Discorso di Loris Sottoscritti, a nome del CC del PMLI, per il 38° Anniversario della scomparsa di Mao
Mao e la missione del proletariato

Pubblichiamo qui di seguito il discorso integrale pronunciato dal compagno Loris Sottoscritti, a nome del CC del PMLI, comprese quelle parti che non ha letto per rimanere entro il tempo programmato.
Il discorso è stato interrotto più volte da scroscianti applausi, che ne hanno sottolineato i passaggi più salienti ed è stato seguito con attenzione dai presenti, interessati a riflettere su questo tema di fondamentale attualità.
 
 
Compagne e compagni, amiche e amici,
a nome del Comitato Centrale del PMLI per il quale ho l’onore di parlare, vi do il benvenuto e vi ringrazio per essere qui con noi a rendere omaggio a Mao, nella ricorrenza del 38° anniversario della sua scomparsa, avvenuta il 9 settembre del 1976. Vi ringrazio anche per i vostri interventi che all’unisono inneggiano a Mao e invitano il proletariato italiano a riflettere sulla sua missione storica. Particolarmente importanti e significativi politicamente quelli di due operai e di uno studente simpatizzanti del PMLI.
Ogni anno da allora il nostro Partito non è mai mancato a questo solenne appuntamento, per commemorare Mao e sottolineare lo speciale e indissolubile affetto e legame proletari e di classe che ci uniscono a lui, essendo nati sotto la sua rossa stella quando era ancora vivo e dirigeva vittoriosamente la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria in Cina, che ispirava i marxisti-leninisti di tutto il mondo a combattere l’imperialismo, l’allora socialimperialismo, il nazismo, il fascismo, l’apartheid, il razzismo e il revisionismo, a dividersi dai revisionisti e a tenere alta la bandiera del socialismo da essi abbandonata.
Mao è il successore di Marx, Engels, Lenin e Stalin, il suo pensiero è inscindibile da quello degli altri quattro grandi Maestri del proletariato internazionale, e ne rappresenta la continuazione e lo sviluppo. L’intera sua vita è una grande opera marxista-leninista che continuerà ad ispirare generazioni di rivoluzionari: dalla fondazione del Partito comunista cinese nel 1921, alla leggendaria Lunga Marcia; dalla guerra di liberazione antigiapponese, alla rivoluzione di Nuova Democrazia vinta nel 1949 sconfiggendo il reazionario Jiang Jieshi sostenuto dall’imperialismo americano; dalla lotta epica per l’edificazione del socialismo in Cina, fino alla Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, da lui personalmente ideata e diretta fino alla sua morte, per impedire la restaurazione del capitalismo da parte dei revisionisti annidati nel Partito e nello Stato.
Mao, con grande lucidità, aveva messo nel conto che dopo la sua morte costoro avrebbero potuto prendere il potere e restaurare il capitalismo nella forma di una nera dittatura fascista, e purtroppo così è stato. Ma nonostante siano passati quasi quarant’anni dalla sua morte, non sono riusciti a cancellarlo dal cuore e dalla mente del proletariato cinese, che comincia a dare segni di risveglio con scioperi e lotte in alcune fabbriche per reagire al brutale sfruttamento capitalista a cui è sottoposto. Tant’è vero che si continua a commemorarlo tra le masse popolari, e che la cricca revisionista e fascista di Xi Jimping al potere cerca oggi di strumentalizzare in chiave nazionalistica Mao e l’amore che gli porta ancora il popolo cinese per coprire le proprie ambizioni imperialiste; mentre lo attacca subdolamente per gli “errori commessi negli ultimi anni della sua vita, la ‘rivoluzione culturale’ prima di tutti”, e tenta di reintrodurre di soppiatto il Confucianesimo per cambiare la testa alle masse.
In questi ultimi giorni essa ha fatto un gran chiasso per celebrare con una fiction, costata una montagna di dollari, i 110 anni del rinnegato Deng Xiaoping, suo ispiratore e maestro, ma non riuscirà mai a oscurare la grandezza e l’opera di Mao. Il quale rimane un gigante del pensiero e dell’opera rivoluzionari, mentre Deng un omuncolo borghese, traditore della causa del proletariato e del socialismo. Auspichiamo che un giorno non lontano, il proletariato e il popolo cinesi riprendano in mano la rossa bandiera di Mao e rovescino nella polvere questa cricca borghese fascista ripristinando il socialismo in quel grande Paese.
