Sciopero mondiale dei lavoratori dei fast food
La lotta era partita negli Usa nel 2012

 
La protesta sindacale dei lavoratori dei fast food americani, partita nel 2012 a New York per chiedere l'aumento del salario minimo da 7,25 dollari a 15 dollari l'ora, si è allargata ed è diventata una protesta mondiale: il 15 maggio i dipendenti della ristorazione veloce hanno incrociato le braccia in 150 città degli Stati Uniti e in altri 33 paesi del mondo per rivendicare l’aumento di quelle che definiscono paghe da fame.
Lo sciopero era stato proclamato lo scorso 7 maggio nel corso dell’incontro mondiale organizzato dalla International union of food, agricultural, hotel, restaurant, catering, tobacco and allied workers associations (Uita), una federazione composta da 396 sindacati di 126 paesi, per un totale di 12 milioni di dipendenti.
A dar vita alla prima manifestazione mondiale della categoria sono stati in particolare i lavoratori delle grandi catene come McDonald's, Burger King, Wendys' e Kfc in 33 Paesi del pianeta. In prima fila i lavoratori italiani che hanno raddoppiato la protesta il 16 maggio in occasione dello sciopero generale di Cgil, Cisl e Uil sul contratto nazionale del turismo applicato dalle società di fast food. In Italia gli addetti in questo settore sono circa 500 mila, per la maggior parte a part time su turni disarticolati e con un paga oraria inferiore agli 8 euro lordi.
La protesta si è fatta sentire soprattutto nelle città americane con molti locali chiusi ma anche a Auckland, in Nuova Zelanda, dove i lavoratori si sono riuniti davanti alla sede di McDonald's, nelle Filippine con protesta all'interno di alcuni ristoranti targati McDonald's; sit-in di protesta animati con coloratissimi cartelli si sono svolti nelle città asiatiche in cui si è manifestato in Giappone, Hong Kong, Corea del Sud, Thailandia e India. Altre proteste sono state organizzate in Brasile, Argentina, Marocco e Malawi. In Europa la mobilitazione si è svolta in diversi paesi dal Belgio alla Gran Bretagna, dalla Germania all’Irlanda, alla Francia dove i lavoratori hanno manifestato davanti ai negozi Starbucks e Cherry Barry, una catena di yogurt-bar.
La lotta dei lavoratori dei fast food era iniziata nel 2012 negli Usa, a New York e si era sviluppata nel corso del 2013, organizzata dal sindacato di settore, con scioperi, picchetti e occupazioni simboliche dei ristoranti. In parte per alimentata dalle proteste sociali costruite dal movimento di “Occupy Wall Street” ma soprattutto per il peggioramento delle condizioni di lavoro.
Già il 5 dicembre scorso si era svolta negli Usa una giornata nazionale di lotta con manifestazioni in almeno 100 città, fra le quali New York, dove i manifestanti avevano protestato davanti ad alcuni dei punti McDonald's e Burger King con fischi e tamburi mentre un gruppo occupava il McDonald's di Times square, e Atlanta dove i lavoratori sfilavano in corteo.
Su pressione di un movimento di lotta che non accennava a smobilitare si era mosso persino il presidente Barack Obama che aveva dato il via a una campagna per innalzare il salario minimo, da 8 a 10 dollari e non 15 come chiedevano i lavoratori, per mettere il cappello sul movimento ma senza scontentare le multinazionali del fast food. Una iniziativa propagandistica che non ha ottenuto alcun risultato e non ha spostato di un millimetro l’intransigenza dei padroni della multinazionali. E i lavoratori hanno risposto con nuove mobilitazioni.
 

21 maggio 2014