Crumiraggio di “Rainews24” della Maggioni
Giusto lo sciopero Rai. I tagli di Renzi favoriscono Mediaset
Renzi vuol dissolvere la tv pubblica secondo il piano della p2

Nonostante le intimidazioni del governo, il divieto del Garante, l'ostilità della stampa di regime e il crumiraggio della Cisl e dei giornalisti dell'Usigrai, lo sciopero nazionale proclamato dai lavoratori della Rai in risposta ai tagli di Renzi si è tenuto come previsto l'11 giugno ed è stato un successo, con una partecipazione superiore al 75%, il blocco quasi totale delle trasmissioni in diretta e la riduzione all'osso di quelle registrate. Una manifestazione di protesta con un corteo di 400 persone si è svolta a Roma, fin sotto la sede centrale di via Teulada. Altre manifestazioni si sono tenute sotto la sede di Milano e in altre città.
Lo sciopero, a cui avevano invece confermato l'adesione Cgil e Uil e altre sigle minori presenti nell'azienda, era stato proclamato dopo la decisione di Renzi di far pagare anche alla Rai il costo della mancia elettoralistica e demagogica di 80 euro, tagliando 150 milioni di euro dal bilancio di quest'anno ancora in corso, chiudendo un certo numero di sedi regionali e costringendo l'azienda a mettere sul mercato una quota Ray Way, l'agenzia che gestisce la rete nazionale dei ripetitori che garantiscono il servizio pubblico.
Una decisione a cui i lavoratori della Rai si sono immediatamente ribellati, a partire dai tecnici, gli operai e i tanti giornalisti precari, e che in un primo tempo aveva coinvolto anche i giornalisti professionisti dell'Usigrai e perfino alcuni strati di dirigenti intermedi. Ribellione dettata non tanto da un'opposizione preconcetta alla lotta agli sprechi e ai privilegi della casta dirigenziale, favoriti dal clientelismo dei partiti parlamentari che da sempre si spartiscono i posti e il potere nell'azienda di Stato, quanto dalla consapevolezza che un taglio così drastico e improvviso alle risorse, capace di mettere subito in ginocchio un'azienda già sotto pesanti ristrutturazioni e falcidiare posti di lavoro, miri a medio termine alla sua privatizzazione e a favorire il monopolio privato dell'etere da parte di Mediaset.
Non bisogna dimenticare che “il dissolvimento della Rai in nome della libertà di antenna” è uno dei punti principali del “Piano di rinascita democratica” della P2 di Gelli, portato avanti da Craxi e da Berlusconi, e ora evidentemente da Renzi, che intende realizzarlo definitivamente. Cedere le torri di trasmissione sarebbe per la Rai pubblica come per le ferrovie vendere i binari, protestano i lavoratori. Una volta che la rete dei trasmettitori fosse in mano ai privati, e in particolare a Mediaset, che già sta facendo incetta di ripetitori sul mercato, sarebbe materialmente impossibile assicurare la sopravvivenza di una Rai pubblica, e a quel punto si aprirebbe la strada al suo smembramento per essere svenduta a pezzi sul mercato.
Gli sprechi sono dovuti in gran parte alle consulenze, agli appalti e alle esternalizzazioni del lavoro, che se il governo volesse potrebbe essere invece riportato all'interno dell'azienda, con notevoli risparmi, salvaguardando l'occupazione e migliorando la qualità del servizio pubblico, denunciano i lavoratori, che chiedono di essere ascoltati in merito al loro piano di risparmi e di rilancio del servizio pubblico.
Ma Renzi da quell'orecchio finge di non sentirci. Anche la soppressione di alcune sedi regionali pare fatta apposta per aprire la strada all'eliminazione di Rai3, di cui da tempo si vocifera. Timori, tutti questi alla base dello sciopero, che dopo il patto segreto del Nazareno, noto solo ai due banditi che lo hanno firmato, sembrano materializzarsi con una concretezza sinistra via via che Renzi scopre le sue carte.
Lo dimostra anche la durezza con cui il Berlusconi democristiano ha reagito alla proclamazione dello sciopero, definendolo illecito e “umiliante”, e la perfidia con cui ha cercato di aizzare l'opinione pubblica contro i dipendenti della Rai, per isolarli dipingendoli come membri privilegiati di una corporazione anacronistica che si rifiutano di fare i sacrifici chiesti a tutti gli altri cittadini in questi tempi di crisi.
Una campagna particolarmente sporca e arrogante la sua, a cui hanno fatto da grancassa i mass-media di regime con in testa Corriere della Sera , Repubblica e Unità. Ma che ha anche dato i suoi frutti velenosi, visto l'intervento del Garante per gli scioperi che ha definito illegittima l'agitazione dell'11 giugno con la scusa che un altro sciopero dell'Usb era già programmato per il 19. E vista anche la defezione del crumiro Bonanni, che ha definito lo sciopero “un inutile braccio di ferro dal sapore politico con il governo”. Ritirata per nulla sorprendente, se si pensa alla sua apertura al decreto Madia che massacra i dipendenti pubblici. Ma soprattutto visto il sabotaggio dello sciopero da parte dell'influente sindacato interno dei giornalisti Usigrai. Cosa che ha consentito ai telegiornali di andare in onda, sia pure per pochi minuti e solo con servizi registrati. E ha permesso alla rete crumira Rainews24, un tempo trincea del trotzkista Corradino Mineo e oggi diretta dall'ultracattolica “embedded” Monica Maggioni, di andare invece in onda ininterrottamente, e senza neanche parlare dello sciopero e dei motivi che lo avevano determinato.
Evidentemente non solo i dirigenti sono saltati sul carro di Renzi, a cominciare dal direttore generale Gubitosi che ha accettato senza protestare i tagli (“ci è stato chiesto un sacrificio, e noi lo faremo”), ma anche i giornalisti professionisti della Rai, definiti “quaquaraquà” nei cartelli dei manifestanti, hanno annusato l'aria che tira e si stanno scoprendo improvvisamente tutti renziani. A convincerli a voltare gabbana è stata anche la carota della promessa di mantenere aperta almeno una sede per regione. Mentre nessuna concessione Renzi ha fatto sul taglio di 150 milioni e sulla vendita di Ray Way. E non a caso, visto che sono il grimaldello per scardinare la Rai come servizio pubblico.
 

18 giugno 2014