Controriforma neofascista e piduista
La “riforma” di Renzi e Madia attacca i lavoratori pubblici e i sindacati
Mobilità obbligatoria entro 50 chilometri. Blocco dei contratti fino al 2020. Meritocrazia. Niente assunzione per i 250mila precari. Maggiore part-time. Minaccia del demansionamento. Dirigenti sottoposti al governo. Dimezzati i permessi sindacali. Riduzione delle aziende municipalizzate e loro privatizzazione
Occorre subito lo sciopero generale del pubblico impiego

Un altro tassello si aggiunge nella costruzione della seconda repubblica neofascista, presidenzialista, federalista, piduista e razzista. Il decreto n.90 del 24 giugno 2014, il decreto per le "Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari", meglio noto come la riforma della pubblica amministrazione, sta per colpire e rimodellare l’apparato statale, premessa fondamentale per la controriforma costituzionale che sancirà la fine dello Stato democratico-borghese e il ritorno del fascismo sotto nuove forme, metodi e vessilli.
Per comprendere appieno la “riforma” della pubblica amministrazione, fortemente voluta dal Berlusconi democristiano Renzi e dal suo ministro Madia, occorre non perdere di vista il disegno golpista del governo Renzi ed il suo piano per sostituire lo Stato borghese con uno di stampo neofascista. Il governo Renzi, giova ricordarlo, è il risultato delle pressioni di potentati economici italiani e stranieri, della troika e dell’Unione europea capitalista ed imperialista. Quello di Renzi, dobbiamo averlo sempre bene in mente, è un governo borghese di destra, nemico dei lavoratori e delle masse popolari. Scalzato il delinquente piduista di Arcore Berlusconi, troppo coinvolto agli occhi dell’opinione pubblica in scandali personali e giudiziari, la classe dominante borghese sembra avere trovato il nuovo cavallo su cui puntare per distruggere i diritti democratico-borghesi e, con essi, la Costituzione borghese del '48, o almeno ciò che ne resta.
Per una corretta analisi materialistica e di classe di quella che è la tanto sbandierata “riforma” della pubblica amministrazione dobbiamo armarci dell’invincibile marxismo-leninismo-pensiero di Mao. Iniziamo con il domandarci, come diceva Mao: “Quale classe detiene il potere?” Una riforma, una legge o una istituzione politica non sono mai neutre. Non piovono dal cielo. Esse nascono in un determinato sistema economico e sono prodotte dalla classe che detiene il potere politico. Con il controllo della sovrastruttura statale la classe dominante serve la struttura economica e mantiene il proprio giogo sulle altre classi. Lo Stato borghese, come sappiamo bene noi marxisti-leninisti, altro non è che uno strumento di oppressione del proletariato e delle masse popolari. La borghesia lo utilizza a proprio uso e consumo e, ove necessario, lo riforma per renderlo uno strumento ancora più efficiente ed inflessibile.
Che quella della pubblica amministrazione sia una “riforma” piduista e fascista lo si vede, già nella forma del suo contenuto e nelle modalità in cui è nata ed è stata posta in essere.
La “riforma” non è di iniziativa del parlamento, il luogo che dovrebbe essere deputato alle riforme in uno Stato borghese, bensì del governo. A riprova che la seconda repubblica neofascista è di fatto già una realtà e il parlamento è privato di ogni ruolo. È il governo ad agire e a riformare! Come ai tempi di Mussolini le camere sono esautorate e ridimensionate a semplice luogo di approvazione incondizionata dei diktat governativi.
Al decreto 90 del 24 giugno 2014, che avrebbe dovuto essere convertito in legge entro sessanta giorni, il governo ha fatto seguire il 10 luglio scorso un vero e proprio disegno di legge che gli conferisce ancora più potere di azione. Una volta che sarà approvato da entrambi i rami del parlamento il governo avrà 12 mesi di tempo per emanare i decreti collegati ed attuativi che gli consentiranno un ulteriore rilancio della “riforma” con applicazioni concrete restrittive.
