Durissima la repressione della polizia: 15 morti a Maoming, secondo gli organizzatori
Rivolte in Cina contro la fabbrica dei veleni

 
Gli abitanti di Maoming, nella industrializzata provincia meridionale del Guangdong, sono scesi in piazza il 30 marzo per chiedere il blocco dell'ampliamento della locale fabbrica di paraxilene (PX), un componente chimico fondamentale per l'industria delle bottiglie di plastica e dei tessuti in poliestere ma estremamente dannoso se ingerito o inalato. Un gruppo di alcune centinaia di manifestanti, molti con maschere antigas e cartelli contro le autorità locali e contro l’ampliamento della fabbrica chimica che rischia di peggiorare ancora di più la situazione ambientale e il tasso di inquinamento nella città, si era riunito davanti alla sede locale del partito revisionista cinese e dava vita a un corteo che si ingrossava mentre sfilava; erano oltre un migliaio i manifestanti quando la polizia è intervenuta per disperdere il corteo.
Il 31 marzo la protesta è proseguita con un altro corteo per le vie della città e al nuovo intervento repressivo della polizia, che ha usato senza risparmio lacrimogeni e manganelli elettrici, i manifestanti hanno risposto lanciando pietre e bottiglie. Negli scontri che sono durati per diverso tempo, secondo alcune fonti, vi sarebbero stati numerosi feriti e alcuni morti tra i manifestanti. Il bilancio della polizia registra 18 arresti e 15 feriti. Le proteste sono continuate fino al 4 aprile solo grazie al massiccio schieramento della polizia che è arrivata a piantonare in forze fabbriche e scuole della cittadina.
Le autorità locali affermavano che lo sviluppo dell’impianto non avrebbe danneggiato né l’ambiente né la salute perché non è accertato che il PX sia un cancerogeno mentre era certo che avrebbe portato nuova ricchezza. La popolazione di Maoming non si fidava delle rassicurazioni delle autorità anche perché negli ultimi anni sono state al centro di indagini per corruzione che hanno costretto molti dirigenti alle dimissioni e perché l’impianto è gestito congiuntamente da una consociata del governo locale e dalla Sinopec, il gigante statale del petrolio. L’amministrazione locale è quindi parte interessata agli affari della fabbrica chimica dove tra l’altro secondo un rapporto di Oriental Outlook, settimanale dell’agenzia Xinhua, sono già avvenute negli scorsi anni numerose violazioni nelle procedure di approvazione o valutazione di impatto ambientale dei progetti petrolchimici.
A dare manforte alla battaglia degli abitanti della città sono intervenuti manifestanti di Shenzhen e Guangzhou, i due grandi centri metropolitani del Guangdong, scesi in piazza con cartelli sui quali si potevano leggere frasi come "No al PX di Maoming" o "Cancellate il progetto PX". I manifestanti chiedevano inoltre il rilascio immediato degli arrestati di Maoming.
Lo scorso anno il ministero dell’ambiente cinese ha riconosciuto per la prima volta l’esistenza dei “villaggi del cancro”, che sarebbero non meno di 200, piccoli centri soffocata da fabbriche inquinanti fuori controllo dove il tasso di mortalità per tumori è di gran lunga superiore alla media nazionale, già alta. Secondo dati ufficiali, 280 milioni di cinesi bevono acqua insalubre mentre non meno di 110 milioni di persone vivono a meno di due chilometri da un sito industriale pericoloso. Nel marzo scorso, in occasione della riunione annuale dell’Assemblea del Popolo, il premier Li Keqiang ha dichiarato ufficialmente guerra all’inquinamento ma nei fatti nella Cina capitalista prevale la legge del massimo profitto, dello sfruttamento dei lavoratori e dell’ambiente.

23 aprile 2014