Turbativa d’asta e truffa, arrestato il dg di “Infrastrutture Lombarde” Rognoni, pupillo di Formigoni e Maroni
Verminaio del malaffare borghese su Expo2015

Dal nostro corrispondente della Lombardia
Finalmente i nodi di Expo2015 arrivano al pettine della magistratura dimostrando ancor di più che più che “nutrire il pianeta” tale evento capitalistico nasconde ben altri famelici appetiti.
Questa volta il verminaio del malaffare borghese che si è scoperchiato riguarda Infrastrutture Lombarde S.p.A. (IL), una società di capitali interamente partecipata da Regione Lombardia voluta dall’allora governatore ciellino Formigoni per finanziare grossi appalti come il faraonico Palazzo Lombardia (nuova sede della giunta regionale, inutile “grande opera” simbolo della megalomania neofascista dell’ex dittatore regionale e della dilapidazione di denaro pubblico a beneficio dei capitalisti edili appaltanti della Compagnia delle Opere), e come, ovviamente, i lavori legati all’Expo.
Il direttore generale (dg) di IL, Antonio Rognoni - dimissionario ma mantenuto ad interim dalla subentrata giunta regionale del governatore fascioleghista Roberto Maroni il quale voleva promuoverlo a subcommissario per l’Expo nonostante fosse già indagato dalla Procura di Milano per l’appalto sulla realizzazione della piattaforma su cui sorgeranno i padiglioni per l’esposizione universale (la “Piastra espositiva”) - è stato arrestato insieme con altre sette persone (sei sono ai domiciliari) per una serie di appalti truccati, di concessioni di consulenze senza gara, di falsificazione di documenti tra il 2008 e il 2012; accuse che vanno a vario titolo dalla truffa alla turbativa d'asta e al falso e, per tutti, l'associazione per delinquere. In totale sono 68 i capi d’accusa. Uno degli appalti contestati riguarda proprio Expo: quello da 1,2 milioni di euro sugli incarichi di consulenza legali mentre per quanto riguarda il già citato Palazzo Lombardia viene contestato un "clamoroso conflitto d'interessi". L’inchiesta è scattata dopo la denuncia del padrone di una impresa di Pieve Emanuele (Milano) esclusa dai succulenti appalti.
Rognoni, secondo il gip Andrea Ghinetti, sarebbe stato il "capo, promotore e organizzatore del sodalizio" fra gli otto indagati: gli sono stati contestati 68 capi d'accusa. Il responsabile dell'ufficio gare e appalti della Infrastrutture Lombarde, Pier Paolo Perez, l'altro indagato finito in carcere, è indicato come "organizzatore del sodalizio". E Maurizio Malandra, direttore amministrativo di IL, è definito dal gip "partecipante che assicurava l'emanazione degli atti amministrativi necessari per il raggiungimento degli scopi del sodalizio, garantendo altresì l'impunità agli altri associati".
Gli altri indagati, ai domiciliari come Malandra, "partecipavano intervenendo stabilmente nell'espletamento delle funzioni pubbliche e dei procedimenti di gara, redigendo e falsificando atti di delibera e contratti di assegnazione nonché beneficiando essi stessi, fra gli altri, di reiterati conferimenti di incarichi, con modalità collusive e fraudolente". Sempre secondo gli inquirenti sarebbe stata una "amministrazione a sfondo domestico" degli appalti, quella effettuata da Rognoni. Lo ha affermato durante una conferenza stampa il procuratore aggiunto Alfredo Robledo, che coordina l'inchiesta assieme ai pm Paola Pirotta e Antonio D'Alessio.
Il gip osserva che, riguardo agli appalti individuati come truccati, i documenti informatici e dalle intercettazioni “hanno dimostrato come i soggetti assegnatari fossero stati individuati con largo anticipo…”. Sicuramente per gli inquirenti è stata “gravemente turbata” una gara del valore di 1,2 milioni di euro riguardante l’affidamento “a professionisti esterni dei servizi legali” nell’attività di IL di “supporto e assistenza ad Expo 2015 spa”, ma “ruolo e compiti di Rognoni in relazione all’assegnazione degli incarichi si evincono – scrive il gip nell’ordinanza – poi esplicitamente nella parte in cui vengono rappresentate le manovre occulte finalizzate a pilotare gli affidamenti tecnici presso al direzione lavori nell’ambito delle opere per la realizzazione della “Piastra espositiva”, appalto poi finito alla “Ing. E. Mantovani” SpA, impresa che l’anno scorso era finita nel mirino della Procura di Venezia per presunte tangenti e fatture false.