Frutto di precisi interessi di potentati borghesi la “riforma” è stata lanciata con roboanti annunci e conferenze stampa in cui il nuovo Berlusconi eccelle per le sue capacità di comunicatore. Ancora una volta ha scavalcato tutti i corpi intermedi dello Stato borghese rivolgendosi direttamente, proprio come Mussolini parlava alla folla, alla popolazione e alle lavoratrici e ai lavoratori del pubblico impiego. Mentre ai cittadini la “riforma” è stata presentata come necessaria per modernizzare lo Stato e renderlo finalmente efficiente e funzionale, il ministro Madia ha inviato una lettera di presentazione della “riforma” ai dipendenti pubblici chiedendo loro (quale democrazia!) pareri e consigli. Inutile dire che le risposte, peraltro ne sono pervenute pochissime, sono state interpretate e schematizzate dal ministro che ha così potuto presentarle a proprio uso e consumo, come una sorta di benedizione della “riforma” da parte dei dipendenti stessi!
Prima ancora di essere ufficialmente varata, con decreto legge prima e con un disegno di legge poi, la “riforma” è stata sbandierata ai quattro venti come un ulteriore passo in avanti per l’ammodernamento del Paese e una ulteriore promessa mantenuta da parte del governo. All’Unione europea imperialista è stata venduta come una merce di scambio per contrattare i tempi di risanamento del debito pubblico, alla borghesia come una “riforma” che riduce il ruolo dello Stato in favore del mercato, alla popolazione, coi cui Renzi interloquisce con piglio ducesco, come una “riforma” che rende meno burocratica e più efficiente la macchina della pubblica amministrazione al servizio del cittadino. Una riforma per tutte le stagioni! Non c’è davvero limite all’ipocrisia dei governanti borghesi!

I contenuti della “riforma”
Che la “riforma” della pubblica amministrazione sia una vera e propria mannaia che colpisce le masse popolari, ed in primo luogo i dipendenti pubblici, non possono esserci dubbi analizzandone i contenuti. Come prima cosa la “riforma” riafferma, e per certi versi rafforza, quanto già stabilito dai precedenti governi non smuovendo di un solo millimetro le catene che opprimono i dipendenti pubblici. Il decreto conferma il blocco del turn-over per le amministrazioni pubbliche centrali e periferiche. Fino al 2018 verrà impedito il ricambio dei dipendenti pubblici che vanno in pensione aumentando così il carico di lavoro dei dipendenti pubblici, sempre più schiacciati da mansioni impossibili da svolgere. Nessuna modifica è introdotta al patto di stabilità che continua a gravare sugli enti locali impedendo loro ogni possibile politica di sviluppo e di investimento sul sociale. I contratti dei dipendenti pubblici restano bloccati (sono fermi dal 2009, letteralmente divorati da sei anni di inflazione e di aumento del costo della vita) fino al 2020. Se il decreto sulla pubblica amministrazione non dice nulla di specifico a riguardo risuonano invece, in modo sinistro, i riferimenti all’efficienza ed al merito nella pubblica amministrazione.
In questo ambito il decreto si collega in modo stretto al Documento di Economia e Finanza (DEF) già varato che non stanzia un solo euro per i rinnovi contrattuali. Quella della meritocrazia , che il decreto ribadisce come uno dei pilastri per la “riforma”, non è certo una novità. Tutti gli ultimi governi borghesi che si sono succeduti se ne sono riempiti la bocca e l’hanno agitata come una frusta contro i dipendenti pubblici, a loro dire, “fannulloni”. Non è una novità. Nel capitalismo il plusvalore viene realizzato grazie allo sfruttamento dei lavoratori e, per una sempre maggiore rivalutazione del capitale, deve essere sempre rilanciato ed aumentato. Per la classe dominante borghese la pubblica amministrazione rappresenta solo un terreno di rapina e, nel suo funzionamento, soltanto un costo. In questo contesto i dipendenti pubblici, esattamente come i lavoratori del settore privato, devono essere sfruttati e privati dei loro diritti. Non dobbiamo stupirci se i padroni impongono ritmi di produzione, nel privato quanto nel pubblico, sempre più bestiali e tentano di azzerare i diritti. Engels a questo riguardo affermò che “chi sfrutta i lavoratori non si arresta fino a che rimane un muscolo, un nervo, una goccia di sangue da sfruttare".
