Il nuovo Hitler Netanyahu non ascolta nemmeno il Consiglio di sicurezza dell'Onu
Nuovi crimini dei sionisti nazisti a Gaza.
Strage di bambini
Oltre 1.200 morti e 3.500 feriti palestinesi, il 75% sono civili. Rivolta in Cisgiordania e proteste dei pacifisti israeliani, manifestazioni di solidarietà in Italia e in tutto il mondo

 
Il bilancio dell'aggressione degli imperialisti sionisti alla striscia di Gaza è arrivato al 28 luglio, dopo tre settimane di attacchi, a 1.200 morti tra i palestinesi, oltre 3.500 i feriti, e a 53 soldati di Tel Aviv. Delle vittime palestinesi, circa il 75% sono civili, un terzo dei quali sono minorenni: una strage di bambini.
Per il nuovo Hitler Netanyahu la colpa sarebbe di Hamas che “inganna il suo popolo. Noi diciamo ai palestinesi di andarsene, Hamas li accatasta come scudi umani a favore di telecamere” mentre i soldati di Tel Aviv sarebbero impegnati solo a distruggere i tunnel sotto Gaza da dove partono i missili palestinesi. Alla chiusura dei tunnel che servono invece da rifornimento per il milione e mezzo di palestinesi rinchiusi dai sionisti nel lager di Gaza ha dato il suo contributo l'Egitto del presidente Sisi che sempre il 27 luglio annunciava di aver distrutto 13 altri tunnel portando il loro numero a 1.639 nel corso dell'ultimo anno e mezzo. Una mano a Tel Aviv contro Hamas del neocostituito asse arabo reazionario formato da Egitto, Arabia Saudita e dal collaborazionista presidente palestinese Abu Mazen.
La versione de nazisti sionisti è presa per oro colato dalla stampa imperialista che al massimo si spende per invocare una “tregua umanitaria”, quando non ne può fare a meno come dopo il caso della distruzione di una scuola dell'Unrwa, l'organizzazione dell'Onu per i rifugiati, a Gaza il 24 luglio e le conseguenti 16 vittime palestinesi. Non sarà né la prima né l'ultima scuola colpita dalle bombe.
Solo due giorni prima, il 22 luglio, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite aveva avviato un'inchiesta sull'offensiva di terra di Tel Aviv contro Gaza, con l'unico voto contrario degli Usa e la vergognosa astensione dei paesi europei, Italia inclusa. L'Alto commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, aveva accennato a possibili crimini di guerra commessi da Israele a Gaza riferendosi in particolare ai moltissimi bambini uccisi; attirandosi le ire del governo Netanyahu anche se aveva denunciato gli “attacchi indiscriminati” contro i civili israeliani, ovvero il lancio dei razzi da parte di Hamas, la prima ragione avanzata da Tel Aviv per giustificare l'offensiva su Gaza. Una offensiva preparata invece da tempo contro la resistenza palestinese a Gaza dopo le rappresaglie naziste in Cisgiordania.
I dati dei crimini sionisti a Gaza sono completati dalle cifre fornite il 29 luglio dal ministero della Salute di Gaza, che registrano 5 mila case completamente distrutte e altre decine di migliaia parzialmente danneggiate; interi quartieri sono stati demoliti dalle bombe degli aerei e dei carri armati mentre scuole e ospedali sembrano diventate “bersaglio privilegiato” nella caccia ai “terroristi”. Nella notte del 28 luglio altre 20 mila persone hanno dovuto lasciare i rioni di Izet Abed Rabbo, vicino al campo profughi di Jabalya, e Zaitun invitati da Tel Aviv ad abbandonare immediatamente le loro abitazioni, preludio di una nuova distruzione di interi quartieri. Il numero degli sfollati di Gaza supera già i 200 mila.
A fronte di questa situazione il Consiglio di sicurezza dell'Onu chiedeva all'unanimità a Tel Aviv e Hamas un immediato e incondizionato stop ai combattimenti, “il pieno rispetto del diritto umanitario internazionale, in particolare per quanto riguarda la protezione dei civili”; sottolineava “la necessità di fornire immediatamente assistenza umanitaria alla popolazione palestinese nella Striscia di Gaza” e ricordava che “le strutture civili e umanitarie, comprese quelle delle Nazioni unite, devono essere rispettate e protette e invita tutte le parti ad agire secondo questo principio”.
Posizione respinta in toto da Netanyahu con una telefonata al segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon nella quale affermava che la risoluzione “riferisce dei bisogni di un gruppo terrorista omicida che attacca civili israeliani e non ha risposta per i bisogni di sicurezza di Israele”. Per il nuovo Hitler, Hamas è responsabile di questi morti” e “i palestinesi vanno disarmati e screditati”.
Obama chiede il disarmo della Resistenza
La stessa risposta fornita al presidente americano Barack Obama che intanto aveva sconfessato persino il suo segretario di Stato Kerry, “colpevole” secondo Tel Aviv di aver aperto ad alcune posizioni di Hamas come l'apertura dei valichi di Gaza e l'afflusso di beni nella Striscia, di ignorare le loro richieste di smantellare l'arsenale di missili nella Striscia e di distruggere i tunnel e di non menzionare neanche l'Egitto, affidando un ruolo a “sostegno” della tregua a Qatar e Turchia, due paesi considerati troppo “vicini” ad Hamas; una posizione che aveva fatto infuriare anche Abu Mazen e l'Egitto.