Proprio su quell’appalto vinto il gip evidenzia che dopo che Formigoni si era lamentato pubblicamente della gara vinta con un ribasso del 43% dalla Mantovani il sottosegretario alla presidenza pro tempore aveva invitato Rognoni a evitare una brutta figura che si sarebbe tradotta in una “sconfitta politica evidente”. Così Rognoni aveva attivato i suoi collaboratori affinché ottenessero garanzie ulteriori all’azienda.
Dagli atti emergono accordi su “future gare”. Sono due le gare relative all’Expo che sarebbero state inquinate da IL per affidare a professionisti esterni la preparazione di “atti e documenti necessari per l’avvio e lo svolgimento delle procedure di affidamento afferenti alla realizzazione delle opere di costruzione per il Sito per l’Esposizione Universale, sino alla stipula dei relativi contratti di appalto”. Tra gli indagati anche Cecilia Felicetti, il direttore generale di Arexpo tra le cui funzioni c’è l’acquisizione delle aree del sito Expo. Secondo il giudice “emerge dagli atti e dai testi delle telefonate riportate che con l’accordo della Felicetti gli indagati hanno già predeterminato l’assegnazione di future gare“.
Per il gip il sistema messo in piedi dall’ex dg creava un “clamoroso e spudorato conflitto di interessi“, situazione che si è verificata anche per quanto riguarda la costruzione di Palazzo Lombardia per la “collusione tra professionisti appaltatori dei servizi legali e partecipanti risultati vincitori alle gare, i quali erano contemporaneamente seguiti – per quelle stesse gare – dai rispettivi studi professionali, in clamoroso e spudorato conflitto di interessi”.
Inoltre i reati sono contestati in concorso con altri indagati a piede libero: Ernesto Stajano, Giovanni Caputi, Barbara Orlando, Manuela Bellasio, Cecilia Felicetti, Nico Moravia, Francesca Aliverti, Manuel Rubino, Giuseppe De Donno, Simona Trapletti, Bruno Trocca, Elena Volpi, Alberto Chiarvetto, Paola Panizza, Roberto Bonvicini, Celestina Naclerio, Erika e Monica Daccò, Marco Caregnato, Marcello Ciaccialupi, Vittorio Peruzzi, Alberto Porro, Gianvito Prontera, Alberto Trussardi, Maria Marta Zandonà, Stefano Alvarado, Massimo Viarenghi, Stefano Chiavalon e Maurizio Massaia.
De Donno è proprio l'ex colonnello del Ros carabinieri al centro della trattativa Stato-mafia. Dopo aver lasciato l'Arma è entrato nel settore della sicurezza privata e ora, in qualità di amministratore delegato della G-Risk, è uno dei nove indagati raggiunti da misura interdittiva, il divieto di esercitare attività direttive, disposta dal gip. Per l'accusa De Donno e la G-Risk sarebbero stati favoriti tramite le gare d'appalto truccate, tra cui quella da 140mila euro per la "rilevazione e gestione del rischio ambientale", collegata ai lavori dell'autostrada Milano-Brescia. Come si legge nel provvedimento del giudice, l'ex ufficiale del Ros il 7 agosto del 2009 era stato nominato da Formigoni "componente del Comitato per la legalità e trasparenza delle procedure regionali di Expo". Le sorelle Daccò, invece, sono figlie di Pierangelo Daccò - già condannato per la vicenda dell’ospedale San Raffaele – che con un appalto truccato aggiudicavano denaro pubblico gestito da IL, per l’organizzazione di eventi mondani, alla loro “Poliedrika” srl che per le megafeste al 31° piano del grattacielo Pirelli ha incassato ben 318mila euro.

26 marzo 2014