Riduzione del numero dei dipendenti pubblici, blocco degli stipendi per quelli che restano in servizio ed aumento dei carichi di lavoro, ma ancora non basta! Il decreto di “riforma” introduce anche la mobilità obbligatoria entro 50km per i lavoratori pubblici in esubero che potranno così essere sballottati da una amministrazione all’altra senza indennizzo e senza motivazione! Proprio così, il decreto non entra nel dettaglio di come suddetta mobilità potrà essere attuata lasciando ampi spazi per una sua applicazione con intenti repressivi e punitivi nei confronti dei dipendenti più sindacalizzati e combattivi. Una protesta, una parola di troppo e… ci si ritrova spediti a 50km di distanza!
Altra pericolosissima questione introdotta dal decreto è quella relativa al demansionamento . In caso di esuberi (determinati come e secondo quali criteri? Il decreto non lo dice lasciando anche qui gli spazi per successive interpretazioni con intenti punitivi) i dipendenti pubblici potranno essere declassati in modo coatto a svolgere mansioni inferiori con ovviamente le corrispondenti riduzioni di salario. Come nella riforma fascista degli anni ’20 si vuole introdurre un rigido sistema gerarchico entro tutti gli uffici pubblici. Nessuna dissidenza deve essere ammessa, pena essere degradati e ricollocati in mansioni inferiori o, come abbiamo visto, in una sede più disagiata.
Maggiori possibilità, per Pubblica Amministrazione ed enti locali, di servirsi di lavoratrici e lavoratori in regime di part-time . La “riforma” copia da quanto sta già avvenendo nel settore privato, soprattutto nel commercio. L’obiettivo è chiarissimo: disporre di una massa di lavoratori senza un contratto a tempo pieno e quindi assolutamente ricattabili da un punto di vista economico. Una massa di lavoratori poveri, di certo disposta a tutto pur di ottenere una assunzione a tempo pieno e quindi un miglioramento della propria posizione.
Il decreto non aggiunge nulla sul fronte della stabilizzazione degli oltre 250.000 precari . Lo stato borghese, con Renzi alla guida del suo governo, non intende concedere nulla alla massa di lavoratori che da anni attendono una stabilizzazione. I precari rappresentano una delle principali forme di profitto dello Stato e dei suoi apparati. Perché del resto gli sfruttatori dovrebbero concedere qualcosa agli sfruttati? Il precariato non solo viene mantenuto in pianta stabile ma esso viene esteso, non da ultimo agli stessi dirigenti. È il caso di quelli degli enti locali in cui la percentuale massima di dirigenti non stabilizzati passa dal 10% al 30%. La “riforma” non si limita, sul fronte dei dirigenti, ad aumentare la percentuale di precari. Per quanto riguarda i dirigenti il governo introduce delle gravi novità che dobbiamo analizzare attentamente, senza farci confondere dalla loro collocazione di classe. Mentre i piccoli funzionari dello Stato appartengono alla piccola-borghesia i dirigenti dello Stato fanno a tutti gli effetti parte della borghesia, i dirigenti di medio livello della media borghesia, i più alti dirigenti invece dell’alta borghesia. La “riforma” colpisce i dirigenti subordinandoli di fatto al governo, modificando le norme che regolano l’accesso alla carriera, i compiti, le mansioni ed i diritti. Occorre fare attenzione.
