Le religioni oppio dei popoli


di Eugen Galasso
Che le religioni fossero (e naturalmente tuttora siano) proiezione di tensioni umane lo sapevano già gli antichi, almeno ad iniziare da Senofane (570-475 a.C., nella cronologia di quello che tuttora spesso viene definito, non a caso, "Occidente cristiano"), che significativamente affermava che "se i cavalli concepissero l'idea di divinità, si rappresenterebbero gli dèi come cavalli, con caratteristiche tipiche dei cavalli". In seguito, la filosofia ma anche più in generale la cultura greca, comunque al servizio del potere "democratico", in realtà al servizio del "capitalismo commerciale" della Città-Stato (pòlis), inizierà ad esprimere la critica alla religione in forma velata o comunque estremamente complicata: si veda il "democratismo" (ma nel senso accennato) di Socrate (469-349 a.C), che degli dèi parla come "riferimento ideale", l'aristocratismo di Platone (427.-347 a.C.), che degli dèi parla quasi unicamente in chiave simbolica, il democratismo moderato di Aristotele (383-322 a.C.) che degli dèi o piuttosto vagamente di un dio Causa Prima-Motore immobile del mondo parla in termini solamente astratti. Da un lato, tali pensatori si rivolgevano ad una cerchia di "eletti"/colti lontani dal popolo, dall'altro al popolo non volevano togliere la speranza in un "oltremondo" che sapevano illusorio.

Politeismo e monoteismo
Inutile dire che il pensiero romano-latino non fa eccezione, anzi conferma la regola, quella di parlare in termine velati, inaccessibili al disprezzato "volgo": Cicerone (106-43.a.C.) pur avendo criticato nel "De divinatione" ("Sull'arte divinatoria") le superstizioni religiose, nel "De natura deorum" ("Sulla natura degli dèi") sostiene che la credenza negli dèi è universale ("consensus gentium", ossia "consenso dei popoli", perché tutti i popoli crederebbero - tesi più che discutibile, peraltro - in qualche forma nell'esistenza degli dèi), caldeggiando tale "fede" quale comodo strumento di dominio-potere delle classi abbienti (di "borghesia", nella concezione moderna-marxiana non possiamo ancora parlare, come si sa) nei confronti di quelle non abbienti (anche qui parlare di "proletariato" sarebbe improprio). Idem, con qualche differenza, in Seneca (4 a.C.-65 d.C.) che, pur ribadendo non essere le cause naturali riconducibili senz'altro al disegno divino, nel "De Providentia" ("Sulla provvidenza") afferma che l'ordine della natura e della "storia" (dunque l'allora presente sistema di dominio imperiale) non può essere casuale, ma riconducibile alla volontà di un dio o addirittura di Dio nel senso monoteistico, pre-cristiano (per secoli si pensò a un Seneca in corrispondenza con Paolo (San Paolo per i cristiani, il primo teologo-intellettuale cristiano), ma tale tesi è facilmente "smontabile" sul piano storico.
Inutile dire troppo del cristianesimo, che afferma, ovviamente, senza poterla dimostrare la storicità-divinità di Cristo, segnalandosi per alcune caratteristiche: la negazione della cultura (proibita per secoli, poi sottoposta a restrizioni intollerabili), l'odio per ogni altra religione (Crociate nel Medioevo), Guerra dei Trent'anni (1618-1648) tra cattolicesimo e protestantesimo, l'odio per ogni "eresia", ossia ogni concezione nata all'interno del cristianesimo ma che ne metta in discussione i dogmi di fede: così la persecuzione di gnostici (sostenitori di una spiritualità astratta, lontana dal Dio personale della Chiesa allora "cattolica", ossia presunta universale), Catari (prosecuzione dello gnosticismo nel Medioevo, soprattutto nel "Midi" (Sud) della Francia molto legati, peraltro, alle classi popolari, fautori di una totale eguaglianza di diritti tra uomini e donne, quindi ferocemente avversati dall'ortodossia cristiano-cattolica, dei proto-Protestanti Valdesi (da Valdo, Valdesius de Lyon, 1140-1206) che, pur accettando i dogmi chiesastici di fondo (Trinità, incarnazione di Cristo etc.), nega però il miracolismo legato alla Vergine e ai "Santi". Inutile sottolineare come il cristianesimo si sia sempre dimostrato come "religione di Stato", da quello (parlo ovviamente dello Stato) imperialistico a quello feudale, in cui l'Impero coesisteva con l'"anarchia feudale", a quello borghese-capitalistico, nelle sue varie forme ed espressioni.
Ma quanto detto per il cristianesimo vale per ogni altra religione: l'Islam si manifesta come intollerante da Muhammad (570-432 d.C.) in poi, dove non a caso le reprimende-condanne colpiranno pensatori come Averroé (Ibn Rusd, 1126-1198), Avicenna (Ibn Sina, 980-1032), che, anche per il loro impegno scientifico, nel campo della fisica e soprattutto dell'ottica, della medicina e di altre scienze, affermano, pur con molta prudenza, i contrasti tra Islam da un lato e scienza, ma anche filosofia, dall'altro. Non Avicenna, ma Averroé verrà esiliato e sorvegliato per tutta la vita. Ma paradossalmente anche un pensatore "mistico" (sostenitore cioè di un rapporto diretto tra umanità e Dio) quale Al Ghazali (1058-1111), che, contro Avicenna e Averroè rifiutava la "pagana" filosofia greca di Platone e Aristotele, tollerato in vita, diverrà quantomeno sospetto quando il pensiero islamico si fa religione organizzata, anche perché sostenitore del sufismo, sorta di "gnosi" (="conoscenza", pur se in chiave mistica) islamica.
Oggi gli imam, detentori di potere sia nel mondo sunnita (arabo) sia in quello sciita (iraniano, solo in parte arabo) condannano le opere di Al-Ghazali come anche tutto il sufismo.

