Il PMLI e “Il Bolscevico” l'hanno fin da subito denunciato
I servizi segreti coprirono le “BR” nel rapimento Moro

Le recenti rivelazioni di un ispettore in pensione ad un giornalista dell'agenzia Ansa hanno riacceso per un attimo i riflettori sul rapimento di Moro e l'uccisione degli uomini della sua scorta avvenuto il 16 marzo 1978 in via Fani per mano delle sedicenti “Brigate rosse”, e in particolare sul ruolo di copertura svolto dai servizi segreti militari in quell'attentato: ruolo che era già stato ipotizzato in base a seri indizi e testimonianze emersi nelle inchieste e nei dibattimenti, e che il PMLI e “Il Bolscevico” hanno sempre denunciato fin dal primo momento, ma che non è mai stato ammesso dalle ricostruzioni ufficiali del caso.
A fare le rivelazioni al giornalista Paolo Cucchiarelli, che le ha rese pubbliche con un lancio dell'Ansa del 23 marzo, peraltro non degnato di grande attenzione dai media, è stato l'ex ispettore della Digos torinese Enrico Rossi, il quale riferisce di una lettera anonima dal contenuto a dir poco clamoroso, indirizzata nel 2009 al quotidiano La Stampa e da questo girata alla questura torinese, che così cominciava: “Quando riceverete questa lettera saranno trascorsi almeno sei mesi dalla mia morte come da mie disposizioni. Ho passato la vita nel rimorso di quanto ho fatto e di quanto non ho fatto e cioè raccontare la verità su certi fatti. Ora è tardi, il cancro mi sta divorando e non voglio che mio figlio sappia. La mattina del 16 marzo ero su una moto e operavo alle dipendenze del colonnello Guglielmi, con me alla guida c'era un altro uomo proveniente come me da Torino. Il nostro compito in via Fani era quello di proteggere le Br nella loro azione a disturbi di qualsiasi genere ...”.
L'anonimo autore della lettera proseguiva fornendo un possibile indizio per identificare il suo sconosciuto complice che guidava la moto, dicendo di averlo rivisto un giorno per caso in un certo negozio di Torino e di aver pensato che fosse il marito della titolare. L'ispettore Rossi viene incaricato delle indagini, trova il negozio e identifica l'uomo indicato nella lettera, che non è il marito della titolare ma il suo amante. L'uomo risulta risiedere a Cuneo ma vivere a Firenze presso un'altra amante. Risulta anche detenere due pistole, e questo fornisce all'ispettore il pretesto per una perquisizione nell'abitazione di Cuneo, dove vive ancora la moglie.
Rossi racconta che durante la perquisizione succedono cose strane. Appena entrati in casa arriva una telefonata del misterioso soggetto, come se qualcuno l'avesse avvisato, dopodiché arrivano anche i carabinieri, come se lui sapesse a chi rivolgersi in casi del genere. Gli fa trovare la prima pistola, una Beretta, ma sulla seconda tace. Tuttavia l'ispettore la trova lo stesso, nascosta in cantina: è una Drulov cecoslovacca a canna lunga per tiro di precisione, e sta sotto una copia cellofanata dell'edizione de La Repubblica del 17 marzo 1978, recante la notizia del rapimento di Moro.

Le impronte della P2 e di Gladio in via Fani
Rossi chiede allora di poter interrogare l'uomo, “ma – racconta al giornalista - mi viene negata l'autorizzazione. Insisto perché si indaghi su di lui, perché si metta sotto intercettazione il suo telefono per capire con chi parla. Anche la perizia delle due pistole viene rifiutata. Si crea una situazione imbarazzante in ufficio, diciamo di incomprensione e nell'agosto 2012 a 56 anni vado in pensione”. L'ex ispettore non riesce però a farsene una ragione, rilegge quanto è stato scritto sul caso Moro e scopre che effettivamente agli atti dei processi e nelle carte della commissione di inchiesta risulta provata da solide testimonianze la presenza di una moto Honda blu con due uomini a bordo quel giorno in via Fani, che svolse un indubbio ruolo di copertura all'agguato delle “Br”. Anche perché da quella moto partirono dei colpi di dissuasione indirizzati contro un uomo in motorino che stava per attraversare l'incrocio tra via Fani e via Stresa, l'ingegnere Alessandro Marini, il quale esibì al processo anche il parabrezza forato dai proiettili.
Anche un poliziotto che passava per caso in via Fani, Giovanni Intrevedo, confermò la presenza di “una moto di grossa cilindrata con due persone a bordo”. Inoltre il colonnello Camillo Guglielmi del servizio segreto militare (il Sismi, controllato dalla P2 di Gelli) di cui si parlava nella lettera non solo esisteva davvero, ma quella stessa mattina, poco prima dell'attentato si trovava proprio nei pressi di via Fani, e agli inquirenti aveva tentato di giustificare la stranezza della circostanza con la ridicola motivazione di esserci andato perché doveva invitare a pranzo un amico, il colonnello D'Ambrosio, che abitava nelle vicinanze. Sentito dagli inquirenti nel 1991, D'Ambrosio confermò solo parzialmente quanto riferito da Guglielmi, dicendo che capitò da lui all'improvviso, che si trattenne pochi minuti e poi scese in strada dicendo “deve essere successo qualcosa”. Del colonnello Guglielmi si parla anche negli atti della commissione parlamentare, in quanto dirigente dei servizi militari in forza alla VII divisione che controllava e addestrava personalmente la struttura segreta di Gladio.

