Secondo il piano fascista della P2 e il famigerato patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi
I senatori approvano in prima lettura la cancellazione del Senato della Costituzione del ’48
La Boschi non si vergogna di baciare in aula i suoi compari Romani e Verdini di Forza Italia

“Questa riforma porta due firme: quelle di Renzi e di Berlusconi”. La dichiarazione trionfale del capogruppo di Forza Italia Romani rivela perfettamente il significato politico dell’approvazione della controriforma che cancella il Senato della Costituzione del ’48, avvenuta in prima lettura l’8 agosto scorso proprio nell’aula di Palazzo Madama. Solo che ai nomi del nuovo Berlusconi e del delinquente di Arcore, Romani avrebbe dovuto aggiungere quello del rinnegato Giorgio Napolitano, loro grande sponsor e protettore, e quello di Licio Gelli, a cui spetta il copyright del progetto originale.
Questa controriforma, concordata tra Renzi e Berlusconi nel famigerato patto del Nazareno del 18 gennaio, contestualmente con la legge elettorale Italicum e con la benedizione del nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano, realizza infatti un passaggio fondamentale del piano fascista della P2, spianando la strada al completamento e all’ufficializzazione della repubblica presidenziale già in vigore di fatto. A questo mira l’abolizione “del bicameralismo perfetto” (“un’anomalia tutta italiana”, secondo la falsa definizione dell’inquilino del Quirinale), con la trasformazione del Senato di 315 rappresentanti in una camera di 100 membri non eletti a suffragio universale, di cui 5 nominati dal Capo dello Stato e 95 nominati dai partiti maggioritari scegliendoli tra i governatori regionali e i sindaci, nella misura rispettivamente di 74 e 21. Senza potere legislativo, se non su provvedimenti di interesse regionale e costituzionale, e senza alcun potere di controllo sul governo, dato che non vota la fiducia e che può solo esprimere pareri non vincolanti sulle leggi approvate dalla Camera. Però dotata ancora di immunità parlamentare, in modo da poter servire all’occorrenza per salvare dai processi Formigoni, Penati, Fiorito, Scopelliti, Orsoni e corrotti vari.
A ciò si aggiunga che la Camera dei deputati, unico organo legislativo rimasto, sarà tenuta a garantire corsie preferenziali ai provvedimenti del governo, con l’obbligo di approvarli o respingerli entro due mesi, pena la loro messa in votazione, articolo per articolo e con voto di fiducia. Non si fa fatica a capire, allora, che questa controriforma sovverte radicalmente l’equilibrio tra i poteri istituzionali disegnato nella Carta del ’48, riducendo drasticamente il potere del parlamento e aumentando di conseguenza quello del governo e del presidente del Consiglio in particolare, sancendo con ciò una trasformazione surrettizia della repubblica parlamentare in repubblica presidenziale, nella forma del premierato.
Infatti il potere legislativo ridotto a una sola camera e con ulteriori limitazioni, e l’altra camera nominata dai partiti, senza potere legislativo e di controllo, ma che, pur così addomesticato, asservito e privo di legittimazione del voto popolare, partecipa all’elezione del capo dello Stato, dei giudici costituzionali e del Consiglio superiore della magistratura, in combinazione con una legge elettorale ultra maggioritaria come l’Italicum, consentirà al candidato premier vincente non soltanto di garantirsi la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera e di scegliersi i senatori. Ma anche di nominare il presidente della Repubblica, di controllare 10 dei 15 giudici della Corte costituzionale (5 nominati dal capo dello Stato e 5 dal parlamento), e di assoggettare pure il Csm, tramite un terzo di consiglieri e il vicepresidente nominati dal parlamento, più il presidente che poi è lo stesso capo dello Stato. Uno sfregio allo Stato di diritto borghese.

