Il reddito di cittadinanza è un diversivo rispetto alla lotta per il lavoro e l'abolizione del precariato

 
A seguito dell’importante documento redatto dall’Ufficio Politico del PMLI il 14 marzo scorso, intitolato “Lottiamo e formiamo un largo fronte unito per abolire il precariato” (http://www.pmli.it/20140322_Documento_precari.html), un documento di portata storica in Italia, essendo il primo e l’unico rapporto di analisi sulla condizione del precariato nel nostro Paese che ha aperto uno squarcio su questo importante argomento, permettendo con strumenti di classe proletaria e marxista-leninista di analizzare scientificamente, la nascita e lo sviluppo del precariato come forma di assunzione attualmente dominante in Italia, preme oggi approfondire un altro tema di stretta attualità che si collega a quello del precariato, il reddito di cittadinanza.
Il reddito di cittadinanza nelle sue svariate forme condito in tutte le salse pseudo progressiste, è spacciato ai lavoratori, in particolare ai precari e disoccupati, da una larga fetta delle forze politiche e sindacali della “sinistra” borghese, oltre che da alcuni movimenti dei precari (come ad esempio “San Precario”), come l’unica soluzione in grado di ridare dignità e sicurezza economica a chi questa dignità l’ha persa a causa del massacro sociale causato dalla crisi economica del sistema capitalista che ha portato ad una povertà dilagante e ad una disoccupazione oltre il 13%, mentre quella giovanile staziona poco di sotto al 50%, un dato agghiacciante, il peggiore dal 1977.
 
Le origini del reddito di cittadinanza
La proposta di un reddito di cittadinanza non è né nuova né innovativa, sia come tale, sia nelle sue numerose varianti: reddito minimo garantito, reddito sociale di inserimento, salario sociale. Una proposta di stampo caritatevole, filantropico, riformista, avanzata nel tempo da economisti liberali come Milton Friedman, Friedrich Hayel, Herbert Simon, o socialdemocratici, cui si sono aggiunti esponenti neoliberali e trotzkisti. Nella "patria" del capitalismo più liberista e selvaggio, gli Usa, una commissione nominata dal presidente Johnson pubblicò nel 1969 un rapporto che raccomandava di sostituire gran parte delle leggi anti-povertà con un programma che fornisse a tutti gli americani un reddito annuale garantito. La legge non fu approvata per pochi voti.
In Italia si sono fatte due esperienze concrete: una a carattere nazionale e l'altra a carattere regionale. La prima riguarda il reddito minimo d'inserimento (RMI) introdotto dai governo Prodi e D'Alema con il Dlgs n.23/98 come parte integrale della "riforma" dell'assistenza sociale della ministra Livia Turco, con risultati deludenti, per non dire fallimentari. La seconda riguarda il disegno di legge approvato il 27 gennaio del 2004 dal consiglio regionale della Campania, con i voti del "centro-sinistra", di Rifondazione e persino di AN, sul reddito di cittadinanza; un'elemosina di 350 euro mensili da erogare in via sperimentale a nuclei familiari con un reddito inferiore a 5 mila euro all'anno. Ambedue queste esperienze hanno avuto vita breve.
 
I sostenitori del reddito di cittadinanza
Da diverso tempo la parola d’ordine del reddito di cittadinanza è diventata uno dei cavalli di battaglia delle organizzazioni e dei partiti dei movimentisti e degli anarco-sindacalisti, nonché del Movimento 5 stelle del destro Beppe Grillo.
Tra i maggiori fautori di questa elemosina di Stato troviamo Landini, segretario generale della FIOM CGIL, sostenuto da SEL del trotzkista neoliberale Vendola alla quale è aderente, e il costituzionalista riformista Stefano Rodotà. La CGIL di Susanna Camusso è interessata alla questione, all’ultimo congresso svoltosi a Rimini, ha auspicato che a livello europeo venga presa in considerazione la proposta di “reddito universale”. Ma il maggiore sindacato italiano non l'ha sempre pensata così. Storicamente, la CGIL, come l'allora PCI revisionista, rifiutava il reddito di cittadinanza in tutte le sue forme considerandolo un sussidio di povertà. PCI e CGIL successivamente cambiarono radicalmente posizione, e alla fine degli anni '80 aprirono all’idea di forme di sostegno al reddito. Anche i partiti trotzkisti, il Partito dei comunisti italiani e Rifondazione comunista, sono favorevoli al reddito di cittadinanza.
Il governo Monti, tramite la Fornero, aveva proposto un reddito di cittadinanza per facilitare i licenziamenti e la mobilità. Renzi lo sta valutando nell'ambito del Jobs Act per cancellare definitivamente gli “ammortizzatori sociali”.
 