Verso un altro nulla di fatto
“Della mia indagine però non ho saputo più nulla. Credo sia stata congelata. Ho saputo solo che nel settembre 2012 l'uomo di Cuneo è morto in Toscana”, dice Rossi al giornalista. Anche il colonnello Guglielmi è morto qualche anno fa, e si presume anche l'altro agente, l'anonimo malato di cancro che scriveva di operare ai suoi ordini in via Fani. Anche se la procura romana ha annunciato che chiederà gli atti “per le opportune valutazioni” e che Rossi sarà sentito dai pm che ancora indagano su un altro filone del caso Moro, sarà difficile quindi che le sue rivelazioni, scomparsi i principali protagonisti, possano portare ad una riapertura del caso per accertare se vi fu effettivamente un coinvolgimento dei servizi segreti in via Fani. Anche perché tutte le inchieste della magistratura su questa pista si sono sempre concluse con un nulla di fatto o un'archiviazione, e la presenza della Honda blu è stata liquidata ufficialmente attribuendola a due presunti autonomi simpatizzanti delle “Br” a caccia di gloria che, saputo dell'imminente attentato, si sarebbero intrufolati di propria iniziativa nella scena del delitto.
Una tesi a dir poco inverosimile, che oltretutto non spiega per nulla l'altra anomalia accertata, quella cioè della presenza del colonnello Guglielmi a quell'ora in via Fani. Ciononostante c'è chi la crede plausibilissima ed è subito corso a mettere in dubbio l'attendibilità delle rivelazioni di Rossi, come l'ex senatore dei DS ed ex presidente della commissione parlamentare sulle stragi e il terrorismo, Giovanni Pellegrino, per il quale quella degli agenti segreti sulla Honda in via Fani sarebbe “una bufala”; e come il senatore PD e studioso degli scritti di Moro, Miguel Gotor, per il quale si tratterebbe addirittura di un depistaggio per allontanare le indagini dalla giusta direzione, che sarebbe appunto quella dell'ex autonomia operaia. Stranamente facenti parte entrambi della “sinistra” borghese oggi al governo, la stessa che da anni ormai ha sposato in pieno l'atteggiamento, una volta tipico della destra, che tende a negare sprezzantemente qualsiasi ricostruzione “dietrologica” sul terrorismo sedicente “rosso” e sul rapimento e l'uccisione di Moro in particolare.

Declassificare i documenti segreti
Eppure è solo di pochi mesi fa l'intervista a Radio 24 dell'agente della Cia Steve Peczenik, amico di Kissinger e di Cossiga, che ha rivelato il ruolo da lui giocato insieme all'ex presidente della Repubblica, durante i 55 giorni del sequestro di Moro, nel pilotare le “Br” verso l'uccisione dell'ostaggio, una morte fortemente voluta dal governo americano per “stabilizzare” la situazione politica in Italia ed evitare che il PCI potesse andare al governo.
Se volesse fugare ogni dubbio e fare finalmente luce su questo ed altri “misteri” di quella vicenda ormai vecchia di 36 anni il PD non dovrebbe fare altro che seguire l'esortazione dell'ex parlamentare del PCI Sergio Flamigni, che ha studiato a fondo il caso Moro, e che confermando invece gli elementi che avvalorano i sospetti sul coinvolgimento dei servizi segreti in via Fani, chiede che sia applicata la legge sulla declassificazione dei documenti riservati e di metterli una volta per tutte “a disposizione dell'opinione pubblica e degli organismi di indagine”.
Ma noi che non abbiamo mai avuto dubbi sul fatto che le “Br” fossero manovrate dai servizi segreti e dalla P2, e lo abbiamo sempre denunciato pubblicamente su questo stesso giornale fin dal loro primo apparire sulla scena della “strategia della tensione”, siamo sicuri che ciò non avverrà, perché chi accetta di andare al governo della classe dominante borghese giura anche di osservare l'omertà sui suoi misfatti più inconfessabili e segreti.

2 aprile 2014