Poteri mussoliniani al presidente del Consiglio
A quanto detto sopra bisogna ancora aggiungere la riduzione dei diritti democratici ed elettorali borghesi dovuta all’abolizione delle province, che taglia ulteriormente la rappresentanza politica per le masse già decurtata del Senato, e alle nuove soglie di sbarramento per i referendum abrogativi e per le leggi di iniziativa popolare: le cui firme da raccogliere sono state aumentate da 500 mila a 800 mila per i referendum (sia pure, per effetto di un emendamento, abbassando il quorum dalla maggioranza degli aventi diritto alla maggioranza dei votanti alle precedenti politiche); e da 50 mila a 150 mila (nel testo del governo erano state addirittura quintuplicate), per le leggi di iniziativa popolare.
Si tratta quindi nel complesso di poteri affidati ad un presidente del Consiglio che non hanno precedenti nella storia dell’Unità d’Italia, tranne nel caso di Mussolini, denunciati anche da diversi autorevoli giuristi e costituzionalisti democratico borghesi come Domenico Gallo, Lorenza Carlassare, Gianni Ferrara, Massimo Villone ed altri. Senza contare che, come già aveva tentato di fare il rinnegato D’Alema con la Bicamerale golpista (“Renzi è riuscito là dove non ce l’ha fatta Massimo D’Alema”, ha riconosciuto infatti l’ex dalemiano Nicola Latorre), il premierato così instaurato surrettiziamente da Renzi vuole essere solo un ponte verso la repubblica presidenziale a tutto tondo, come stabilito nel “piano di rinascita democratica” e nello “Schema R” della P2. Non a caso infatti a giugno, in occasione dell’accordo con Berlusconi sul testo definitivo a firma Finocchiaro-Calderoli da presentare in Senato, al ringalluzzito neoduce che era tornato alla carica chiedendo di inserire anche l’elezione diretta del presidente della Repubblica, Renzi non aveva chiuso le porte, ma si era limitato a giudicarla una questione “inopportuna e intempestiva”. E la ministra delle Riforme, Maria Elena Boschi, con candore, aveva precisato in un’intervista all’organo dei vescovi italiani “Avvenire”: “Oggi il tema è il nuovo Senato e io sono serena. Il treno corre. Mi auguro che non ci siano slittamenti. Una volta approvata questa riforma possiamo passare al tema del presidenzialismo. Chiudiamo, poi apriamo un nuovo tavolo”.
Il che dimostra che il patto del Nazareno va ben oltre i soli “atti parlamentari”, come vorrebbe gabellare Renzi, ma è un patto strategico e a lungo termine che comprende anche la repubblica presidenziale e altre cose inconfessabili, come la controriforma della giustizia e il controllo totale dell’informazione tramite il duopolio Rai-Mediaset in mano ai due contraenti: in altre parole coincide esattamente con il piano della P2 di Gelli, di Craxi e dello stesso Berlusconi. Non a caso ex craxiani come Maurizio Sacconi (NCD), Lucio Barani (PD) e Gennaro Acquaviva, hanno esaltato la controriforma di Renzi e Berlusconi come la realizzazione della “Grande riforma” di Craxi, lanciata nel settembre 1979.

Senato espropriato da Renzi, Berlusconi, Napolitano e Grasso
Anche il modo sfacciatamente antidemocratico, autoritario e sbrigativo con cui è stata approvata, per una legge di revisione costituzionale di tale portata, che modifica una quarantina di articoli della Carta del ’48, in neanche un mese dalla sua presentazione in aula il 14 luglio, conferma il disegno fascista e piduista che ci sta dietro. I partiti non facenti parte della maggioranza avevano presentato circa 7.800 emendamenti, di cui 6.000 da parte di SEL e alcune centinaia da parte del M5S. Ma un migliaio anche da parte della ventina di “dissidenti” di Forza Italia capeggiati da Augusto Minzolini, altri da parte della Lega e alcuni anche da parte della decina di “dissidenti del PD capeggiati da Vannino Chiti.
L’ostruzionismo parlamentare che si prospettava metteva quindi in serio pericolo l’approvazione entro la pausa estiva che Renzi e la Boschi volevano a tutti i costi, e ciò costringeva la triade Renzi, Berlusconi, Napolitano, a intervenire con tutto il suo peso per stroncarlo. Berlusconi minacciando di espulsione i suoi “dissidenti”, e Renzi minacciando i suoi (e l’intero parlamento) con lo spauracchio delle elezioni anticipate: “Questo parlamento è a un bivio: o dimostra di essere capace di cambiare facendo le riforme o si condanna da solo e si torna a votare”, avvertiva il Berlusconi democristiano”, indicando all’opinione pubblica i dissenzienti come “gufi” e “frenatori” che si oppongono al cambiamento solo per conservare la poltrona e i privilegi.
Quanto al rinnegato Napolitano, il 22 luglio interveniva nuovamente a gamba tesa per coprire a sinistra Renzi, accusato da più parti di tendenze “autoritarie” e di inammissibile fretta per una legge di revisione costituzionale, ammonendo a “non agitare spettri di insidie e macchinazioni autoritarie”, perché “non c’è stata nessuna improvvisazione né improvvisa frettolosità”, e che con la grande mole di emendamenti “non si miri a determinare in questo modo un nuovo nulla di fatto in materia di revisione costituzionale”.
Forti di queste autorevoli coperture, il capogruppo del PD Zanda e quello di FI Romani riuscivano ad imporre in combutta tra loro una riunione della Capigruppo che con 5 voti di scarto decideva la discussione ad oltranza della legge dal 28 luglio, dalle 9 a mezzanotte e sabati e domeniche comprese, fino alla sua approvazione prima delle ferie. Con il ricorso anche all’uso della “ghigliottina” (taglio dei tempi degli interventi) e del “canguro” (se un emendamento è bocciato lo sono automaticamente anche tutti quelli di contenuto simile): un palese sopruso perché, a norma dell’art. 85 bis del regolamento parlamentare, non vale per le leggi di revisione costituzionale.
Da parte loro le “opposizioni” chiedevano invece il diritto a 900 voti segreti, e il presidente del Senato Grasso, che a suo tempo aveva espresso critiche all’abolizione del Senato elettivo, cercava di ammansirle concedendone solo due sulle minoranze linguistiche. Nonostante ciò il PD, non fidandosi del tutto delle esitazioni di Grasso, insorgeva contro di lui per la sua “scelta incomprensibile”, con la Serracchiani che sibilava: “Si ricordi chi l’ha messo lì”. Ci ha pensato allora Napolitano, convocandolo al Quirinale e rampognandolo duramente, a spegnere i suoi residui scrupoli e a metterlo in riga, tanto che da quel momento l’ex procuratore antimafia è diventato il più fedele e accanito strumento della maggioranza nell’imporre il diktat all’intero parlamento: tagliando i tempi degli interventi, facendo decadere centinaia di emendamenti per volta con la tecnica del “canguro”, negando sistematicamente le votazioni segrete e infischiandosene delle proteste e delle contestazioni a lui rivolte in aula.

