E' nato il califfato tra Siria e Iraq
Al Baghdadi nominato Califfo
Putin disputa a Obama l'influenza su Baghdad

 
Il parlamento iracheno uscito dalle elezioni legislative del 30 aprile scorso ha rinviato dall'8 luglio al 12 agosto la seduta per eleggere il primo ministro e il presidente dell'assemblea perché i gruppi politici sciiti, sunniti e curdi non riescono a trovare un accordo sui nomi dei candidati; la politica di divisione tra i gruppi alimentata e allargata dalla iniziale gestione amministrativa americana è stata proseguita dai governi guidati dallo sciita al Maliki e la situazione irachena resta in stallo. A Baghdad. Nelle regioni centro-occidentali nasce una nuova entità, il Califfato, nei territori occupati dalle milizie dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isil). Nella regione autonoma curda il presidente Barzani ha annunciato un referendum per l’indipendenza curda: “tutto quello che sta succedendo in questi giorni mostra che è diritto del Kurdistan avere l’indipendenza. D’ora in poi non nasconderemo più il nostro obiettivo. L’Iraq è ormai diviso. Dovremmo continuare a vivere in questa tragica situazione? Non sono io a decidere, è il popolo. Terremo un referendum, è questione di mesi”; Israele si è già detto pronto a riconoscere l’indipendenza del Kurdistan. Si prefigura in concreto quella spartizione dell'Iraq in tre pezzi immaginata dall'imperialismo americano dopo l'aggressione del 2003.
Un passo in questo senso è l'annuncio il 29 giugno da parte dell'Isil della ricostituzione del Califfato, quel regime politico islamico sparito da circa un secolo, che dovrebbe estendersi da Aleppo in Siria a Diyala in Iraq, nei territori attualmente occupati dal gruppo sunnita. Il portavoce dell'Isil, Abu Mohammad al-Adnani, in una registrazione audio diffusa in Internet, ha spiegato che l'organizzazione si chiamerà da ora in avanti Is (Stato islamico) e che ha designato il suo capo lo sceicco Abu Bakr al-Baghdadi "califfo", cioè "capo dei musulmani". Il Califfato resuscitato dalla formazione sunnita sarebbe l'erede di quelli storici, finiti con la dominazione ottomana e con i confini ridefiniti nel 1916 dalle ex potenze coloniali Francia e Gran Bretagna che si misero d’accordo per la spartizione del Medio Oriente tirando le linee di confine di Libano, Siria, Iraq, Giordania.
Stati Uniti, Russia e Iran hanno ribadito il sostegno militare diretto e indiretto all'esercito iracheno e ad al Maliki. Il presidente americano Barack Obama annunciava l'invio di un ulteriore contingente di 200 soldati a protezione dell'ambasciata Usa e dell'aeroporto di Baghdad. Putin spediva velocemente nella capitale irachena cinque caccia Sukhoi, anticipo della fornitura già concordata di una dozzina di veicoli acquistati al posto degli F16 americani, solo promessi ma mai arrivati. Una mossa che indica come Putin si dia da fare per contendere a Obama l'influenza su Baghdad, dove ha già messo più di un piede anche la Cina. La Russia di Putin è tornata protagonista nella regione, con le iniziative diplomatiche che hanno stoppato l'intervento militare dei paesi imperialisti occidentali nella crisi siriana e punta a assicurarsi un posto in prima fila a Baghdad.
Anche la Cina sempre più presente in Iraq, dove compra circa la metà della produzione petrolifera e investe nella sua industria estrattiva. Lo scorso febbraio, durante la visita del ministro degli esteri Wang Yi a Baghdad, i due governi hanno firmato accordi che prevedono anche forniture militari da parte di Pechino.
Ma se al Maliki non regge e perde il controllo dei pozzi petroliferi e di parte del paese, gli accordi con Mosca e Pechino vanno in fumo. E il controllo dell'Iraq resta a Usa e Arabia saudita che hanno preparato il terreno foraggiando e addestrando le formazioni sunnite lanciate contro Assad in Siria e prima ancora quelle contro Gheddafi in Libia. Palese è diventata la strategia dell'imperialismo americano di demolizione degli Stati attraverso la guerra coperta.
Contro gli Usa si è espresso il leader dello Stato islamico, Abu Bakr al-Baghdadi, nel primo messaggio audio dall'autoproclamazione del califfato dove ha affermato che “gli Stati Uniti sono alla testa degli infedeli e la loro battaglia contro i musulmani è persa. I mujahedin hanno giurato che l'America la pagherà cara, ancora di più rispetto a quello che è stato fatto da Osama Bin Laden".

9 luglio 2014