Sono 301 le vittime nella miniera di carbone di Soma
La Turchia in piazza per la strage dei minatori
Il più grave incidente industriale nella storia della Turchia. Ignorate le norme di sicurezza nella miniera privatizzata dal governo
Contestati il premier Erdogan e il presidente Gul

Nella notte tra il 12 e il 13 maggio una esplosione, probabilmente dovuta alla combustione di carbone alla quale è seguito un incendio, ha provocato il crollo di gallerie nella miniera di carbone di Soma, nella provincia di Manisa nella Turchia occidentale intrappolando a duemila metri di profondità i quasi 800 minatori impegnati nel turno di lavoro. Il pesante bilancio della strage è di 301 morti, gran parte dei quali per inalazione di monossido di carbonio.
Quello di Soma è il più grave incidente industriale nella storia della Turchia moderna. E non è certo un episodio avvenuto per caso o per fatalità come affermato dal premier turco Recep Tayyp Erdogan: “sono tragedie che accadono”. I parenti delle vittime, le organizzazioni sindacali, le decine di migliaia di manifestanti scesi in piazza il 13 maggio e nei giorni seguenti denunciavano che quella di Soma era una strage annunciata, causata dalla completa violazione delle norme di sicurezza attuata dalla direzione aziendale della Soma Komur, la società che ha comprato la miniera privatizzata dal governo e che si vantava di aver ridotto il costo della tonnellata di carbone da 130 a 30 dollari; “risparmiando” sui salari dei lavoratori e sul rispetto delle norme di sicurezza. Della strage ne è parimenti responsabile il governo di Erdogan che ha privatizzato la miniera e ha omesso qualsiasi misura di controllo; anzi lo scorso 29 aprile in parlamento il governo aveva respinto al mittente la proposta avanzata dall'opposizione di aprire un'indagine sulla sicurezza dei lavoratori delle miniere di Soma.
“A Soma non è stato un incidente ma un massacro della privatizzazione” del 2005 voluta dal governo, denunciavano i sindacati che proclamavano per il 15 maggio uno sciopero generale. Una condanna verso l'operato del governo che era già emersa nelle manifestazioni di piazza del 13 maggio a Soma e del giorno successivo quando dove una folla inferocita accoglieva con dure contestazioni la visita del premier Erdogan e del presidente Gul. L'auto del capo del governo era circondata e colpita a calci dai manifestanti che gli gridavano “dimettiti”; accolto da fischi e urla all'uscita da una conferenza stampa Erdogan era costretto a rifugiarsi in un supermercato.
Le proteste dilagavano il 15 maggio in tutto il paese. Ad Ankara, Smirne e Istanbul la polizia usava gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e proiettili di gomma per disperdere le migliaia di manifestanti che protestavano per il disastro nella miniera e denunciavano le responsabilità del governo di Ankara. Nella capitale gli scontri erano iniziati nella mattinata quando gli agenti avevano caricato il corteo spontaneo di circa mille studenti che cercava di avvicinarsi alla piazza di Kizilay, nel centro della città. Pesanti scontri a Soma anche il 16 maggio quando le circa 10 mila persone che manifestavano rispondevano lanciando pietre ai gas lacrimogeni e ai proiettili di gomma sparti dalla polizia per disperderli.
La società proprietaria della miniera negava di essere responsabile di “negligenze” nella gestione del lavoro ma un primo resoconto delle indagini avviate dalla magistratura e riportato dal quotidiano Hurriyet sosteneva che nelle gallerie mancano “vie di fuga, sistemi di condizionamento dell'aria, infrastrutture efficienti e tecnologie che possano prevenire le morti”.
Il 40% dell'energia della Turchia viene prodotto dalle centrali a carbone che sorgono accanto agli impianti delle miniere e sono alimentate da turni a ciclo continuo. Una “ricchezza” che ha aiutato lo sviluppo dell'emergente imperialismo turco ma pagata a caro prezzo dai lavoratori; a partire dai minatori che devono registrare un numero di incidenti e di morti sul lavoro sei volte superiore a quello della Cina e 360 volte superiore a quello degli Usa.
Il sindacato ha denunciato che le condizioni di lavoro sono peggiorate con la privatizzazione del 2005, con un numero di morti in incidenti raddoppiato, perché “le imprese private prendono in affitto il terreno, le strutture di produzione, gli impianti delle centrali per 15 o 20 anni. Licenziano i lavoratori e risparmiano sui salari e sulla sicurezza”. Quando la miniera era di proprietà pubblica il salario era di 4 euro l'ora; le società private usano il lavoro in subappalto e pagano di meno i lavoratori.
Riguardo ai risparmi sulla sicurezza il quotidiano Hurryet ha raccontato un episodio significativo: 14 minatori che erano rimasti bloccati a un chilometro dall'uscita si erano rifugiati nell'unica “camera sicura” della miniera, che aveva solo qualche bombola di ossigeno utilizzate a turno nella disperata speranza di essere raggiunti dai soccorritori prima che fosse troppo tardi. Non ce l'hanno fatta. Secondo le normative europee le “camere sicure” sono obbligatorie in tutte le miniere e devono garantire la sopravvivenza dei minatori per un mese. Costano ognuna fra 80 mila e 250 mila dollari a seconda del numero di minatori che devono salvare, fra 12 e 40. In Turchia non è così e la Soma Komur ha risparmiato sulla sicurezza e aumentato i profitti.
La magistratura ha disposto il 20 maggio l'arresto dall'amministratore delegato della Soma Komur, figlio del proprietario della miniera, e di altri sette dirigenti con l'accusa di omicidio involontario dato che le indagini hanno appurato gravi irregolarità nella sicurezza della miniera, che hanno contribuito alla catastrofe. Diversi minatori hanno denunciato che nei giorni precedenti l'incidente c'era stato un aumento della quantità di monossido di carbonio nelle gallerie e della temperatura ma che la direzione aveva ignorato la segnalazione. Si tratta quindi di omicidio volontario di cui sono responsabili il padrone dell'azienda e il complice governo turco.

21 maggio 2014