Come se fosse il gendarme del mondo. L'Ue gli dà mano armando i curdi
Obama bombarda le postazioni dello Stato islamico per fermarne l'avanzata
L'Italia di Renzi arma i curdi scavalcando il parlamento e violando l'art. 11 della Costituzione
Il papa attacca sia gli Usa sia lo stato islamico definito aggressore

Un comunicato del dipartimento della Difesa americano del 31 agosto comunicava il successo dei raid aerei contro le postazioni dello Stato islamico (Is, nella sigla inglese) vicino alla città di Amerli e alla diga di Mosul e sottolineava che dall'8 agosto i raid in Iraq erano stati in totale 120. I bombardamenti Usa per fermare l'avanzata delle formazioni dell'Is erano approvati dal re dell'Arabia Saudita Abdullah che allarmato affermava che “se li ignoriamo sono sicuro che raggiungeranno l'Europa in un mese e l'America in un altro”. Sempre il 31 agosto il segretario di Stato americano John Kerry indicava che “occorre una risposta unita guidata dagli Stati Uniti e una coalizione di nazioni il più ampia possibile” e che al vertice Nato di Cardiff e nel suo successivo viaggio in Medio Oriente avrebbe cercato sostegno a questa posizione “tra i paesi che sono più direttamente minacciati”. La “minaccia” è rappresentata dall'Is e l'imperialismo americano si muove come se fosse il gendarme del mondo. Quel gendarme che con Bush ha aggredito l'Iraq, dopo l'Afghanistan, e incendiato definitivamente la regione; un'opera proseguita meticolosamente anche da Obama con il supporto dei sionisti israeliani e dei paesi arabi reazionari.
Il presidente americano annunciava l'8 agosto di aver “autorizzato bombardamenti aerei mirati in Iraq per colpire i terroristi, proteggere il personale americano e prevenire un potenziale genocidio. (...) Non potevamo chiudere gli occhi"; i raid sarebbero stati tutti quelli necessari, indicava Obama, con “bombardamenti mirati" a oltranza. Ricordava che era stato contrario alla guerra in Iraq iniziata nel 2003 dal suo predecessore Bush e di aver mantenuto la sua promessa elettorale sul ritiro delle truppe nel 2011 ma la situazione era adesso cambiata. A cambiarla era stata l'avanzata delle forze dell'Is che dopo la conquista nel giugno scorso di Mosul e delle regioni a cavallo del confine con la Siria nelle quali era stato proclamato il Califfato, avevano conquistato il controllo della più grande diga del paese, presso Mosul, e si erano dirette verso l'importante centro petrolifero di Erbil, protetto dai peshmerga, dalle formazioni dei curdi iracheni tra i più fedeli amici degli Usa in Iraq. Erbil non è solo la capitale della regione autonoma dei curdi iracheni è anche la porta dei pozzi petroliferi della zona sui quali hanno messo le mani le compagnie straniere, Shell, BP, Chevron, Exxon Mobil e le principali cinesi, per citarne alcune.
L'intervento Usa aveva una motivazione “umanitaria”, la necessità di “spezzare l'assedio dell'Is che sta provocando una tragedia umanitaria”, nella zona del monte Sinjar dove decine di migliaia di profughi, in particolare della minoranza religiosa yazidi, si erano rifugiati. Gli aerei da trasporto americani C-130 effettuavano lanci di cibo e medicinali, i caccia F-18 lanciavano bombe. “Non invieremo truppe di terra", affermava Obama che assicurava: "come comandante in capo non permetterò che gli Stati Uniti siano trascinati in un'altra guerra in Iraq". E i 120 raid aerei in tre settimane cosa sarebbe?
A supporto di Obama si schierava l'Onu, non c'era nessun dubbio. Il Consiglio di sicurezza in una dichiarazione approvata all'unanimità lanciava un appello alla comunità internazionale affinché sostenesse il governo iracheno, condannasse le violenze dello Stato Islamico e quella che veniva definita una vera e propria "persecuzione" nei confronti delle minoranze religiose. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, chiedeva un intervento in aiuto al regime fantoccio di Baghdad.
Per il governo italiano rispondeva il sottosegretario agli Esteri Mario Giro: "Sosteniamo l'iniziativa di Obama in Iraq, ma ci vuole molto di più. E' una situazione molto grave di cui il governo italiano si sta occupando. Il viceministro Pistelli è a Erbil dove sta portando gli aiuti ai cristiani che sono scappati da Karakosh e dalla piana di Ninive, e a tutte le minoranze. Il governo è preoccupato. Occorre un'azione forte per proteggere le minoranze".
Il 20 agosto la forte azione del governo italiano si traduceva nella decisione di armare i curdi iracheni scavalcando il parlamento e violando l'art. 11 della Costituzione. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, era in Iraq in una missione lampo per assicurare al regime fantoccio di Baghdad la piena collaborazione dell'Italia e dell'Ue per "vincere insieme la battaglia contro il terrorismo"; a Roma le commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato approvavano la risoluzione della maggioranza per la fornitura di armi, contrari M5S e Sel. Sel condannava "le persecuzioni ed atrocità commesse dai miliziani Isis verso le popolazioni civili", sottolineando "l'urgenza di una forte iniziativa internazionale nell'ambito delle nazioni unite per la protezione dei civili", la posizione del papa, bocciato solo l'intenzione del governo di armare i "peshmerga" curdi.
Nella capitale irachena Renzi si incontrava col presidente Fouad Masoum, il premier incaricato di formare il nuovo governo Haider al-Abadi e il premier uscente Nouri al-Maliki ai quali assicurava anche che “l'Europa in questi giorni deve essere in Iraq altrimenti non è Europa, perché chi pensa che la Ue volti le spalle davanti ai massacri, impegnata solo a pensare allo spread, o sbaglia previsione o sbaglia semestre".
La decisione del governo italiano di armare i curdi iracheni era infatti conseguente alla analoga decisione in sede Ue del 15 agosto dalla riunione dei ministri degli Esteri europei a Bruxelles. I Ventotto accoglievano “con favore” la decisione di alcune capitali di rifornire i curdi “in accordo alle capacità e leggi dei singoli stati e col consenso delle autorità irachene” dando il via libera e il sostegno a chi decideva di inviare equipaggiamenti militari al Kurdistan iracheno.
Anche papa Francesco si univa al coro chiedendo alla comunità internazionale di proteggere i cristiani in Iraq. In successive dichiarazioni arrivava fino a affermare che “è lecito fermare l’aggressore ingiusto”. Il Papa furbescamente ribaltava le cose e definiva l'Is “l'aggressore ingiusto” e quindi di fatto giustificava l'intervento per fermarlo. La posizione pacifista di papa Francesco era: “fermare l’aggressore ingiusto è lecito. Ma dobbiamo avere memoria. Quante volte sotto questa scusa di fermare l’aggressore ingiusto le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto una vera guerra di conquista! Una sola nazione non può giudicare come si ferma questo, come si ferma un aggressore ingiusto”. Il compito a chi spetterebbe? Ma “all'Organizzazione delle Nazioni Unite nata dopo la Seconda guerra mondiale” che dovrebbe “valutare con quali mezzi” arrestare la “Terza guerra mondiale a pezzi” in corso. Il pontefice prendeva le distanze anche dai raid degli Usa ma la strada indicata attraverso l'Onu può includere anche interventi militari.
 

3 settembre 2014