Il Consiglio supremo della difesa respinge ogni ipotesi di tagli ed esaminerà il “Libro bianco” sulla riorganizzazione dell'esercito imperialista interventista
Napolitano dice no al taglio degli F35

Le voci sull'arrivo di nuovi tagli alla spesa pubblica per finanziare il piano di sgravi fiscali e di rilancio dell'economia annunciato da Renzi non potevano non rimettere in primo piano anche il tema delle spese militari, e in particolare quello dell'acquisto dei 90 cacciabombardieri F35, per supportare il “nuovo modello di difesa” interventista dell'imperialismo italiano, che ci costerà oltre 13 miliardi per i prossimi anni, più le altre esorbitanti spese di esercizio e manutenzione che il loro impiego dovrà necessariamente comportare. Senza contare che negli ultimi mesi si sono infittite le notizie sui loro gravi difetti e conseguente inaffidabilità, tanto che già diversi governi hanno deciso di riconsiderare il programma di acquisto che avevano firmato.
Nel luglio 2013, quando il tema degli F35 era stato sollevato in parlamento – e non quello dell'abolizione, bensì del semplice riesame del programma di acquisto - era intervenuto con l'ennesimo golpe istituzionale il presidenzialista Napolitano a stroncare ogni velleità di ripensamento, sentenziando del tutto arbitrariamente che solo l'esecutivo ha il potere di decidere sui programmi di armamento già avviati. Il suo intervento aveva aperto anche un contenzioso col parlamento, in quanto l'articolo 4 della legge 244 del 2012 modifica il codice dell'ordinamento militare stabilendo il parere vincolante del parlamento sui programmi di armamento, mentre secondo l'interpretazione di Napolitano si tratterebbe ancora di un parere non vincolante.
Ma stavolta la contraddizione tra i roboanti annunci di “lotta agli sprechi” di Renzi e il mantenimento dell'acquisto degli F35 era talmente stridente, che il rinnegato Napolitano non ha potuto fare la voce grossa come allora, e perciò ha dovuto concertare col presidente del Consiglio e la ministra della Difesa, Roberta Pinotti, una vera e propria melina, per rimuovere lo scottante tema dal tappeto e rimetterlo nel dimenticatoio. Ecco allora che, alla vigilia del Consiglio supremo della difesa convocato al Quirinale per il 19 marzo, hanno cominciato a circolare sulla stampa di regime “voci” e “indiscrezioni” su presunte riduzioni degli F35 attribuite a fonti del governo e del ministero della Difesa: prima un dimezzamento degli aerei da 90 a 45, poi solo una quindicina di meno, poi di un congelamento dei pagamenti, e così via. Perfino della vendita sul mercato della portaerei Garibaldi per fare cassa. Voci alternativamente mezzo confermate e mezzo smentite ad arte dalla ministra Pinotti, che dichiarava che sugli F35 l'atteggiamento del governo era di “rivedere, ridurre, ripensare”, e che (intervista a Sky Tg24 ) su questo “c'è un impegno assunto dal governo”, ma prima “bisogna chiedersi che difesa vogliamo, quale tipo di protezione ci può servire”, e comunque bisogna aspettare “la fine dell'indagine conoscitiva per prendere una decisione”. Mentre Renzi aggiungeva ambiguamente: “Il ministro Pinotti ha ragione a dire che risparmieremo molti soldi dalla Difesa: 3 miliardi di euro, non tutti dagli F35, ma dal recupero delle caserme e dalla riorganizzazione delle strutture militari. Sugli F35 continuiamo con i programmi internazionali e una forte aeronautica ma quel programma sarà rivisto”.

