Con i voti di franchi tiratori del PD e con l'astensione del M5S
La Camera attacca l'indipendenza dei magistrati
Battuto il governo su un emendamento della Lega sulla responsabilità civile dei giudici
Vendetta per le inchieste sull'Expo e il Mose

“La P2 non avrebbe saputo fare di meglio”: questo commento di un magistrato fra i tanti che hanno levato proteste indignate appena appresa la notizia descrive esattamente quanto è successo l'11 giugno alla Camera, quando all'ombra del voto segreto e nello stesso giorno in cui la magistratura di Napoli arrestava per corruzione il vicecomandante delle fiamme gialle e quella di Milano scopriva connessioni tra lo scandalo dell'Expo e quello del Mose di Venezia, i partiti corrotti del regime neofascista si sono presi una vendetta trasversale sui giudici approvando una norma punitiva che ne limita gravemente l'indipendenza.
Il colpo di mano è stato sferrato dal deputato della Lega neofascista Gianluca Pini, con un emendamento alla legge comunitaria 2013-bis presentata dal governo che recepisce una serie di normative europee in varie materie. Tale emendamento, che non c'entrava nulla con le norme in discussione, introduceva surrettiziamente in questa legge anche la responsabilità civile dei giudici, estendendola al caso di “manifesta violazione del diritto”, oltre ai casi di “dolo o colpa grave” già previsti dalla normativa in vigore.
Già altre due volte in passato il fascioleghista Pini aveva tentato invano di far passare questo emendamento piduista, ma stavolta il colpo è andato a segno perché ai voti scontati di Forza Italia di Berlusconi, nel segreto dell'urna si sono uniti quelli decisivi di almeno 50 franchi tiratori del PD di Renzi, che hanno fatto la differenza facendolo passare con 187 voti contro 180. A dare una mano al golpe ci hanno pensato anche i parlamentari di M5S e di SEL, che invece di votare contro l'emendamento leghista, che in questo caso sarebbe stato comunque respinto nonostante i voti dei cecchini del PD, hanno deciso invece di astenersi. Giustificando il loro comportamento opportunista dietro la scelta tattica di far emergere la spaccatura all'interno del gruppo piddino.

Un'arma a difesa degli imputati “eccellenti”
La gravità dell'emendamento approvato risiede nella sua stessa formulazione, perché un conto è provare che un giudice ha condannato ingiustamente un imputato attraverso un grave atto colposo, come per esempio gravi negligenze nella conduzione del processo, o addirittura con un atto di natura dolosa, quale potrebbe essere una manipolazione fraudolenta del processo per un intento persecutorio. Molto più facile risulterebbe invece per un imputato, specie se “eccellente” e ben dotato di mezzi finanziari e di avvocati di grido, invocare la più generica e nebulosa motivazione della “violazione manifesta del diritto”, che apre intere praterie agli Azzeccagarbugli ben remunerati.
Ma questo non è nemmeno l'aspetto più grave dell'emendamento: la normativa attuale stabilita dalla legge Vassalli del 1987, simile del resto in tutti i paesi europei, prevede infatti che l'azione di rivalsa del cittadino che si ritiene ingiustamente condannato venga esercitata nei confronti dello Stato, il quale poi può rivalersi a sua volta sul giudice riconosciuto colpevole con provvedimenti pecuniari, disciplinari o anche penali (nel caso di dolo). Con questa modifica, invece, il condannato può intentare causa direttamente al giudice che l'ha condannato, e se la vince il magistrato gli dovrà pagare risarcimenti milionari di tasca propria.
Non occorre essere laureati in legge per capire che ciò rappresenta un grave pregiudizio all'indipendenza dei magistrati, che prima ancora di istruire un processo a carico di imputati ricchi e dotati di grossi avvocati, o politici corrotti ma potenti, ci penserebbero due volte, sapendo che questi potrebbero citarli facilmente e personalmente in giudizio con le motivazioni più pretestuose offerte dalla formulazione appositamente vaga e generica della nuova legge. Mentre non avrebbero oggettivamente le stesse remore verso gli imputati più poveri e senza santi in paradiso.
Basti pensare a quale manna una simile legge avrebbe potuto rappresentare per il neoduce Berlusconi, che difatti la invoca da vent'anni. E prima ancora l'ha invocata non a caso Gelli, nel suo Piano di rinascita democratica, che tra le prime “riforme” piduiste prevedeva l'abolizione dell'indipendenza dei magistrati e la loro sottomissione al potere esecutivo.
“E' un segnale pessimo, soprattutto perché si inserisce in un momento di indagini importanti sulla corruzione”, ha dichiarato il presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Rodolfo Sabelli. E il magistrato di Cassazione Giuseppe Maria Berruti, osservando che “dopo le grandi indagini è sempre scattata una 'voglia' di responsabilità civile, come un riflesso condizionato”, ha spiegato: “Solo in Italia si può pensare che il giudice, mentre fa il processo, stia guardando un suo possibile avversario in una causa di risarcimento del danno. Nel civile poi la causa diventa certezza matematica, perché chi perde tra i due contendenti la farà”.

Un golpe trasversale frutto del Nazareno
Nell'immediato questo colpo di mano rappresenta anche una rabbiosa vendetta e un avvertimento mafioso dei corrotti partiti borghesi contro la magistratura che sta facendo emergere gli innumerevoli scandali in cui sono infognati fino al collo, senza distinzione ormai tra la destra e la “sinistra” borghese. Questo spiega l'asse trasversale che si è formato nel segreto dell'urna tra i partiti del “centro-destra” e una consistente quota di parlamentari del PD, almeno 50 ma c'è chi ne calcola addirittura una settantina, per non parlare delle decine e decine di “assenti” tra le sue file.
Quanto a sapere chi siano questi “garantisti di sinistra”, i sospetti maggiori ricadono sui renziani, sia perché uno dei loro esponenti principali, come l'ex radicale Giachetti, lo ha ammesso apertamente e orgogliosamente, sia perché proprio in quei giorni erano in corso le fitte e proficue trattative tra renziani e leghisti per l'accordo segreto andato in porto sulla “riforma” del Senato e del federalismo. Senza contare il più che fondato sospetto che la responsabilità civile dei giudici faccia parte degli accordi inconfessabili stipulati al Nazareno tra Renzi e Berlusconi. Ma è del tutto verosimile che allo sconcio agguato parlamentare abbiano dato mano anche esponenti delle correnti dalemiana, bersaniana e lettiana, le più implicate negli scandali dell'Expo e del Mose. Non a caso renziani e bersaniani si sono accusati reciprocamente del cecchinaggio anonimo.
Dalla Cina Renzi ha derubricato con la solita supponenza il grave episodio a una “tempesta in un bicchier d'acqua”, assicurando che “al Senato col voto palese cambieremo il testo”. Ma proprio qui si nasconde il trucco. Non tanto perché il Senato Renzi lo vuole abolire, come qualcuno ha fatto notare, quanto perché – cosa che nessuno ha detto – lui ha parlato di “cambiare” e non di cancellare il testo dell'emendamento Pini. È evidente che non ci pensa proprio, e che l'episodio gli offre, guarda caso, il pretesto giusto per giustificare l'inserimento della revisione della legge Vassalli sulla responsabilità civile dei giudici nel decreto di controriforma della giustizia che il ministro Orlando sta per presentare: un progetto neofascista ispirato a quello della P2 e che discende direttamente dal patto segreto del Nazareno tra il Berlusconi democristiano e il delinquente di Arcore.

18 giugno 2014