Obama affermava che ci voleva una “tregua umanitaria immediata e senza condizioni”, perché per gli Usa il cessate il fuoco era un “imperativo strategico per arrivare a una cessazione definitiva delle ostilità. Qualsiasi soluzione duratura al conflitto israelo-palestinese deve garantire il disarmo dei gruppi terroristici e la smilitarizzazione di Gaza". Mica l'embargo e la messa al bando degli aggressori sionisti.
La soluzione di Obama prevede il disarmo della resistenza palestinese, quello che vorrebbe Netanyahu. E il governo italiano di Matteo Renzi. Per il governo di Roma parlava ancora il ministro degli Esteri, Federica Mogherini, che appoggiava l'operato del collaborazionista Abu Mazen e sottolineava che occorre "offrire sicurezza a Israele", eliminando i "tunnel" scavati da Hamas e garantendo la "demilitarizzazione di Gaza".
Khamenei: “Armare il popolo palestinese”
Occorre armare il popolo palestinese, era invece la corretta posizione espressa il 29 luglio dalla guida suprema iraniana, l'ayatollah Ali Khamenei, che denunciava il genocidio a Gaza. In un discorso diffuso in diretta dalla televisione di Stato Khamenei affermava che “il presidente americano ha emesso una fatwa affinché la resistenza palestinese venga disarmata, così che non possa rispondere a tutti questi crimini. Noi diciamo il contrario: il mondo intero ed in particolare quello islamico, deve armare più che può il popolo palestinese”; gli Stati Uniti ed i paesi europei, sosteneva il leader iraniano, sostengono la smilitarizzazione palestinese così che Tel Aviv possa attaccare “la Palestina e Gaza in qualsiasi momento, senza che si possano difendere”.
Già il 25 luglio, concludendo le tradizionali celebrazioni dell’ultimo venerdì di Ramadan ai partecipanti alle oltre 700 manifestazioni di solidarietà con il popolo palestinese che si sono svolte in tutto il paese, Khamenei aveva affermato che “il solo modo di fronteggiare questo regime selvaggio è di proseguire la resistenza, la lotta armata e di estenderla alla Cisgiordania”. Solo “la fine di questo regime è l’unico vero rimedio, anche se questo non significa distruggere gli ebrei in questa regione” sosteneva Khamenei, che indicava la soluzione di un referendum quale metodo per indicare il futuro della Palestina. Resta il fatto che la situazione di Gaza, del campo di concentramento di Gaza, così come la colonizzazione della Cisgiordania da parte dei sionisti evidenziano che non ha nessuno spazio la proposta di “due popoli, due Stati” mentre resta in campo quella di uno Stato di Palestina.
Oltre a quelle in Iran, tante erano le manifestazioni di solidarietà al popolo palestinese e contro i massacri sionisti che si sono svolte in tutto il mondo, compresa l'Italia (le cronache delle manifestazioni in cui era presente il PMLI sono nella pag. 14).
Ce ne sono state di molto importanti in Cisgiordania dove decine di migliaia di palestinesi a mani nude hanno sfidato gli occupanti sionisti. Nella notte del 24 luglio quasi 20 mila manifestanti davano vita a una marcia su Gerusalemme; partiti dal campo profughi di Al Amari e camminando avvolti nelle bandiere palestinesi sono arrivati fino al posto di blocco sionista di Qalandiya dove i soldati di Tel Aviv hanno cercato di disperdere la folla con gas lacrimogeni, granate stordenti e bombe sonore. Quando i manifestanti hanno risposto col lancio di pietre, biglie e molotov i soldati hanno sparato sul corteo e ucciso due manifestanti, oltre 280 i feriti.
Il 25 luglio le proteste palestinesi sono partite da Qalandiya ai funerali di uno dei giovani uccisi la notte precedente; a Gerusalemme i manifestanti si scontravano con la polizia sionista attorno alla Moschea di Al Aqsa, il cui accesso era sbarrato ai fedeli sotto i 50 anni. Un centinaio di giovani riusciva a rompere le barriere e ad entrare nella Spianata; il bilancio era di 40 manifestanti feriti e altrettanti arrestati. Manifestazioni e scontri con l'esercito occupante e i coloni si sono svolti a Betlemme, Nablus, Hebron; scontri duri con un bilancio di altri cinque palestinesi uccisi. L'organizzazione e la partecipazione alle sollevazioni nella Cisgiordania occupata è stata unitaria, di tutti i gruppi palestinesi; compresa Fatah che non si è limitata a rispondere al ridicolo appello di Abu Mazen alla donazione del sangue da inviare nella Striscia di Gaza. E anche la polizia dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) non è intervenuta per contenere o bloccare le manifestazioni, come era avvenuto nel mese di giugno contro i rastrellamenti nazisti dell'esercito sionista alla ricerca di dirigenti e militanti di Hamas.
Alle manifestazioni palestinesi in Cisgiordania hanno fatto eco numerose manifestazioni e proteste dei pacifisti israeliani che si sono svolte da Tel Aviv a Jaffa e Haifa contro i massacri in corso a Gaza. Per la manifestazione del 25 luglio a Tel Aviv si erano messi in marcia circa 3 mila pacifisti, fermati ai posti di blocco e minacciati di arresto da parte dell'esercito che aveva chiuso le strade provenienti da Haifa e Gerusalemme. In altre occasioni erano stati i gruppi di destra sionisti a aggredire e disperdere le proteste dei pacifisti. Del 23 luglio è la pubblicazione da parte del Washington Post di una petizione firmata da 51 riservisti che hanno deciso di non servire più nelle forze di difesa opponendosi anzitutto ai massacri perpetrati a Gaza e alla militarizzazione della società israeliana e denunciando l'oppressione verso i palestinesi.

30 luglio 2014