Senza contratto due lavoratori su tre
La scuola la più penalizzata dal blocco dei contratti

 
Otto milioni e 500 mila dipendenti in Italia lavorano con il contratto scaduto. Secondo l’Istat (Istituto Nazionale di Statistica) corrispondono a due lavoratori su tre, sia nel settore pubblico che nel privato; riguardano le categorie dei commessi, degli statali, degli edili, dei dipendenti degli studi professionali e quelli della sanità privata.
Da solo il comparto della Pubblica amministrazione conta 2,9 milioni di lavoratori con il salario bloccato a quello di sei o otto anni fa. L’attesa media per il rinnovo del contratto è di 24,5 mesi per i dipendenti pubblici, 11,8 mesi per chi lavora nel privato.
Tra tutti questi, lavoratrici e lavoratori pubblici, i più colpiti sono quelli della scuola che hanno lo stipendio più basso dei paesi Ocse. Se per gli altri il blocco dei contratti dura 4 anni, per loro il 2014 sarà il quinto anno. Secondo la relazione della Corte dei conti al parlamento il blocco dei contratti costerà 3.348 euro ai docenti, 6.380 ai dirigenti scolastici, 2.416 al personale Ata. A questo dovrà essere aggiunta la somma non ancora calcolata del congelamento dell’indennità di vacanza contrattuale. Il congelamento dei salari è accompagnato dal taglio del personale nel comparto pubblico che, secondo fonti Aran, è pari ad almeno 300 mila lavoratori dal 2006 a oggi.
Se Letta e Saccomanni, nel governo precedente, hanno definito le modalità di computo dell’indennità di vacanza contrattuale fino al 2017, congelandola ai valori 2013; hanno tagliato l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale a fine 2014; hanno limitato ancora di più il turn-over e modificato al ribasso le regole per il riconoscimento degli straordinari, per “rientrare” nei parametri dell’austerità, confermando la cancellazione dei diritti acquisiti e delle retribuzioni dovute, il Berlusconi democristiano Renzi è andato avanti. Non ha “cambiato verso” alla politica delle controriforme neofasciste dei suoi predecessori ma ha accellerato il passo e mentre annunciava la privatizzazione della pubblica amministrazione, che significa la licenziabilità dei dipendenti pubblici, la gestione privatistica e meritocratica delle scuole (gli insegnanti e la scuola non hanno bisogno di soldi, ma di “un cambio di forma mentis”), il neo-ministro dell’Istruzione, la montiana Stefania Giannini, ha promesso di portare i licei a quattro anni, di abolire gli scatti di anzianità per i docenti, di aumentare l’orario di servizio dei docenti delle scuole secondarie a 24 ore a parità di salario, il probabile taglio del fondo d’istituto e, dulcis in fundo, di riesumare il Ddl Aprea respinto con la lotta da docenti e studenti.

12 marzo 2014