Operazione demagogica a tre voci
Tutte promesse, le suddette, vaghe quanto basta per gettare fumo negli occhi dell'elettorato di sinistra e di idee antimilitariste, accreditando una presunta “discontinuità” del governo Renzi da quelli precedenti sul tema degli F35, senza tuttavia essere suffragate da uno straccio di impegno concreto a ridurli davvero, precisando in che quantità e in che tempi. Men che mai a rinunciare del tutto al loro acquisto, con la scusa del veto di Napolitano, il quale accetta di buon grado di recitare la parte della “sentinella” degli F35, lasciando a Renzi e alla Pinotti quella dei “fosse per me li taglierei”.
Questa sporca operazione demagogica a tre voci è stata efficacemente supportata dalla stampa di regime, e tra l'altro a fargli da sponda si è prestato con particolare solerzia anche il manifesto trotzkista, spacciando per giorni ai suoi lettori fantasiose ricostruzioni su una presunta volontà di Renzi, della Pinotti e del PD di ridimensionare il programma degli F35, in contrapposizione a quella di Napolitano e dei vertici militari, notoriamente contrari a questa ipotesi: “F-35 verso il taglio, Renzi riporta Napolitano in Hangar”, titolava per esempio il quotidiano trotzkista dando questa consolatoria quanto falsa interpretazione del Consiglio supremo della difesa, presieduto da Napolitano, che come si è detto si è tenuto il 19 marzo al Quirinale con la presenza di Renzi, del suo braccio destro Del Rio e della Pinotti, affiancati dai ministri degli Esteri, Mogherini, dell'Economia, Padoan, dello Sviluppo economico, Guidi, e del capo di Stato maggiore della difesa, ammiraglio Binelli Mantelli.
Un vertice che nelle aspettative avrebbe dovuto decidere non solo sugli F35, ma anche sulla scottante questione dell'interpretazione da dare alla legge 244 sul parere vincolante o no del parlamento riguardo agli investimenti in armamenti. E che invece di quest'ultima questione non ha neanche discusso, mentre riguardo agli F35, che non sono neanche stati nominati nel comunicato finale, ha rinviato ogni decisione come minimo al 2015, cioè ad un “Libro bianco” sul “disegno complessivo della riforma” delle forze armate, da elaborare a cura del ministro della Difesa col concorso del ministro degli Esteri, e da presentare al parlamento entro la fine del corrente anno.

Nessun taglio all'esercito imperialista interventista
Qualsiasi ipotesi di taglio alle spese militari viene così differita di almeno un anno, in attesa di ridefinire il “nuovo contesto strategico”, in particolare nello scacchiere mediterraneo ed europeo, in cui dovrà operare il “nuovo modello di difesa” interventista disegnato per le forze armate: “Il nuovo contesto strategico e le pressanti esigenze di contenimento della spesa pubblica – recita infatti il comunicato del Quirinale – impongono di ripensare e riorganizzare profondamente, sulla base di principi fortemente innovativi, la struttura e la capacità dello strumento militare nazionale, che ancora risentono di schemi concettuali riconducibili al periodo della guerra fredda”.
Napolitano e i militari non negano cioè in astratto il principio che per far uscire il Paese dalla crisi anche le forze armate debbano fare dei “risparmi”, ma in nessun caso si dovrà lesinare sull'ammodernamento tecnologico, sulla qualità e quantità degli armamenti e sulla capacità offensiva del nuovo modello di esercito interventista, e infatti questo modello prevede di spostare una parte consistente dell'attuale spesa militare dal personale, che dovrà scendere di circa 40 mila uomini tra i militari e altri 20 mila tra gli addetti civili entro il 2024, verso l'ammodernamento tecnologico e il rinnovamento dei sistemi d'arma, per un esercito meno numeroso ma più armato, meglio addestrato e dotato di capacità offensive a largo raggio per poter intervenire rapidamente in ogni angolo del globo. E per un tale modello di esercito professionale interventista gli F35, cacciabombardieri d'attacco in grado di portare anche armamento nucleare, e disponibili anche in versione a decollo verticale per la nuovissima portaerei Cavour, sono considerati di importanza strategica irrinunciabile dai vertici militari.
In ogni caso la soluzione trovata dal Consiglio supremo di difesa serve a guadagnare tempo e far sbollire gli umori, e consente a Napolitano di non dover dire a Obama, che sta per arrivare in visita a Roma, che l'Italia rinuncia anche solo in parte ai suoi costosissimi F35. E ciò significa inoltre che, almeno per quest'anno, dei famosi 80 euro in più in busta paga promessi da Renzi, neanche un centesimo proverrà dalla riduzione delle spese militari. Men che meno dalla riduzione degli F35, il cui acquisto sarà al massimo rallentato di qualche mese, per non suscitare troppo scandalo mentre saranno fatti gli altri tagli sanguinosi alla spesa pubblica previsti dalla “Spending review” presa direttamente in mano da Renzi.
Senza contare che, secondo una denuncia della Rete italiana per il disarmo, ci sono altri 2,8 miliardi di spese militari occultate nel bilancio del ministero dell'Economia, e quelli non vengono neanche presi in considerazione per operare eventuali tagli. Gli unici “risparmi” sul bilancio della Difesa che la Pinotti ha annunciato per subito, invece, sono quelli da realizzare con la svendita sul mercato di 385 caserme da dismettere: “Un dovere patriottico”, come lo ha definito annunciando la creazione di un'apposita task force per procedere rapidamente all'inventario e alla messa in vendita ai privati degli immobili più appetibili.

26 marzo 2014