Elezioni amministrative parziali del 25 maggio
La diserzione sale del 5,4%
A Firenze +6,7%, Biella +7,2%, Ferrara +8,0%, Forlì +7,7%, Modena +4,7%, Prato +6%, Bari +6,5%. Alle regionali del Piemonte e dell'Abruzzo l'astensionismo intorno al 40%. Il “centro-sinistra” batte il “centro-destra”. Il M5S arretra
Perche' le citta' e le regioni siano governate dal popolo e al servizio del popolo ci vuole il socialismo
 
Il 25 maggio, in concomitanza con le elezioni europee, di cui ci siamo occupati sul numero scorso, si sono tenute le elezioni per il rinnovo di 2 consigli regionali (Piemonte e Abruzzo) e di 4.087 consigli comunali, di cui 28 comuni capoluoghi.
In queste elezioni amministrative parziali, come già nelle europee, l'astensionismo (diserzione alle urne, schede nulle e bianche) risulta un dato assai significativo che testimonia il solco sempre più profondo che divide una grande fetta di elettorato, mediamente oltre un terzo, dalle istituzioni rappresentative borghesi e dai suoi partiti ad ogni livello, anche quello locale che pure teoricamente dovrebbe essere quello più vicino.
Alle elezioni regionali l'astensionismo si aggira intorno al 40% di tutti gli elettori aventi diritto: in Piemonte si attesta al 38%, in Abruzzo al 41,2%. Il ministero degli interni purtroppo ha fornito solo un dato riassuntivo della diserzione nei comuni comprendendo solo quelli delle regioni a statuto ordinario (3.901), più quelli della Sardegna (18). Da questo dato emerge che il 29% degli elettori ha disertato le urne, con un incremento di ben il 5,4% rispetto alle precedenti comunali. La diserzione va oltre la media nazionale in Veneto (30,5%) Abruzzo (30,7%), Molise (+35,3%), Basilicata (+35,5%), Calabria (36,6%) e Sardegna (35,1%). Il record di incremento della diserzione spetta ai comuni in provincia di Ogliastra (+9,2%), Fermo (+8,6%) e Imperia (+8,4%).
Per quanto riguarda i comuni capoluogo il record della diserzione spetta a Sassari (36,2%), Livorno (35,5%) e Caltanissetta (35,1%). Mentre il record di crescita spetta a Campobasso (+9,1%), Terni (+8,7%) e Perugia (+8,4%). Significativi e sopra la media nazionale gli incrementi della diserzioni a Firenze +6,7%, Biella +7,2%, Ferrara +8,0%, Forlì +7,7%, Modena +4,7%, Prato +6%, Bari +6,5%. Tutte città dove il PMLI ha svolto la sua propaganda astensionista attraverso le sue istanze, suoi militanti o simpatizzanti attivi che cogliamo l'occasione di ringraziare nuovamente.
 
L'astensionismo è un voto
L'elettorato che si è astenuto ha espresso oggettivamente un voto indipendentemente dal fatto che abbia voluto esprimere o no un voto al PMLI seguendo la sua indicazione. E' un voto con cui ha scelto di non premiare i governi borghesi centrale e locali sia di "centro-destra" che di "centro-sinistra". E' un voto di delegittimazione, di rifiuto e di abbandono a se stesse delle istituzioni rappresentative borghesi ad ogni livello e dei partiti che le rappresentano. L'elettorato italiano è ormai un elettorato maturo che è in grado di scegliere chi votare e chi in così larga misura ha scelto di astenersi è perché ritiene che in questo modo esso esprime il proprio vero voto. Tant'è vero che anche quest'anno si è verificato il caso di elettori che pur alle urne hanno rifiutato le schede di una consultazione piuttosto di un'altra.
L'astensionismo non contraddice affatto il diritto di voto conquistato attraverso l'abbattimento del regime fascista di Mussolini. Esso è parte integrante dell'esercizio di questo diritto, altrimenti recarsi alle urne diventa un dovere coercitivo e non più una libera scelta dell'elettore, un obbligo a riconoscersi e quindi a votare i partiti e i candidati della destra o della "sinistra" borghese.
Parlare di "non voto" come fanno il governo, le istituzioni borghesi e gli analisti in genere, è dunque falso. Chi non si reca alle urne, chi lascia la scheda nulla o in bianco esprime un voto che si chiama astensione. Del resto non è così anche in tutti i consessi, a partire dal parlamento, dove è espressamente previsto il voto contrario, il voto a favore e l'astensione?
 