Tutta una concezione del mondo reazionaria
Anche la prima religione monoteista, del "Libro", quella ebraica, che almeno non fa proselitismo (non invita-esorta-obbliga) alla conversione, come invece fanno Cristianesimo e Islam, non fa sconti sulle dottrine: il pensatore e medico, ma anche scienziato Mosé Maimonide (Moshé ben Maimon, 1138-1204), nato in Spagna come Seneca, vissuto quasi sempre nel mondo islamico, tanto da essere il medico di corte dei Sultani (ma anche gratuitamente, dei poveri), ebbe vari problemi per la sua interpretazione "razionalistica" (cioè logica-argomentativa, potremmo anche dire "dialettica") della "Torah", ossia dell'Antico Testamento e in particolare nei suoi cinque libri fondamentali (il "Pentateuco", si dice nel mondo "occidentale"), ma anche della tradizione scritta e orale successiva del mondo ebraico-rabbinico sull'Antico Testamento stesso. L'ebraismo, realtà complessa ma complessivamente unitaria (fortissima anche attualmente la presenza di atei in Israele, però sempre disposti a compromessi per "la maggior gloria” dello stato israeliano), tra Ottocento e Novecento con il "sionismo", realtà anch'essa complessa, inizialmente "socialista" (ma in termini socialdemocratico-revisionistici), con Ben Gurion (1896-1973), peraltro socialista-laburista, dichiaratamente ateo, fondatore dello Stato d'Israele, diverrà talmente imperialista da sostenere, che "lo Stato d'Israele si estende fin dove giunge il piede di un soldato israeliano". Se pensiamo ad Ariel Sharon (1928-2014, scomparso per la precisione lo scorso 11 gennaio), estremamente duttile nelle sue scelte politiche (laburista, conservatore, centrista, alternativamente), anch'egli "di scarsa fede", recepiva però dalla Bibbia il concetto imperialistico di Dio quale "Signore degli eserciti" e questo è il paradosso, in realtà apparente, di tutto l'ebraismo, israeliano ma non solo.
Non differente è il panorama delle religioni orientali, oggi così amate (certo fraintese, mal comprese, adattate ad usum delphini ) dalla borghesia occidentale: imperialista è chiaramente è l'induismo, come noto. Inutile ripercorrerne la storia, basti pensare al fatto che nel Novecento, ad uccidere il "liberatore dell'India", il borghese iperconservatore (intollerante in materia sessuale, nemico dell'emancipazione della donna, convinto assertore della separazione delle caste) e "teorico della nonviolenza" (che significa, in pratica, la negazione di ogni possibilità rivoluzionaria) Gandhi (detto "Mahatma", "grande anima", 1869-1948) fu un induista fanatico, che riteneva troppo tiepida la fede del "padre della patria indiana".
Anche il buddismo, pur nelle sue forme ateistiche (ma anche il Nulla, il Nirvana, è una forma di divinità, come in certe correnti gnostiche, nel Vicino Oriente e nel sufismo), è intollerante, come dimostrano eventi storici recenti, in India come altrove in quello che in "Occidente" viene definito "Estremo Oriente". Per quanto riguarda il confucianesimo, moralità più che religione propriamente detta, nessuno lo ha demistificato meglio del Presidente Mao in tutta la sua opera e azione. Dal punto di vista dell'opera, pur se la critica ad esso è nell'Opera omnia, in tutte le sue opere, esso risalta soprattutto nel saggio "Sulla contraddizione" (1937), in cui Mao polemizza contro l'opportunismo di sinistra di Wang Ming, sostenitore di una sorta di neoconfucianesimo a-dialettico anzi anti-dialettico, che si basa sul pensiero statico degli Han occidentali, per cui "Il cielo è immutabile, immutabile è il Tao". In "Sulla Nuova democrazia" (1940), poi, questa citazione assolutamente fondamentale: "In Cina esiste anche una cultura semifeudale, riflesso della politica e dell'economia semifeudale. I suoi rappresentanti vantano il culto di Confucio, lo studio del canone confuciano, la vecchia morale e le vecchie idee che si oppongono alla nuova cultura e alle nuove idee...Queste culture sono al servizio degli imperialisti e della classe feudale e devono essere abbattute.”
 

12 marzo 2014