Dati Eurostat
Più basso della media europea il “costo del lavoro” in Italia
Secondo l'Ocse è uno dei paesi dove si lavora di più
Salari in picchiata negli ultimi dieci anni

 
Per tanti anni è stato un cavallo di battaglia del padronato italiano, dei partiti liberali e di destra del nostro Paese e infine fatto proprio da quei partiti che dichiaravano di rappresentare gli interessi dei lavoratori e della classe operaia e perfino dai sindacati. Di cosa stiamo parlando? Di quello che impropriamente ma comunemente è definito “costo del lavoro” che in Italia da decenni è considerato troppo alto, generatore d'inflazione e causa di tutti i mali. Come ci ha insegnato Marx nel Capitale : "il valore del lavoro è un'espressione immaginaria ", creata artificiosamente dalla borghesia. "Quindi quel che essa chiama valore del lavoro, è in realtà il valore della forza-lavoro ", intendendo per forza-lavoro la capacità che ha l'operaio di lavorare per il capitalista. Ebbene per aumentare la quota di plusvalore estorto all'operaio da sempre il capitalista agisce simultaneamente sull'allungamento della giornata lavorativa e sulla diminuzione del prezzo della forza-lavoro, ossia il salario: da qui la crociata padronale per la riduzione del cosiddetto "costo del lavoro" (inteso come somma del salario e degli oneri sociali).
Alla fine degli anni 70 del secolo scorso, con la svolta dell'Eur la Cgil di Luciano Lama accetta la politica dei redditi e il contenimento dei salari, fino ad allora esclusiva dei padroni, e il “costo del lavoro” diventa l'imputato numero uno per giustificare le difficoltà della borghesia italiana rispetto a quella degli altri Paesi. Con queste motivazioni venne imbastita anche la campagna contro la scala mobile che dopo un sofferto referendum fu abolita. Ancora oggi è un lamento continuo su questo tema nonostante l'adozione dell'euro permetta una comparazione attendibile tra i vari paesi e dimostri come questa tesi sia completamente falsa.
I dati dell'Eurostat, istituto di statistica europeo, inseriscono il costo totale di un'ora per un lavoratore italiano al disotto della media dei paesi che adottano la moneta unica equivalente a 28,4 euro, nel nostro paese se ne raggiungono 28,1. Ben al di sotto dei più forti paesi europei a cui Renzi vorrebbe affiancare l'Italia: in Germania il costo orario è di 31,3 euro mentre in Francia si sale a 34,3. In cima a questa classifica ci sono la Norvegia con 48,5 euro, la Svezia con 40,1, il Belgio con 38, l'Olanda con 33,2, ma ci superano anche paesi non propriamente “ricchi” come l'Austria con 31,4 euro e l'Irlanda con 29. Certamente le cose cambiano quando si parla di Unione Europea. Qui ci sono paesi fuori dall'euro che sono lontanissimi dall'essere tra le prime 10 potenze industriali del mondo come l'Italia, ad esempio Bulgaria, Romania o Lettonia, tutte sotto i 10 euro.
I dati dell'Eurostat smentiscono chiaramente un'altra tesi avanzata ultimamente dalla Confindustria e dai capitalisti. Questi non hanno potuto più utilizzare il pretesto di salari troppo alti perché i numeri dicono l'esatto contrario (sono tra i più bassi d'Europa) e allora hanno chiamato in causa oneri sociali e altre spese extra-salariali che renderebbero il “costo del lavoro” italiano più alto che nel resto d'Europa. È vero che il rapporto tra la parte erogata al lavoratore e gli oneri sociali in Italia pende più che in altri Paesi su quest'ultima parte: con il 28.1% siamo al quarto posto dopo Svezia, Francia e Lituania. Ma queste spese, diciamo extra salario, non sono pagate in concreto dai padroni perché come detto il costo complessivo di lavoro orario italiano è sotto la media europea, bensì dai nostri lavoratori che hanno stipendi molto bassi, sempre più bassi.
L'Ocse (Organizzazione per la cooperazione economica europea) smentisce anche altri luoghi comuni come quello che nei Paesi mediterranei si lavori meno che in quelli del nord Europa. Dopo la Grecia l'Italia è uno dei paesi dove si lavora di più. Nel 2012 i lavoratori italiani hanno lavorato 200 ore in più di quelli danesi e addirittura 300 ore in più rispetto agli olandesi e ai tedeschi che da questo punto di vista sono invece spesso dipinti come i primi della classe. Naturalmente la classifica s'inverte se guardiamo i salari: mediamente le 300 ore in più di un lavoratore italiano rispetto a un tedesco gli fanno guadagnare mediamente la metà.
Una forbice destinata ad aumentare perché i salari italiani negli ultimi 10 anni sono scesi in picchiata causando il crollo del potere d’acquisto ancora una volta certificato dall’Ocse e dall'Istat. Quest'ultima ha calcolato che le famiglie italiane solo nel 2013 hanno perso l'1,1 di reddito reale mentre l’organizzazione parigina contabilizza il crollo del reddito annuale della famiglia media italiana a circa 2.400 euro all’anno tra il 2007 e il 2012, oltre il doppio della media della zona euro (1.100 euro). Nel rapporto annuale sugli indicatori sociali l’Ocse rileva come la perdita di reddito sia legata al “deterioramento del mercato del lavoro, soprattutto per i giovani”. Questo crea una povertà sempre più dilagante tanto che nel 2011, il 13,2% ha dichiarato di non potersi permettere di comprare cibo a sufficienza (contro il 9,5% nel 2007) e il 7,2% di aver rinunciato a far ricorso a delle cure mediche per motivi economici.
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9 aprile 2014