Anche alla luce dei risultati del XVII congresso della Cgil
Azzerare i vecchi sindacati, creare un unico sindacato

Dopo il XVII congresso nazionale della Cgil tenutosi il 6, 7 e 8 maggio a Rimini occorre fare un bilancio e una riflessione sulla situazione sindacale italiana. Quali sono le indicazioni uscite dalla tre giorni di Rimini? Quali prospettive si aprono e sopratutto quale via intraprendere per avere un sindacato forte, rappresentativo, che possa portare avanti con efficacia le lotte e le istanze dei lavoratori e dei pensionati e che risponda colpo su colpo all'offensiva senza precedenti verso i diritti e le condizioni di vita di lavoratori, pensionati e masse popolari portata avanti senza soluzione di continuità da almeno 25 anni dal padronato italiano e dai governi che si sono succeduti, guidati sia dalla destra che dalla “sinistra” borghese?
Il congresso ha confermato la Cgil come un sindacato completamente appiattito sulle compatibilità del mercato e del capitalismo, del tutto incapace di fare la minima opposizione all'attuale governo guidato dal Berlusconi democristiano Renzi, che con la sua proverbiale arroganza ha trattato a pesci in faccia il più grande sindacato italiano. Questi non solo non ha risposto all'invito di Susanna Camusso disertando il congresso ma le ha detto che “la musica è cambiata”, ovvero che il suo governo se ne frega (come diceva Craxi) del sindacato e della piazza. L'ha addirittura accusata di non essersi accorta dell'aumento della disoccupazione come se questo fosse responsabilità della Cgil e ha invitato il sindacato ad essere “una casa di vetro”, ovvero ad avviare la piena trasparenza sui propri conti.
 
La Cgil è diventata un sindacato di regime
Non bisogna farsi ingannare dai titoli della stampa di regime su un ipotetico scontro tra governo e Cgil. Certo la Camusso è stata costretta a tirare qualche frecciatina a Renzi, ma la gravità dell'attacco governativo e padronale ai lavoratori richiedeva ben altro. Invece alla fine è stata riconfermata la linea collaborazionista e cogestionaria, filocapitalista, insomma un sindacato di regime che ricerca a tutti i costi l'alleanza con Cisl e Uil fino a firmare l'accordo sulla rappresentanza: una gabbia antidemocratica che mette la museruola a sindacati, Rsu e singoli delegati che non intendono chinare la testa di fronte al governo e ai padroni. Del resto parlano i fatti: si critica il Jobs Act ma quando viene presentato un emendamento che ne chiede il ritiro esso viene respinto a grande maggioranza dalla platea congressuale.
Nemmeno un filo di autocritica da parte della maggioranza della Camusso in questi 4 anni. Anni di gravissima crisi capitalistica fatta pagare con i licenziamenti, la perdita di diritti acquisiti, il taglio di ciò che rimane dello “Stato sociale”, l'impoverimento economico delle masse lavoratrici, pensionate e popolari, l'aumento del precariato e l'innalzamento dell'età pensionabile. Il governo Renzi ha preseguito su questa strada, con l'ennesima controriforma del “mercato del lavoro” e “riforme” istituzionali di stampo presidenzialista di chiara ispirazione piduista. Di fronte a una macelleria sociale di queste dimensioni e all'attacco alla stessa democrazia borghese, la Cgil, anche al confronto di altri sindacati europei, ha avuto un atteggiamento accomodante, connivente, timido, troppo preoccupata a non disturbare governi ritenuti in qualche modo “amici” come quelli Monti, Letta e Renzi.
Potremmo dire niente di nuovo, tutto è andato secondo le previsioni, o quasi. Semmai con questo congresso è stato certificato il ridimensionamento dell'influenza della Cgil, la sua incapacità a rappresentare realmente gli interessi concreti dei lavoratori e dei pensionati, la perdita di autorevolezza, che non è mai stata così bassa, anzitutto tra coloro che dovrebbe rappresentare, sembra alle corde come un pugile suonato. Ma stavolta non c'è Berlusconi a spingerla nell'angolo, anzi in quella situazione, pur tra mille contraddizzioni, la Cgil bene o male fu una delle poche forze ad opporsi al neoduce e a portare avanti importanti battaglie come quella per la difesa dell'articolo 18. La Cgil è oggi dominata da un gigantesco apparato burocratico, senza una reale autonomia, legato a doppio filo alle correnti politiche che si ritrovano nel PD, così distante dalla massa dei lavoratori tanto che quest'ultimi vedono sempre più questo sindacato apparentato alla cosiddetta casta politica che governa il nostro Paese. In questo modo presta il fianco alle critiche populiste e di destra di Grillo e Renzi che hanno gioco facile a indicare nel sindacato in quanto tale un nemico dei lavoratori anziché quello che dovrebbe portare avanti le loro rivendicazioni e tutelare i loro interessi,.
Un gruppo dirigente che ha chiuso ogni possibilità di confronto al suo interno, richiamando all'unità sulle posizioni della Camusso e avendo un atteggiamento insofferente verso qualsiasi opposizione. Landini è stato minacciato di espulsione, Cremaschi aggredito a Milano dal servizio d'ordine della Cgil, i congressi locali in molti casi hanno visto dati truccati o sono stati delle vere e prorie truffe. Dati inattendibili tanto che si può dire come i congressi “veri” siano stati quelli dove la mozione due si è presentata e ha potuto controllarne il regolare svolgimento. Da qui si è creata una platea congressuale che non rispecchia realmente la base dei lavoratori e dei pensionati.
 