La riforma della dirigenza non vuole certo diminuire le laute prebende dirigenziali che, di fatto, rimangono inalterate. Vero scopo della “riforma” è sottomettere tutti i dirigenti statali alla volontà del governo e renderli così dei fedeli ufficiali da impiegare per attuare i piani, ben più ambiziosi della semplice “riforma” della pubblica amministrazione, del giovane e rampante presidente del consiglio. Possibili di licenziamento e col timore di vedersi tagliare premi e indennità se non raggiungeranno gli obiettivi posti dal governo, costoro faranno la guerra ai dipendenti pubblici, li spremeranno e accentreranno un'organizzazione interna di tipo gerarchico e meritocratico e cercheranno di replicare negli uffici statali il famigerato modello Marchionne. Bisogna tenere bene a mente che è prossima la controriforma costituzionale che darà il colpo definitivo alla Costituzione borghese del 1948 ed a ciò che resta dei diritti (borghesi e formali) in essa contenuti. Renzi vuole spianarsi la strada: lo Stato deve avere dei dirigenti sottomessi, licenziabili e trasferibili così da non correre il rischio di trovarsi di fronte una possibile opposizione organizzata all’interno della macchina burocratica.
La “riforma” della Pubblica Amministrazione sferra inoltre un attacco diretto ai diritti ed alle libertà sindacali dimezzando i permessi, i distacchi e le aspettative sindacali. Lo scopo del governo, che lancia così un chiaro segnale agli industriali ed alla borghesia capitalistica, è chiaro: colpire il sindacato riducendo in modo drastico (la metà!) le risorse ed i funzionari. L’attacco, si badi bene, non è volto, come dice Renzi con piglio ducesco, a colpire la burocrazia sindacale bensì le lavoratrici ed i lavoratori del pubblico impiego. Limitando le libertà e le agibilità sindacali, peraltro tutelate tanto dalla Costituzione borghese, oramai fatta cartastraccia dalla borghesia in camicia nera, quanto dallo Statuto dei lavoratori, il chiaro intento è quello di fare arretrare la coscienza politica dei lavoratori del pubblico impiego. I dipendenti statali e degli enti locali devono diventare, questo il nero disegno del governo, né più né meno che dei soldati senza diritti, pronti ad eseguire gli ordini. Ad essere dimezzati non sono solo i distacchi, e con essi i funzionari, sindacali, ma anche e soprattutto le ore di permesso a disposizione dei lavoratori per partecipare ad assemblee, direttivi, riunioni e corsi di formazione sindacale.
La “riforma” contiene anche delle ghiotte concessioni ai pescecani capitalisti che con essa aumenteranno, a spese delle masse popolari, le possibilità di arricchirsi. Il numero delle aziende municipalizzate , aziende e società a partecipazione pubblica, viene drasticamente ridotto con un ulteriore e scellerato piano di privatizzazioni. Lo Stato borghese arretrerà ulteriormente la propria posizione nell’economia cedendo l’erogazione dei servizi ai privati. Il patrimonio pubblico si appresta a subire nuovi salassi tramite svendite e regalie grazie alle quali i partiti borghesi potranno ricevere generosi finanziamenti da imprenditori collusi, certamente interessati ad acquistare aziende pubbliche ben funzionanti così da poterle scorporare, svendere a loro volta o fare funzionare a scarto ridotto così da lucrare sulla cittadinanza. Saranno anzitutto le masse a subire le conseguenze di questo nefasto piano. I servizi che passeranno in mano ai privati subiranno di certo un peggioramento quantitativo e qualitativo così da garantire lauti profitti ai capitalisti sfruttatori.
Con la “riforma” della pubblica amministrazione la borghesia in camicia nera, i cui interessi sono ben rappresentati dal governo Renzi, metterà a segno un importante risultato per la realizzazione della seconda repubblica neofascista che cancellerà definitivamente quanto resta dello Stato democratico-borghese. Per fermare la “riforma” è necessaria una immediata mobilitazione delle masse con il diretto coinvolgimento delle lavoratrici e dei lavoratori del pubblico impiego. I sindacati confederali e “di base” devono subito proclamare uno sciopero generale di otto ore con manifestazione nazionale sotto Palazzo Chigi. Il governo del nuovo Berlusconi deve essere spazzato via, primo passo per una presa di coscienza delle masse che solo il socialismo potrà cambiare l’Italia e dare il potere politico al proletariato.
 
 

23 luglio 2014