Perché quest’anno abbiamo scelto il tema della missione del proletariato? Chi conosce il nostro Partito o ci segue sulle pagine de Il Bolscevico e sul sito del PMLI avrà sicuramente notato che pur non essendo certo la prima volta che ce ne occupiamo, da diverso tempo questo tema è diventato sempre più intensamente al centro delle nostre attenzioni, riflessioni e interventi. La ragione è che le condizioni del proletariato e delle masse stanno peggiorando drammaticamente, e che siamo nell’ultima fase della completa realizzazione del piano fascista della P2, ed è quindi sempre più urgente porre la questione al proletariato di cambiare radicalmente questa marcia società borghese, fondata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Perché il proletariato è l’unica classe capace di cambiare questa società capitalista.
Senza il suo intervento questo problema non è risolvibile. Per quante lotte e rivolte ci fossero, saremmo comunque condannati a restare sempre dentro il sistema capitalistico, fino a che il proletariato non prenda coscienza del suo ruolo storico e scenda in campo per guidare la maggioranza della popolazione ad abbattere la dittatura della borghesia, conquistare il potere politico ed edificare la società socialista sulle macerie di quella attuale. O comanda il proletariato, ed allora tutto cambia e può cambiare, o comanda la borghesia, e tutto resta com’è ora o peggiora. Da qui non si scappa.
Tra tutte le classi sociali solo il proletariato è in grado di adempiere a questa missione storica di cambiare da cima a fondo la società borghese. Come ha detto Mao, sintetizzando efficacemente la teoria scientifica del materialismo storico e materialismo dialettico di Marx ed Engels in base all’esperienza storica delle rivoluzioni, in particolare della rivoluzione socialista in Russia e in Cina, la classe operaia è “la classe più lungimirante e più disinteressata, la classe dallo spirito rivoluzionario più coerente. Tutta la storia della rivoluzione dimostra che, senza la direzione della classe operaia, la rivoluzione fallisce, mentre con la direzione della classe operaia, essa trionfa. Nell’epoca dell’imperialismo nessun’altra classe in nessun paese può condurre una vera rivoluzione alla vittoria” . (1)
Il problema è che oggi il proletariato italiano ha smarrito, non per colpa sua, la coscienza di questa sua missione storica. In un certo senso si trova oggi risospinto in una situazione pre marxista, quando lottava contro la classe dominante borghese per strappare più salario, condizioni di lavoro meno bestiali, riduzioni dell’orario di lavoro, i diritti sindacali e le libertà democratiche borghesi elementari, ma non si poneva il problema di conquistare il potere politico per cambiare la società. Perciò diciamo che prima di Marx ed Engels la classe operaia aveva una coscienza in sé, ma non aveva ancora una coscienza per sé, di essere cioè la classe degli sfruttati destinata a seppellire la classe degli sfruttatori ed emancipare sé stessa e tutta l’umanità dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dalla divisione della società in classi.
“Nel periodo iniziale della sua pratica - rileva Mao - quello della distruzione delle macchine e della lotta spontanea - il proletariato era appena nella fase percettiva della sua conoscenza della società capitalista e conosceva soltanto gli aspetti singoli e i nessi esterni dei vari fenomeni del capitalismo. A quell’epoca il proletariato era ancora una ‘classe in sé’. Ma una volta raggiunto il secondo periodo della sua pratica - quello della lotta economica e politica cosciente e organizzata - grazie alla sua attività pratica, all’esperienza acquisita nel corso di una lotta prolungata - esperienza che Marx ed Engels generalizzarono scientificamente creando così la teoria marxista che servì ad educarlo - il proletariato riuscì a comprendere l’essenza della società capitalista, i rapporti di sfruttamento fra le diverse classi sociali, i propri compiti storici, e divenne allora una ‘classe per sé’” .(2)
Nel tempo però il proletariato italiano ha perduto la coscienza di essere una classe rivoluzionaria. Da qui la necessità di porre ancora una volta, e in questa occasione solenne, all’attenzione e alla discussione del nostro proletariato questa questione che lo riguarda in prima persona e dalla cui corretta soluzione dipende il suo futuro e quello dell’intero popolo italiano.
