L'imperialismo russo si annette la Crimea, l'imperialismo europeo stringe a sé l'Ucraina
I paesi imperialisti occidentali estromettono la Russia dal G8

Il 18 marzo il presidente russo Vladimir Putin firmava l'accordo per il riconoscimento della Crimea come paese sovrano e indipendente. Nei giorni seguenti davano la loro approvazione in rapida successione la Corte costituzionale russa, la Duma e il senato. Il 21 marzo Putin poteva firmare anche il documento per la formale annessione della ex regione autonoma dell'Ucraina alla Federazione russa. Lo stesso giorno a Bruxelles il premier ucraino Arseni Iatseniuk e il presidente del Consiglio europeo Van Rompuy firmavano il documento con la parte politica dell’Accordo di associazione con la Ue; un passo che, secondo il presidente del Consiglio europeo, “simbolizza l’importanza delle relazioni e la volontà di proseguire oltre”. L'imperialismo russo si annette la Crimea, l'imperialismo europeo stringe a sé l'Ucraina; ciascuno si prende al momento la parte su cui ha messo le mani. Putin prometteva che non sarebbe andato oltre, Obama minacciava l'intervento armato previsto dal trattato della Nato per “difendere” i paesi membri. L'Ucraina non è nella Nato, ancora, ma tanto basta per registrare un livello ancora più alto nel braccio di ferro tra i concorrenti imperialisti che giocano sulla pelle dei popoli dell'Ucraina e della Crimea, con le maggioranze dei due paesi che pensano, illudendosi, di stare meglio dall'altra parte.
Dopo la cerimonia solenne nella sala di San Giorgio al Cremlino il 18 marzo, Putin siglava l'accordo con il premier e il presidente del parlamento di Crimea, Serghei Aksenov e Vladimir Konstatinov, e il sindaco di Sebastopoli ma voleva dare maggior peso all'evento intervenendo di fronte ai membri della Duma e del Consiglio della Federazione riuniti in seduta congiunta e insieme agli 83 governatori della Russia per affermare che “la Crimea è stata e resta parte inalienabile" della Russia.
La pratica dell'annessione era completata il 23 marzo con l'emanazione del decreto presidenziale col quale Putin ordinava l'adeguamento entro una settimana della struttura amministrativa della Crimea a quella russa. Nel frattempo i soldati di Mosca occupavano tutte le basi nella penisola cacciandone i soldati di Kiev. Missione compiuta. E Putin garantiva che “la Russia non vuole altre secessioni".
Il 24 marzo all'Aja si riuniva in sessione straordinaria il G8, o meglio il G7 senza la Russia, tornando a essere il gruppo delle una volta maggiori potenze economiche imperialiste occidentali. Presidenti e primi ministri di Usa, Italia, Germania, Francia, Gran Bretagna, Canada e Giappone decidevano di cancellare ufficialmente la riunione del G8 in programma in Russia a Sochi e sostituirla con un summit nel formato ridotto a giugno a Bruxelles. I leader del G7 "sospenderanno la loro partecipazione al G8 finché la Russia non cambierà atteggiamento e l'ambiente torni ad essere tale che il G8 sia in grado di tenere discussioni che abbiano un significato" si affermava nelle conclusioni del mini vertice.
L'esclusione della Russia dal consesso delle grandi potenze mondiali era commentata con sarcasmo Obama: la Russia “è una potenza regionale". Ma era altrettanto facile la replica del ministro degli esteri russo Serghiei Lavrov: la Russia "non è aggrappata al formato G8" perché tutti i principali problemi possono essere discussi in altre sedi internazionali, come il G20, dove sono presenti tra l'altro le potenze una volta emergenti e oramai pari se non superiori a tante del G7, a partire da Cina, India, Brasile e Sudafrica.
Obama restava a l'Aja per il terzo vertice sulla sicurezza e il 25 marzo rilanciava: "se la Russia va avanti, ci saranno conseguenze" e se i Paesi confinanti alla Russia saranno minacciati nella loro integrità territoriale, "gli alleati della Nato obbediranno al principio della difesa collettiva e li difenderanno". "Ci stiamo organizzando in modo ancora più intenso per fare in modo che ci siano piani di emergenza e tutti gli alleati abbiano delle garanzie. Agiremo in loro difesa qualunque cosa accada: questa è la Nato", ribadiva Obama sottolineando che “nessuno può mettere in dubbio il sostegno e l'impegno degli Stati Uniti per la sicurezza dell'Europa. Come alleati della Nato abbiamo il dovere sacro, fondato sull'articolo 5 del Trattato atlantico, di difenderci reciprocamente. Questo non cambierà mai. E proprio questo è il messaggio portato la settimana scorsa dal vicepresidente Biden ai nostri alleati polacchi e baltici. Ed è anche il messaggio che io sono venuto di persona a portare a tutti i nostri alleati europei." Che non sono “minacciati” da Mosca e quindi non ci sarebbero ragioni per il nobel per la pace Obama di suonare i tamburi di guerra, se non per tenere ancora alto il livello del braccio di ferro con Putin.
La sponda per ventilare il possibile intervento della Nato era stata servita a Obama dal generale Philip Breedlove, a capo del Comando alleato dell'Europa, che due giorni prima, il 23 marzo, aveva lanciato un allarme: “la forza russa sul confine orientale ucraino che corre parallelo alla Transnistria è sufficiente e inquietante. La Russia sta agendo più come un nemico che come un partner" e "minaccia" la Transnistria, regione della Moldavia, ammassando truppe sul confine orientale dell'Ucraina. La Transnistria, al cui interno vive una popolazione prevalentemente russofona, è una repubblica indipendente interna alla Moldavia ma non riconosciuta dal diritto internazionale. Nel 2006 un referendum registrò che il 97% della popolazione voleva il ritorno alla Russia; allora cadde nel vuoto ma oggi, dopo il pronunciamento della Crimea, la Transnistria ha chiesto di nuovo l'annessione a Mosca, unico paese a riconoscerla.
 

26 marzo 2014