Le contraddizioni interne alla Cgil
Nonostante questo, quell'apparente consenso “bulgaro” è andato in frantumi. Landini ha fatto marcia indietro e ha presentato alla fine un documento alternativo che ha raccolto il 17% mentre “Il sindacato è un altra cosa” ha preso il 3%. Pur criticando assai duramente la Camusso con argomentazioni in parte condivisibili, il suo è apparso più uno scontro personale, che oltre ai suoi uomini ha raccolto qualche scontento della Camusso, incentrato più ad occupare dei posti nel direttivo nazionale che basato su concezioni diverse del sindacato. Costui gioca una partita a tutto campo contro la Segretaria, ricercando spesso una sponda in Renzi per cui sembra avere un occhio di riguardo, tanto che nel documento finale da lui presentato evita accuratamente di attaccare il suo governo, non lo cita nemmeno. Insomma non ci sono i presupposti per accreditare il segretario della Fiom come un affidabile guida dell'opposizione di sinistra alla Camusso.
Importante è stata la battaglia della piccola pattuglia de “Il sindacato è un'altra cosa”. Ha respinto in toto l'accordo del 10 gennaio sulla rappresentanza, attaccato la politica di austerità per le masse della UE e del governo Renzi, compreso ovviamente il suo Jobs Act, è però carente sulla denuncia della politica presidenzialista dell'ex sindaco di Firenze arrivando al massimo ad accusarlo di “svolta autoritaria”, chiede comunque con forza lo sciopero generale contro le politiche del governo Renzi. Infine denuncia la mancanza di democrazia dentro la Cgil compresa la conduzione autoritaria del percorso congressuale e la sua conclusione nazionale e chiede autonomia per la Cgil dai partiti e dal padronato. Tuttavia non si spinge oltre.
Nelle dichiarazioni successive Cremaschi giudica irreversibile il passaggio della Cgil da un sindacato di lotta a organizzazione impegnata a collaborare per la competitività del sistema capitalistico. Nel suo articolo dal titolo “Non c'è più la Cgil”, pubblicato sulla rivista di Bertinotti “Alternative per il socialismo”, sostiene che “la omologazione della Cgil, Cisl e Uil pone una questione di fondo a tutte e tutti coloro che rifiutano la normalizzazione sociale”. Ed aggiunge: “la scomparsa del ruolo politico della Cgil, venti anni dopo quella del PCI, ripropone quindi la questione dello spazio che quel ruolo ricopriva. Il sindacalismo di base, pur promotore di conflitti generosi e importanti, ha mostrato di non avere la forza, anche per le sue divisioni, di coprire questo spazio”. Ma non ne trae la giusta conseguenza sindacale, quella di dichiarare conclusa l'esperienza della Cgil, e che bisogna cominciare a pensare a un nuovo sindacato unitario. Per lui invece il problema è quello di “ricostruire un fronte generale di lotta dell'arcipelago della sinistra e dei movimenti radicali”. Il che aggiunge confusione a confusione sui piani politico e sindacale, sulla base dell'anarcosindacalismo e del movimentismo.
Cremaschi, il leader della Mozione 2 che pure abbiamo appoggiato, individua in anni recenti la mutazione genetica della Cgil secondo lui iniziata dopo la fine del PCI e finita con l'ultimo congresso. Questa mutazione, semmai, è iniziata con il congresso dell'Eur del 1978. L'allora segretario Lama sposando la “politica dei redditi” accettò che i salari fossero una variabile dipendente dall'economia capitalista, passando poi per l'accettazione della flessibilità, delle privatizzazioni, dei tagli alla spesa sociale. Una svolta che si può dire conclusa con il famigerato accordo del “patto sociale” del 1993 che sancì la subordinazione dei sindacati e dei lavoratori alle esigenze della borghesia italiana “aiutandola” nella competizione internazionale. Non si tratta semplicemente d'indicare date diverse, ma di fare analisi diverse.
 
