Nonostante la lotta abbia impedito la chiusura degli stabilimenti italiani della multinazionale svedese
L'Electrolux impone agli operai italiani paghe polacche
Più produttività, meno pause e permessi sindacali
Sotto ricatto, al referendum vince il Sì

Dopo lunghi mesi di lotta portati avanti con coraggio e determinazione dai lavoratori si avvia a conclusione la vertenza Elettrolux, la multinazionale svedese colosso nella produzione di elettrodomestici operante anche in Italia con diversi insediamenti produttivi che occupano quasi seimila persone. Una battaglia che proseguiva ininterrottamente dalla fine del 2013 allorché l'azienda pretendeva il dimezzamento dei salari pena la chiusura degli stabilimenti e il trasferimento della produzione italiana in Polonia, est europeo e Asia.
La multinazionale scandinava ha in Italia 4 grandi fabbriche: a Porcia (Pordenone), Susegana (Treviso), Solaro (Milano) e Forlì per un totale di oltre 5700 dipendenti. Fin da subito ha minacciato la chiusura della fabbrica di Porcia che produce lavatrici e tagli immediati per centinaia di posti di lavoro negli altri siti produttivi. La risposta dei lavoratori non si è fatta attendere: decine di manifestazioni, scioperi, blocchi stradali, picchetti ai cancelli, in particolare a Porcia anche il blocco delle merci. Insomma i lavoratori hanno dimostrato una forte unità nonostante i diversi trattamenti per le quattro aziende potessero far sorgere una guerra tra poveri, specie in un momento di profonda crisi come questo.
Non altrettanto si può dire per le istituzioni che per lungo tempo non si sono interessate alla questione, quando lo hanno fatto è iniziato subito lo scaricabarile. La governatrice renziana del Friuli Debora Serracchiani e l'ex ministro ed ex sindaco di Padova, il PD Flavio Zanonato, si sono scambiati accuse d'immobilità dopo aver sperato che le chiusure non interessassero i propri territori e il proprio bacino elettorale.
La mobilitazione dei lavoratori e il rischio di ritrovarsi sul lastrico migliaia e migliaia di lavoratori tra Elettrolux e indotto ha costretto sindacati, istituzioni e la stessa proprietà a dover trovare una soluzione. Soluzione, diciamo subito, soddisfacente solo per i padroni dell'Elettolux. La versione data dai mass-media di regime, dai sindacati confederali, dal governo e dal PD è che non viene perso un solo posto di lavoro, non viene chiusa nessuna fabbrica, non si perde salario e l'azienda s'impegna con un piano triennale di investimenti per 150 milioni di euro. Ma le cose non stanno esattamente così.
L'obiettivo padronale, cioè ridurre il “costo del lavoro” è stato ottenuto. Con questo accordo Elettrolux risparmierà per ogni lavoratore 3 euro l'ora. Di fatto l'azienda non si è spostata in Polonia ma ai lavoratori che vivono in Italia sono stati imposte paghe polacche. Non è vero che non vengono persi posti di lavoro perché quasi 300 dipendenti verranno “incentivati” alla mobilità. Il salario si perde eccome perché i contratti di solidarietà prevedono di lavorare ed essere pagati per 6 ore, la parte mancante di salario è recuperata solo al 60%. L'azienda invece sarà favorita dalla decontribuzione, ovvero gli oneri aziendali saranno pagati dallo stato. Viene quasi azzerato anche il premio annuale sulla produttività.
Ma ci sono aspetti ancora più gravi. I lavoratori dovranno produrre in sei ore quello che facevano in otto. Un supersfruttamento che tra l'altro ricadrà tutto sugli operai addetti alla produzione che già vengono spremuti come limoni. L'Elettrolux dovrebbe investire 150 milioni di euro ottenuti con prestiti agevolati ma dal 2018 non garantirà niente, e fin da ora lascia intendere che in quella data proporrà ancora le sue richieste provocatorie. Altre condizioni capestro sono state imposte ai lavoratori come il dimezzamento delle pause, la riduzione dei permessi sindacali del 60% e la perdita quasi completa della gestione delle ferie, riducendo ancor di più la democrazia nelle fabbriche della società svedese.
Cgil, Cisl e Uil cantano vittoria per un accordo che introduce una versione ancor peggiore del modello Marchionne. I sindacati confederali si fanno forti del referendum tra i lavoratori del gruppo che ha visto i Sì prevalere con l'80% contro il 20% di No. Alcuni delegati del coordinamento Rsu Electrolux hanno denunciato l'inaccettabilità di tale accordo, si sono rifiutati di siglare l'accordo e hanno votato No invitando i lavoratori a fare altrettanto. Su 4.775 dipendenti interessati all'accordo, tutti quelli a servizio nei quattro stabilimenti nel territorio nazionale, erano presenti nelle fabbriche 4.135, hanno votato in 3.366 (3.311 i voti validi) esprimendo 2.660 sì e 651 no. Quindi alla fine hanno espresso voto favorevole in poco più della metà. Poi sappiamo quali sono le fortissime pressioni sui lavoratori per far accettare questi accordi, come c'insegna Pomigliano, tanto da poter dire che questi referendum non vengono svolti in condizioni di effettiva libertà.

28 maggio 2014