“No Delocalizzazioni”, “No gare massimo ribasso”
Migliaia di lavoratori dei Call Center in piazza
Tra i più combattivi i siciliani e i calabresi

Il 4 giugno scorso si è svolto a Roma un importante e combattivo corteo che ha visto sfilare migliaia di lavoratori denominato ‘No delocalizzazioni day’, manifestazione nazionale dei dipendenti dei Call Center, un settore dove regnano supersfruttamento e precarietà, nonostante un giro di affari di 1,3 miliardi di euro per le imprese e dove i lavoratori vengono messi con le spalle al muro, con il rischio concreto di delocalizzazioni e la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro in tutta Italia, e soprattutto nel meridione.
I lavoratori accusano soprattutto le delocalizzazioni verso Paesi come l’Albania, la Romania e la Tunisia, e insieme le gare al ribasso, perché in entrambi i casi le aziende ci guadagnano: con le delocalizzazioni effettive le aziende trasferiscono i loro impianti all’estero lucrando su salari da fame in quei Paesi, e anche la sola minaccia di delocalizzare - anche se concretamente non viene attuata - porta a strappare ai lavoratori che operano in Italia condizioni salariali sempre più bestiali per i lavoratori, e lo stesso vantaggio le aziende conseguono con le gare al massimo ribasso, come quella bandita dal Comune di Milano lo scorso febbraio, che solo le aziende che dispongono di manodopera albanese, romena e tunisina possono vincere.
Vi è poi un problema che accomuna questi lavoratori a tanti altri dipendenti di aziende di servizi, ovvero quello della esternalizzazione, per cui enti pubblici e grandi società con il passare del tempo hanno deciso di non gestire in proprio le attività telefoniche di relazione con il pubblico, ma di affidarle a terzi, ad aziende esterne, con il risultato anche in questo caso di far diminuire drasticamente i costi e quindi i diritti e la paga dei lavoratori.
Il settore si è sin dagli inizi contraddistinto per una crescita selvaggia e priva di regole certe, tanto che vi proliferano praticamente tutti i tipi di contratti che rendono questo lavoro tra i più precari e privi di tutele normative e sindacali, e spesso le aziende nascono e muoiono nell’arco di appena tre anni, giusto il tempo per beneficiare degli sgravi fiscali previsti della legge n. 407/1990, per poi chiudere e riaprire altrove con personale nuovo che subirà la stessa sorte tre anni dopo.
Hanno già portato all’estero una notevole parte della loro attività Sky, Fastweb, Vodafone, Almaviva, il gruppo Abramo, soprattutto in Albania dove ci sono ben 60 aziende presenti tra Durazzo, Valona e Tirana.
Tra i più combattivi alla manifestazione si sono distinti i lavoratori siciliani e calabresi, perché in quelle regioni la chiusura di un Call Center significa quasi sempre perdere l’unica possibilità di lavoro rimasta sul territorio.

11 giugno 2014