Opposizione opportunista e di bandiera di SEL e M5S
Ma va detto anche che le “opposizioni” parlamentare non hanno rappresentato certo un serio ostacolo allo schiacciasassi PD-Forza Italia ben oliato da Napolitano e Grasso. Il partito di SEL e la Lega si sono defilati dal “fronte ostruzionista” non appena Renzi ha fatto balenare loro la possibilità - del tutto ipotetica perché richiede il via libera di Berlusconi che ancora non c’è - di una modifica all’Italicum per abbassare il quorum per entrare in parlamento dal 4,5% al 4%: purché in coalizione rispettivamente col PD e con FI, perché da soli il quorum resterebbe comunque al 8%. Ma tanto è bastato al partito di Vendola, che non aspettava altro che quel “segnale da Renzi” invocato a più riprese dalla sua capogruppo Loredana De Petris, insieme al piccolo ritocco alle firme per i referendum, per giustificare il suo repentino afflosciamento; specie dopo che il PD l’aveva minacciato di rompere le alleanze nelle giunte locali e alle prossime elezioni amministrative, a cominciare dalle regionali in Puglia, Calabria ed Emilia Romagna.
Quanto ai parlamentari del M5S, rimasti isolati, non hanno saputo né voluto estendere la loro protesta di bandiera fuori dall’aula e nelle piazze, e negli ultimi giorni si sono ritirati in un inconcludente Aventino che non ha fatto altro che spianare la strada alla più rapida approvazione della controriforma. Del resto, prima che la legge fosse presentata in aula, anche il movimento di Grillo aveva provato a trescare opportunisticamente con Renzi sulla “riforma” elettorale e del Senato, e solo perché Renzi e la Boschi lo avevano snobbato riconfermando l’asse privilegiato col delinquente di Arcore si era deciso a scegliere la via dell’ostruzionismo.
Si è così arrivati alla votazione finale dell’8 agosto, che ha visto il provvedimento approvato con 183 sì, quelli della maggioranza e di Forza Italia, e 4 astenuti, mentre SEL, M5S, Lega, GAL e Gruppo misto non hanno partecipato al voto. C’è comunque da sottolineare che i sì sono stati appena 22 sopra la soglia di maggioranza di 161 voti. In effetti sono mancati all’appello oltre 40 voti rispetto ai 226 che governo e partito del neoduce avevano sulla carta. Tra cui 16 senatori del PD e 19 di FI, mentre 8 alfaniani si sono dati “assenti”.
Quindi senza i voti di Forza Italia, cioè 40 al netto dei “dissidenti”, la controriforma costituzionale sarebbe stata bocciata, il che dà pienamente ragione a Romani nel dire che essa porta la firma di Renzi e di Berlusconi. E del resto ciò veniva anche visivamente confermato dalle disgustose scene di “congratulazioni” reciproche a cui le loro donne e i loro uomini si sono lasciati andare in aula senza ritegno, con la relatrice Finocchiaro che abbracciava Schifani e la Boschi che non si vergognava di abbracciare e baciare Romani e il plurindagato Verdini.
Anche se ancora mancano tre passaggi parlamentari è chiaro però che Renzi, Berlusconi e Napolitano hanno fatto fare un passo decisivo alla controriforma fascista e piduista della Costituzione, e salvo incidenti sempre possibili ora hanno la strada in discesa verso la sua approvazione definitiva in tempi non lunghissimi, forse già entro la metà del 2015. Perciò non c’è da perdere tempo, ma occorre sviluppare subito un ampio movimento di lotta di tutti i sinceri democratici e progressisti, per contrastarla ed affossarla prima che sia troppo tardi.
Non c’è neanche da aspettare per far ciò il referendum confermativo, come propongono “Il Fatto Quotidiano”, che ha raccolto 250 mila firme contro la “democrazia autoritaria” di Renzi, e associazioni democratico-borghesi come Libertà e giustizia presieduta da Sandra Bonsanti, considerando la sproporzione di mezzi politico-mediatici in mano ai due banditi del Nazareno che lo trasformerebbero anzi in un plebiscito a favore loro e della controriforma piduista. Per noi invece, il modo più sicuro per affossarla, resta quello di abbattere al più presto il governo di destra del nuovo Berlusconi con la lotta di massa nelle piazze, nei luoghi di lavoro, nelle scuole e nell’Università in tutto il Paese.

3 settembre 2014