La proposta del PMLI
Noi non escludiamo strumenti di sostegno al reddito, ma tali strumenti non devono sostituire o surrogare i diritti già acquisiti, devono semplicemente integrarli. Il documento su richiamato dell'Ufficio politico del PMLI rivendica di “Riconoscere a tutti i disoccupati un'indennità di disoccupazione pari al salario medio degli operai dell'industria che duri un periodo congruo alla ricerca di un nuovo lavoro”. Inoltre rivendica l'“Introduzione di una quota minima di salario, pari al salario medio degli operai dell'industria, da corrispondere per legge ai lavoratori precari (compresi co.co.pro., stagisti, voucher, ecc.)” .
Il reddito di cittadinanza non fa altro che coprire a sinistra il precariato in quanto non intacca minimamente questo modello di assunzione imposto dai capitalisti attraverso i loro governi. Anzi peggiora le condizioni dei lavoratori precari visto che la concessione delle varie forme di sussistenza sono legate all'accettazione da parte dei disoccupati di un posto lavoro qualsiasi, pena la mancata erogazione dell’elemosina di Stato. Ciò inevitabilmente porta chi è disperato e alla ricerca di un lavoro ad accettare anche le più intollerabili condizioni lavorative offerte dallo sfruttatore di turno. Non sorprende allora che il precariato sia la forma di lavoro prediletta da Renzi e da Poletti.
Il PMLI ha sempre detto e sempre ripeterà che il reddito di cittadinanza non è altro che una forma illusoria di aiuto delle masse, un diversivo che distoglie le masse da quella che è la vera battaglia che è quella per il lavoro, che per il PMLI deve essere stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato. L'abolizione del precariato è parte integrante della battaglia per la piena occupazione.
Come afferma il documento su citato, “La situazione deve essere cambiata radicalmente con la lotta. L'unica via è battersi per abolire il precariato. Una battaglia strategica che deve diventare l'obiettivo e l'orientamento delle lotte immediate delle masse precarie. A sua volta questa lotta sarebbe zoppa senza allearsi alla classe operaia, al resto delle masse lavoratrici, ai disoccupati, ai pensionati, agli studenti, alle organizzazioni delle masse in lotta, come quelle ambientali, per il diritto alla casa ecc., dandosi reciprocamente forza e costruendo l'opposizione di classe e di massa contro il governo Renzi al servizio del capitalismo”.
Il PMLI partecipa e invita tutte le forze politiche, sociali, sindacali, culturali e religiose (in particolare i movimenti contro il precariato e per il diritto alla casa, molto attivi nella lotta di piazza in questi mesi) che si battono per il diritto al lavoro ad unirsi in un largo fronte unito che abbia come parole d’ordine “Piena occupazione”, “Abolire il precariato”. Una battaglia che non può essere disgiunta da quella contro il governo del Berlusconi democristiano Renzi, che, seguendo l’esempio di tutti i governi precedenti (da Prodi a Berlusconi, Monti e Letta) ha fatto tabula rasa del diritto al lavoro, attraverso il famigerato Jobs Act che ha liberalizzato i contratti a termine e l'apprendistato e il precariato che è diventato la forma dominante di assunzione. In linea con le politiche dettate dall'Unione europea fatte di precarietà e di austerity, che sono la ricette preferite dell’imperialismo europeo per tentare di uscire dalla crisi capitalista scaricandola sulle masse popolari.
Non bisogna mai stancarsi di lottare per i diritti politici, sociali e civili e contro il capitalismo, che tende a limitarli, a restringerli o addirittura a sopprimerli, come il diritto al lavoro. Bisogna quindi capire che occorre mettere al centro della lotta per l’abbattimento del potere borghese e del sistema economico e sociale vigente, il capitalismo, e dell’instaurazione del socialismo, che potrà avvenire solo con la presa del potere politico da parte del proletariato per mezzo di una rivoluzione socialista guidata dal PMLI.
 
 

2 luglio 2014