Tra Hamas e Fatah
Costituito un governo di “consenso nazionale” nei Territori occupati
Critiche da sinistra. Il sionista Netanyahu annuncia misure punitive e mette a ferro e fuoco la Cisgiordania alla ricerca di tre giovani dispersi

 
Il nuovo governo di “consenso nazionale” palestinese, presieduto da Rami Hamdallah, e appoggiato esternamente da Hamas e Al Fatah ha giurato di fronte al presidente Abu Mazen lo scorso 2 giugno nella Muqata, il parlamento, a Ramallah. Si tratta di un esecutivo tecnico provvisorio, formato da 17 ministri indipendenti, guidato dal premier Rami Hamdallah, che avrà come compito principale quello di organizzare e gestire le elezioni presidenziali e quelle politiche nei territori occupati entro la fine del 2014. Dei 17 convocati, 5 non hanno potuto partecipare alla cerimonia del giuramento, perché dovevano venire da Gaza ma le autorità sioniste non hanno concesso loro il permesso di recarsi in Cisgiordania.
La formazione del nuovo esecutivo segna la ricomposizione della frattura di sette anni fa quando Abu Mazen e Fatah, sotto la pressione degli imperialisti e dei sionisti, mollarono il governo presieduto dall'esponente di Hamas Ismail Haniyeh che nel 2006 aveva vinto le prime elezioni nei territori occupati. E Hamas cacciò i rappresentanti di Fatah dalla striscia di Gaza. L'unico governo palestinese finora eletto è rimasto in carica fino all'1 giugno quando Haniyeh ne ha annunciato lo scioglimento.
Era stato lo stesso ex premier palestinese ad annunciare lo scorso 23 aprile la conclusione dei colloqui fra Hamas e una delegazione di Fatah su un progetto di “riconciliazione nazionale” che prevedeva la formazione di un nuovo esecutivo. In risposta il premier sionista Netanyahu convocava il gabinetto di guerra e decideva l'adozione di nuove sanzioni economiche contro l'Autorità nazionale palestinese (Anp). Già il regime di Tel Aviv ha bloccato i trasferimenti di tasse e dazi doganali per un valore di cento milioni di dollari al mese all'Anp, per rappresaglia dopo le recenti richieste di adesione dello Stato palestinese a 15 trattati e convenzioni internazionali.
Il blocco dei trasferimenti all'Anp è stata una delle spinte alla “riconciliazione nazionale” per lo screditato Abu Mazen, che si è legato mani e piedi alla trappola del fallimentare, per i palestinesi, “processo di pace” determinato da imperialisti e sionisti; Hamas è rimasta orfana dell'appoggio della Fratellanza musulmana in Egitto, con entrambe le organizzazioni dichiarate fuorilegge dal Cairo, e sembra puntare sulla pacificazione nazionale per uscire dall’isolamento. Hamas e Fatah ritentano la strada che fallì dopo l'accordo del 4 maggio 2011 che prevedeva la formazione di un governo congiunto e la preparazione di elezioni parlamentari e presidenziali in 8 mesi.
“Oggi con la formazione di un governo di consenso nazionale - ha affermato il presidente Abu Mazen il 2 giugno - annunciamo la fine di quelle divisioni in seno al popolo palestinese che hanno danneggiato la nostra causa nazionale”; questo “è il governo di tutto il popolo palestinese”, commentava un portavoce di Hamas, formato da “tecnici” e non da esponenti ufficialmente delle due organizzazioni.
Il presidente dell'Anp e leader di Fatah Abu Mazen “ha formato un governo di tecnocrati che non include membri di Hamas. Pertanto, alla luce di quello che sappiamo, lavoreremo con questo governo” affermava un portavoce del dipartimento di Stato americano. Precisando che gli aiuti economici, che tenevano in vita l'amministrazione collaborazionista dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), “saranno calibrati sulla base delle azioni dell'esecutivo”.
“Un governo palestinese di vera unità nazionale deve puntare ad avere una piattaforma politica riconosciuta e accettata da tutto il nostro popolo nei Territori occupati e in esilio e non cercare il consenso degli Usa”, denunciava il Fronte popolare per la liberazione della Palestina, che pure ha appoggiato la riconciliazione nazionale. Il nuovo governo di Ramallah, criticava l'organizzazione palestinese, mantiene inoltre gli impegni di cooperazione sulla sicurezza con Israele e alle condizioni poste da Stati Uniti ed Europa. Impegni che hanno definito la collaborazione tra i servizi segreti dell’Anp e quelli sionisti che hanno riempito le carceri di Tel Aviv di dirigenti, militanti e simpatizzanti di Hamas in Cisgiordania.
La conferma nella cronaca degli ultimi giorni dopo la scomparsa di tre giovani israeliani mentre facevano l’autostop nel blocco colonico illegale di Gush Etzion, in piena area C dei territori occupati sotto totale controllo militare israeliano, e la conseguente caccia all'uomo scatenata dai sionisti contro militanti e dirigenti di Hamas, accusata del rapimento.
Nella Cisgiordania messa a ferro e fuoco, i soldati sionisti hanno ucciso una decina di palestinesi; al 24 giugno i palestinesi arrestatati erano quasi 400, dei quali 300 vicini ad Hamas, chiusi nella prigione di Ofer, o meglio in “detenzione amministrativa”, la formula che permette alle autorità sioniste di tenere in carcere i palestinesi a tempo indeterminato.
L'intervento dell'esercito di Tel Aviv ha innescato le proteste palestinesi in tutta la Cisgiordania, protesta e rabbia dirette anche contro la complice Anp e il presidente Abu Mazen che anche nella recente visita in Arabia Saudita ha riaffermato la volontà di cooperare con le forze di sicurezza sioniste. E il 23 giugno, dopo l'ennesimo raid dei soldati nel centro di Ramallah, tra l'altro a breve distanza dal quartier generale di Abu Mazen, decine di giovani hanno preso a sassate una sede della polizia dell’Anp.

25 giugno 2014