Agli ordini delle multinazionali
La Ue dà via libera alle coltivazioni transgeniche
I singoli Stati membri hanno però il diritto di vietarle su una parte o sulla totalità del proprio territorio nazionale

 
Il Consiglio Ambiente dell’Unione europea ha raggiunto il 12 giugno scorso l’accordo politico sul testo predisposto dalla Presidenza greca sulla proposta della Commissione di modifica della Direttiva 2001/18/CE, nella parte che riguarda la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati (Ogm) sul loro territorio, decidendo che la materia non è di competenza dei regolamenti comunitari e demandando la decisione ad ogni stato membro. Il testo approvato al consiglio Ambiente dovrà tornare al Parlamento europeo per la seconda lettura.
Il compito di autorizzare l'utilizzo di sementi geneticamente modificate tocca alla Commissione, una volta sentito il parere dell'agenzia alimentare europea, che ha sede a Parma. Finora Bruxelles ha autorizzato la coltivazione di mais e di un tipo di grano prodotto dalla multinazionale Monsanto. Molti stati membri, tra cui l'Italia, si sono rifiutati di applicare la decisione della Commissione, anche se le ragioni del rifiuto legate alla tutela della salute erano regolarmente respinti dall'Agenzia alimentare che li riteneva ingiustificati. Negli ultimi anni le multinazionali del settore hanno intentato cause e presentato ricorsi alla Commissione, che non riusciva a imporre ai governi la liberalizzazione delle culture autorizzate anche perché alcuni paesi contrari agli ogm riuscivano a bloccare ogni decisione determinante del Consiglio europeo.
L'accordo raggiunto dai ministri dell'Ambiente, se confermato dal Parlamento, consentirà di superare questa situazione di stallo, facilitando le coltivazioni transgeniche. Se l'Efsa (European Food Safety Authority) e la Commissione esprimeranno un parere negativo su un Ogm, nessuno stato membro potrà farne utilizzo. Viceversa, se si esprimono favorevolmente approvando un Ogm, ogni stato membro dell'Unione Europea può scegliere se accogliere la decisione o vietarne l'utilizzo sul proprio territorio, oppure di limitarlo ad alcune aree geografiche adducendo motivazioni relative all'uso dei suoli, alla tutela ambientale, all'impatto socio economico, alla pianificazione territoriale o all'esigenza di evitare contaminazioni.
La definizione di una lunga lista delle motivazioni contrarie all'uso degli Ogm non tranquillizza affatto gli ambientalisti che chiedevano “una base legale più solida, capace di garantire che le valutazioni di impatto su ambiente e salute non siano basate unicamente sui dati forniti dalle stesse aziende biotech che richiedono la vendita o coltivazione degli Ogm”. Erano le stesse perplessità espresse dai ministri di Belgio e Lussemburgo che si sono astenuti sull'accordo denunciando “il ruolo troppo rilevante lasciato alle industrie di biotecnologie” che potranno esercitare pressioni sui governi nazionali.
Secondo le organizzazioni Greenpeace e Slow Food il testo attuale "rischia di trasformarsi in una trappola per i paesi che non vogliono gli ogm", dato che "il testo dà poche garanzie di reggere in sede legale. Quei paesi, come l'Italia, che vogliono dire no agli ogm sarebbero esposti alle ritorsioni legali del settore biotech". Questo testo, sostengono le due organizzaioni, "impedisce agli stati membri di utilizzare le motivazioni legate ai rischi per salute e l'ambiente derivanti da colture ogm per limitarne la coltivazione a livello nazionale". Senza contare che gli Stati non hanno tutti pari forza legale e pari capacità di negoziazione e una decisione come questa può significare la consegna degli Stati più deboli ai voleri delle multinazionali.
L'Europa coltiva legalmente Ogm dal 1996 su una piccolissima percentuale, lo 0,03%, della superficie coltivata. Il paese che più ne coltiva è la Spagna e l'unico prodotto che si coltiva in quantità significative è il mais. Il grano geneticamente modificato è coltivato liberamente in Spagna, Portogallo, Romania, Slovacchia e Repubblica Ceca. Una situazione rimasta per quasi venti anni invariata e che potrebbe essere modificata a vantaggio della multinazionali capitaliste dall'intesa dei ministri dell'Agricoltura del 12 giugno.

25 giugno 2014