Rapporto sui diritti globali promosso dalla CGIL e altri
Il 10% della popolazione più ricca possiede il 46% della ricchezza nazionale
9 milioni e 503 mila in povertà relativa. 4 milioni e 800 mila in povertà assoluta. La disoccupazione generale al 12,6%, quella giovanile al 43%
E' frutto del capitalismo e dei suoi governi. Ma il rapporto non lo dice

Un'altra indagine che ci conferma gli effetti devastanti della crisi economica capitalistica la quale sopratutto colpisce prevalentemente una parte della popolazione, quella già più povera, mentre quella più ricca non ne risente minimamente o addirittura migliora la propria posizione economica. Ci riferiamo al XII rapporto sui diritti globali promosso dalla Cgil e presentato a Roma il 7 giugno nella sede nazionale del sindacato della Camusso. Effetti negativi che non accennano a diminuire ben sintetizzati dal rapporto dal titolo “Dopo la crisi, la crisi” realizzato in collaborazione con Arci, Cnca, Gruppo Abele, Legambiente e altre associazioni, con introduzione di Susanna Camusso e don Luigi Ciotti.
Tutti i dati economici e sociali dimostrano che in Europa dopo 6 anni di crisi la disoccupazione continua a crescere tanto che i disoccupati nel continente sono aumentati di 10 milioni e i nuovi poveri sono oltre 13 milioni. Solo nei 28 paesi dell'Unione Europea le persone già povere e quelle che sono sulla soglia ammontano a ben 125 milioni, praticamente uno su 4, con un aumento nell'ultimo anno di 2 milioni e mezzo di poveri. Una crisi drammatica che investe tutti i Paesi e che vede ancora una volta l'Italia primeggiare nelle classifiche negative.
Quelli che vivono in povertà assoluta sono raddoppiati passando da 2 milioni e 400.000 a 4 milioni e 800.000, ben l'8% della popolazione italiana che non può acquistare beni e servizi necessari a raggiungere uno standard di vita minimo accettabile, mentre coloro che che vivono in povertà relativa, ovvero chi ha difficoltà a raggiungere il livello di vita medio, si avvicinano ai 10 milioni, ossia il 15,8% della popolazione. Il tasso di occupazione nel 2013 è stato del 59,8%; all’inizio della crisi, nel 2008, era al 63%. Peggio stanno solo i greci, i croati e gli spagnoli. Tra il 2012 e il 2013 sono stati persi 424 mila posti di lavoro. Dall’inizio della crisi hanno perso il lavoro circa un milione di persone. Il tasso della disoccupazione generale è attestato intorno al 13% mentre tra i giovani dai 15 ai 24 anni è arrivato al 42,4%.
Non ci sono però solo questi effetti ma anche l'aumento delle disuguaglianze che in questi 6 anni hanno allargato la forbice tra i ricchi e i poveri. In Italia più che altrove ci sono immensi capitali e patrimoni che non vengono assolutamente toccati dalla tassazione e permettono il concentramento della ricchezza in poche mani. Il 10% dei più ricchi possiede il 46% della ricchezza nazionale mentre il 10% delle famiglie più povere percepisce solo il 2,4% del totale dei redditi. In Italia dieci persone possiedono 75 miliardi di euro, pari al reddito di 500 mila famiglie operaie. Solo duemila persone possiedono un patrimonio superiore a 169 miliardi di euro, proprietà immobiliari a parte.
Dall'altra parte ci sono i salari fermi. In Italia nel 2013 sono aumentati dell'1,3%, nel settore pubblico sono praticamente bloccati e il potere d'acquisto delle famiglie durante la crisi è calato dal 5 all'1% ogni anno. Un quinto delle famiglie italiane guadagna meno di 1.200 euro netti al mese. A questi dati agghiaccianti fanno da corollario centinaia di suicidi e migliaia di aziende chiuse.
Il rapporto snocciola molti numeri e dati per dimostrare la gravità della crisi ma quando deve andare a ricercarne le cause e i colpevoli, allora qui è molto carente. A livello nazionale non mancano alcune stoccate al governo del Berlusconi democristiano Renzi. Gli 80 euro vengono definiti “una misura poco più che simbolica” che sarà annullata dall'aumento delle tasse locali e viene criticato il Jobs Act mentre sulle controriforme fasciste al massimo si arriva a questa affermazione: “ridisegna l’architettura costituzionale in segno neo-autoritario, abolendo il senato come carica elettiva e concentrando il potere nell’esecutivo senza contrappesi costituzionali”. Ma nella pratica la Cgil non è conseguente nemmeno a queste critiche già di per sé insufficienti.
Ma sopratutto il rapporto non accusa il capitalismo dell'attuale crisi. Critica una politica “fondata sul dogma del libero mercato e sulla religione del profitto”, afferma che è in atto “una lotta di classe dall'alto” ma non vi contrappone quella della classe operaia; si richiama a un’altra Europa e a un’altra globalizzazione, insomma la solita versione di sinistra dell'Unione europea imperialista. Non mancano certo le critiche al liberismo, al predominio dell'economia finanziaria, all'austerità ma questi fattori vengono individuati come cause invece questi sono le conseguenze della più grande crisi dell'economia capitalistica.
Per noi lo scopo è chiaro, sviare l'attenzione dal vero colpevole, cioè il sistema capitalistico e i suoi governi, il nemico numero uno del progresso in qualunque versione venga proposto, liberista o socialdemocratica. Un sistema fondato sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo che dovrà essere spazzato via dal socialismo.

23 luglio 2014