L'astensionismo in Piemonte e Abruzzo
Che gli elettori che scelgono l'astensionismo lo facciano in grandissima parte e sempre più in modo consapevole, lo dimostrano anche i risultati in Piemonte e Abruzzo. In queste regioni, dove peraltro l'astensionismo è già su percentuali assai elevate, in questa tornata elettorale è lievemente in diminuzione rispetto alle regionali precedenti. In Piemonte cala dell'1,4% pari a 54.873 voti rispetto alle regionali 2010; in Abruzzo in modo un po' più sensibile dell'8,8% pari a 123.714 voti rispetto alle regionali 2008.
Per quanto riguarda il Piemonte è lecito pensare che l'elettorato, in particolare quello di sinistra, sia stato richiamato alle urne dal ricatto di punire il “centro-destra” e la sua giunta degli scandali guidata dal leghista Cota, e impedirgli di mantenere il governo della regione. Vi era inoltre il cosiddetto “effetto Renzi” e il paventato “rischio sorpasso” del M5S.
Tant'è vero che il PD, che nel 2010 aveva perso pesantemente consensi oltreché il governo della regione, recupera il 7,4% del corpo elettorale e 264 mila voti, e si attesta oggi al 19,5%. Il Movimento 5 stelle, rispetto al 2010, guadagna il 9% e 326 mila voti, anche se non gli bastano ad avvicinarsi al PD restando inchiodato al 10,9%. Sia il PD che il M5S hanno drenato voti astensionisti, anche se il grosso del loro bottino è dovuto alla sparizione degli ex alleati del “centro-sinistra” (in particolare Italia dei Valori di Di Pietro nel 2010, Scelta civica nel 2013). Rispetto alle politiche 2013, il PD guadagna infatti molto meno (appena lo 0,8%), mentre il M5S addirittura perde pesantemente quasi metà dei suoi voti (-310.357 voti, pari a -9,6%), mentre l'astensionismo cresce del 12,6%.
In Abruzzo il discorso è simile. Nel 2008 l'astensionismo ebbe un'impennata raggiungendo la percentuale record del 50% per effetto soprattutto dello scandalo che aveva travolto la giunta regionale del governatore PD Ottaviano Del Turco. In quel caso l'elettorato di sinistra si era in gran numero riversato nell'astensionismo. Il PD era sceso al suo minimo storico dell'8,8% (era al 21,5% nel 2005) e la giunta era passata in mano al “centro-destra” di Gianni Chiodi. Oggi in parte quegli elettori di sinistra disgustati, che si erano riversati nell'astensionismo, sono tornati parzialmente a votare PD (14,6%) per punire il forzista Chiodi.
Il “centro-destra” e la Lega sono in caduta libera in Piemonte come in Abruzzo.
Sel in Piemonte guadagna rispetto al 2010, ma perde rispetto alle politiche del 2013. La lista “L'altro Piemonte a Sinistra” non solo non riesce a superare il quorum del 4%, ma pur raffrontata solo con i voti di PRC e Lista Rivoluzione civile di Ingroia nelle passate elezioni, va oltre il dimezzamento dei voti.
In Abruzzo, Sel perde circa 8 mila voti rispetto al 2013 (l'unica consultazione con cui è raffrontabile), mentre la lista “Un'altra regione con Acerbo” buca l'obiettivo del quorum e si attesta appena all'1,7%. Solo il PRC nel 2008 aveva il 2,1%, La Lista di Ingroia nel 2013 aveva ottenuto il 2,4%.
I nuovi governatori comunque non raggiungono il 30% dei consensi degli elettori. L'ex sindaco di Pescara, Luciano D'Alfonso diventa il nuovo governatore dell'Abruzzo con il 27,2% del corpo elettorale, e l'ex sindaco di Torino Sergio Chiamparino diventa governatore del Piemonte col 29,2% dell'elettorato. Quest'ultimo dovrebbe andare cauto a dichiarare, come ha fatto nell'immediato dopo elezioni che: “I piemontesi saranno con me e cercherò di essere il loro sindaco”.
 
Il "centro-sinistra" batte il “centro-destra”
In generale in questa tornata elettorale il “centro-sinistra” batte il “centro-destra”. Un sorpasso spesso dovuto al crollo di consensi di quest'ultimo piuttosto che a una vera e propria avanzata del primo.
Dei 211 comuni superiori dove si è votato il 25 maggio, 124 vanno al ballottaggio e il “centro-sinistra” è quasi sempre in vantaggio. 71 comuni vanno già al primo turno al “centro-sinistra” che nelle precedenti elezioni ne aveva 112; solo 9 vanno al “centro-destra” che dopo le precedenti elezioni ne contava 72.
Fra i 28 comuni capoluogo, 17 vanno al ballottaggio e ovunque, salvo a Pavia, Teramo e Foggia, il “centro-sinistra” è in vantaggio sul “centro-destra” e solo in due casi (Modena e Livorno) se la vedrà con il Movimento 5 stelle e in un caso (Potenza) con una lista civica. Al primo turno vanno già 9 comuni capoluogo al “centro-sinistra” che nelle precedenti elezioni ne aveva 16. Il “centro-destra” riconferma per ora solo un comune capoluogo, Ascoli Piceno, degli 11 che aveva dopo le precedenti elezioni.
Tutti i sindaci eletti al 1° turno non raggiungono il 50% dell'intero corpo elettorale. Lo stesso Dario Nardella neopodestà di Firenze, pur potendo contare sull'“effetto Renzi” si ferma al 38,4% del corpo elettorale.
Anche queste elezioni amministrative parziali, come del resto le elezioni europee, dimostrano che l'elettorato non è più disposto a firmare cambiali in bianco e molto presto è pronto a presentare il conto agli amministratori e ai partiti sia della “sinistra” che della destra borghese che li avevano ingannati e avevano carpito loro il voto.
Le elettrici e gli elettori di sinistra già usano massicciamente l'arma dell'astensionismo in netto e aperto dissenso con i partiti della “sinistra” borghese e con i governi in carica. Di questo li ringraziamo di cuore. Occorre però che vadano oltre e superino definitivamente il piano riformista e costituzionale entro cui si muovono e abbandonino ogni illusioni parlamentarista e governista. Essi devono prendere pienamente coscienza che nelle condizioni del capitalismo e fermo restando lo Stato borghese è impossibile che i governi comunali e regionali siano in mano al popolo e al suo servizio. Perché le città e le regioni siano governate dal popolo e al servizio del popolo ci vuole il socialismo.
 
 

4 giugno 2014