Per l'uccisione di un ragazzo nero a Ferguson nel Missouri
Gli afroamericani in rivolta contro le violenze razziste della polizia

 
“La discriminazione razziale negli Stati Uniti è un prodotto del sistema colonialista e imperialista. La contraddizione tra le masse nere negli Stati Uniti ed i circoli dirigenti degli Stati Uniti è una contraddizione di classe” (Mao Zedong, Dichiarazione a sostegno della lotta afro-americano contro la repressione violenta scritta il 16 aprile 1968 e pubblicata su Beijing Review del 19 Aprile 1968). Ciò che Mao scrisse per commemorare Martin Luther King pochi giorni dopo il suo barbaro assassinio è più che mai attuale negli Stati Uniti di Obama dove sulla questione dei neri già i suoi padri fondatori come George Washington, Thomas Jefferson e James Madison hanno predicato bene giurando, a parole, nella Dichiarazione di Indipendenza, di riconoscere l’uguaglianza di tutti gli uomini, afroamericani compresi, ma hanno razzolato male, nei fatti, per tutta la loro vita gestendo da capitalisti, per esclusivo profitto personale quindi, aziende agricole con centinaia di schiavi afroamericani.
La contraddizione di classe poi non è venuta meno con la liberazione dei neri nel 1865, infatti essi hanno da allora costituito, e continuano a costituire, negli ex Stati schiavisti la parte più povera della popolazione, sottoposta tuttora a vessazioni e a veri e propri omicidi a sangue freddo come quello accaduto a Ferguson, un sobborgo di Saint Louis nel Missouri, il 9 agosto 2014 dove un diciottenne afroamericano disarmato, Michael Brown, è stato abbattuto senza pietà da un poliziotto bianco che gli ha sparato dalla distanza di molti metri dopo una discussione animata. Il successivo 19 agosto a distanza di pochi chilometri da Ferguson, a Saint Louis, un altro giovane afroamericano, il ventitreenne Kajieme Powell, veniva letteralmente massacrato da numerosi colpi sparati da alcuni poliziotti bianchi mentre era a molti metri di distanza e, seppur armato di coltello, non poteva a quella distanza costituire alcun pericolo per i poliziotti. Di quest’ultimo episodio è stato diffuso anche un video dal quale si comprende bene che si è trattato di un vera e propria esecuzione a sangue freddo.
La protesta degli afroamericani supportati anche da moltissimi bianchi sostenitori dei diritti civili è esplosa subito dopo l’assassinio di Brown, esasperandosi poi dopo l’omicidio del secondo giovane: per oltre una settimana la cittadina di Ferguson è stata teatro sia di cortei sia di scontri sfociati in saccheggi e atti di vandalismo, sintomo evidente dell’esasperazione della popolazione afroamericana e in genere del proletariato degli Stati Uniti che cova sotto la cenere della repressione.
A Ferguson, dopo una settimana di violente proteste e disordini ai quali la polizia ha risposto in modo fascista con arresti e pestaggi, il 16 agosto il governatore del Missouri ha imposto il coprifuoco notturno e ha fatto intervenire nella cittadina squadre speciali della polizia, dette SWAT, dotate di armamento militare per il mantenimento dell’ordine pubblico, fatto che da solo dimostra quali rischi di tensioni sociali le autorità temano.
In novanta città degli Stati Uniti nel frattempo sfilavano cortei e si indicevano manifestazioni a sostegno della lotta degli afroamericani di Ferguson e di Saint Louis, segno evidente che l’America antirazzista e democratica è ormai cosciente che il sistema che governa gli Stati Uniti può offrire al proletariato, nero o bianco che sia, solo emarginazione economica e sociale - anche a causa di un sistema di istruzione volutamente inefficiente - e spietata repressione da parte della polizia che si mescola anche all’odio razziale, residuo quest’ultimo del sistema economico criminale che rimase in vigore fino a un secolo e mezzo fa. Tale violenza razzista della polizia è immotivata, come nel caso di Brown, o comunque abissalmente sproporzionata, come nel caso di Powell, ma è sempre fomentata dalla certezza dell’impunità che i poliziotti hanno, potendo contare su un sistema giudiziario borghese che li copre nei loro atti criminali perpetrati nei confronti di soggetti che appartengono sia a una minoranza razziale sia soprattutto ad una condizione sociale proletaria. Il fattore sociale del resto è determinante - più di quello razziale - nella commissione di crimini da parte degli appartenenti a corpi di polizia in qualsiasi società divisa in classi: si pensi a ciò che è successo in Italia ad Aldrovandi, a Cucchi, a Uva, a Rasman, che se fossero stati rampolli di qualche famiglia della media o alta borghesia avrebbero ricevuto un trattamento ben differente.
 

3 settembre 2014