consumi interni sono crollati, tanto che le aziende italiane che lavorano sono quelle che producono per l'export o fanno prodotti costosi che grazie al consolidamento del tenore di vita dei ricchi non conoscono crisi.
Non ci sono nemmeno politiche per favorire adesso l'occupazione. L'economia capitalistica si conferma una coperta troppo corta che ingrassa i ricchi e non è in grado di soddisfare i bisogni delle masse. Fermo restando la posizione predominante e i profitti della borghesia, ai lavoratori non restano che le briciole e quando ci sono i momenti di crisi la loro situazione si aggrava. Politiche di austerità, tagli alla spesa pubblica e sociale che tradotto in soldoni significa peggioramento delle condizioni di vita delle classi subalterne e naturalmente grande crescita dell'esercito dei disoccupati che in Italia conta l'impressionante cifra di di 3milioni e trecentomila donne e uomini.

12 marzo 2014