Esce rafforzata la proposta dei marxisti-leninisti
Per questo il PMLI già nel 1993 lanciò la proposta di creare dal basso un grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori fondato sulla democrazia diretta . E alla luce dei risultati dell'ultimo congresso della Cgil la nostra proposta esce rafforzata ed è più che mai attuale. La mutazione genetica della Cgil ha reso impossibile, già da tempo, la possibilità di cambiarne la linea e la direzione in senso di classe. Questo progetto politico di fondo, un tempo proprio anche del PMLI, è ormai vecchio, arretrato, superato, in ogni caso non corrispondente alla nuova situazione sindacale, politica e sociale determinata dall'avvento della seconda repubblica capitalistica, neofascista, presidenzialista e federalista e dalla piena e totale integrazione o scomparsa dei vecchi “partiti operai”.
Ma non serve un “quarto sindacato” spostato più a sinistra da affiancare a Cgil, Cisl e Uil magari con a capo, se nascesse oggi, Landini o Cremaschi. I lavoratori e i pensionati non ne guadagnerebbero di certo. Non ci convincono nemmeno i sindacati non confederali, come Cobas, SLAIcobas, USB e simili, anche se a livello rivendicativo possiamo avere dei punti in comune. Di carattere spesso corporativo, possono avere successo su alcune vertenze specifiche e locali, ma non sono in grado di unificare le lotte e rappresentare unitariamente milioni di lavoratori e di pensionati. Criticano giustamente la burocrazia della Cgil, i suoi dirigenti perché legati a doppio filo con il PD e la mancanza di democrazia, ma anche i loro dirigenti sono inamovibili e spesso sono espressioni dirette di piccoli partiti o correnti generalmente trotzkiste e si comportano come tali, in quanto a democrazia, hanno ben poco da invidiare alla Cgil. Ma soprattutto questi sindacatini isolano una importante porzione della parte più avanzata dei lavoratori dalla massa dei lavoratori.
Oggi occorre un sindacato che si liberi della soffocante e mastodontica burocrazia sindacale, corrotta e asservita ai partiti e alle istituzioni borghesi, che operi per la difesa degli interessi fondamentali e immediati dei lavoratori e dei pensionati, senza vincoli e compatibilità dettate dai capitalisti e dal governo. Ciò comporta il superamento del modello del sindacato degli iscritti, il sindacato associativo promosso da correnti sindacali partitiche borghesi; comporta, allorché le condizioni saranno mature, allorché la maggioranza degli operai e dei lavoratori lo chiederanno, lo scioglimento delle attuali confederazioni Cisl e Uil, oltreché della Cgil. Occorre azzerare tutti i vecchi sindacati, creare un unico sindacato che preveda l'unità di tutti i lavoratori e dei pensionati a basso reddito di tutte le categorie e dei settori privati e pubblici.
Alcuni tratti fondamentali del nostro modello sono: la gestione della vita del sindacato fondata sulla democrazia diretta dal basso verso l’alto che significa dare il potere sindacale e contrattuale alle Assemblee generali dei lavoratori e dei pensionati e comporta la possibilità di revoca in ogni momento dei delegati e dei dirigenti non più riconosciuti come tali dalla base; l’assunzione di una piattaforma rivendicativa che abbia come unico scopo la conquista di migliori condizioni di vita e di lavoro, per quanto possibile sotto il capitalismo; il rifiuto a livello di principio della concertazione e del “patto sociale” con le “controparti” (governo e padronato) poiché è solo con la lotta di classe, con l’uso di tutti i metodi di lotta a disposizione che possono essere conquistati veri ed effettivi avanzamenti sociali per gli sfruttati e gli oppressi.
Naturalmente questo è un progetto di largo respiro. Attualmente le lavoratrici, i lavoratori, le pensionate e i pensionati marxisti-leninisti, e tutti coloro che si riconoscono nella proposta strategica del PMLI, devono continuare a lavorare preferibilmente dentro la Cgil aderendo all'area programmatica “Il sindacato è un'altra cosa-opposizione Cgil”, che si è costituita subito dopo il congresso. Ancor più di prima devono portare avanti la proposta del Grande Sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati, proprio ora che anche in una parte della Cgil comincia pian piano a farsi strada, seppur ancora in maniera confusa e nebulosa, l'idea che occorra qualcosa di nuovo per scompaginare l'attuale situazione sindacale italiana e fornire ai lavoratori e ai pensionati italiani uno strumento sindacale più efficace per difendere i propri interessi. Nel proprio luogo di lavoro e nella Cgil dobbiamo essere gli elementi più attivi, più combattivi e più preparati, in grado di riunire nella Corrente sindacale di classe tutti i lavoratori e i pensionati che la pensano sindacalmente come i marxisti-leninisti.
 
 

21 maggio 2014