Ci rivolgiamo soprattutto alle operaie e agli operai che hanno posti di responsabilità sindacali, che normalmente sono alla testa delle lotte sindacali e di piazza, che hanno una maggiore coscienza politica, che hanno uno sguardo più lungo e una certa curiosità intellettuale, che hanno la coscienza di essere gli schiavi moderni e vogliono uscire da questo stato di schiavitù, non individualmente ma come classe, e che sono scevri da pregiudizi antimarxisti-leninisti. Perché senza il loro apporto è impossibile risvegliare in senso rivoluzionario il proletariato e convincerlo a costituirsi in classe a sé, separata dalla borghesia e dalla democrazia borghese.
 

LA COSCIENZA ATTUALE DEL PROLETARIATO
Ma quali sono le cause che hanno fatto arretrare la coscienza del proletariato italiano, fino a ridurlo allo stato pre marxista, quando cioè si muoveva come classe in sé, e non era ancora stato influenzato ed educato dal pensiero di Marx ed Engels, che lo convinsero a porsi la questione della conquista del potere politico e del socialismo? Prima però di cercare di rispondere a questa domanda dobbiamo chiarire, in base al marxismo-leninismo-pensiero di Mao, cosa è il proletariato, viste le tante falsità che su di esso vengono seminate dalla borghesia, dai partiti liberali, da quelli riformisti e falsi comunisti e dai pennivendoli e dagli intellettuali del regime, tutte convergenti comunque verso un unico obiettivo: dimostrare che oggi la classe operaia, intesa come fino agli anni ’70 dello scorso secolo, ormai non esisterebbe più, o quantomeno si sarebbe talmente ridimensionata da non avere più voce in capitolo nei processi sociali e nella storia.
Il compagno Giovanni Scuderi, nel suo discorso tenuto a nome del Comitato centrale del PMLI il 10 settembre 2006 per il 30° anniversario della scomparsa di Mao, ha specificato che “Il proletariato, o classe operaia, è composto dagli operai dell’industria, dell’agricoltura e dei servizi: ossia gli operai di fabbrica e di officina, dell’edilizia, dei cantieri navali, delle miniere, i braccianti e i salariati agricoli, gli operai dei trasporti terrestri, marittimi e aerei, gli operai occupati a domicilio, gli operai dell’artigianato e del commercio, gli operai della sanità e dell’intero pubblico impiego, dei servizi pubblici (elettricità, gas, acqua, telecomunicazioni, poste, igiene, centraline ecc.), i disoccupati già operai e che ricercano lavoro come operai, i pensionati ex operai”.
Questa definizione è pienamente valida anche oggi, e se cambiamenti ci sono stati da allora riguardano purtroppo il rapporto tra operai occupati e disoccupati, a sfavore degli occupati. E tra gli operai occupati sono diminuiti soprattutto quelli addetti alla produzione, sia agricola, ormai ridotta ai minimi storici, sia industriale, a seguito della chiusura di molte fabbriche e delle pesanti ristrutturazioni industriali di questi ultimi anni, mentre il lavoro precario si è ulteriormente esteso in tutti i settori, specie tra gli operai più giovani.
Ma per quanto ridotto di consistenza e duramente provato dalle ristrutturazioni e dalla crisi che il capitalismo scarica interamente sulle sue spalle e su quelle delle masse popolari, il proletariato è ancora una grande forza di molti milioni di lavoratori, anche se non numerosa come nel passato. E comunque è pur sempre l’unica classe rivoluzionaria, quella capace di riunire attorno a sé le altre classi sfruttate e oppresse per spodestare la borghesia e conquistare il socialismo.
L’incessante processo di rivoluzione tecnologica tipico del capitalismo, indotto dalle spietate leggi del mercato e della concorrenza, che riduce il numero di operai attraverso l’introduzione di sempre nuovi macchinari gestiti da un numero sempre inferiore di addetti, mentre gonfia le dimensioni del terziario, non cambia la sostanza del meccanismo di formazione del capitale basato sul plusvalore rubato agli operai durante il processo produttivo; non porta all’estinzione del proletariato e alla creazione di profitto dalle macchine anziché dal lavoro umano, come certi economisti borghesi vorrebbero gabellare vaneggiando su un impossibile “capitalismo del tempo libero” affrancato dal lavoro umano. Le innovazioni tecnologiche e l’automazione non fanno che concentrare e aumentare il plusvalore estratto dagli operai rimasti alla produzione e a gestire le macchine, come loro appendici sempre più sfruttate e alienate.
Lenin ha così scolpito nella pietra la forza e il ruolo della classe operaia nella società borghese, forza e ruolo che già Marx ed Engels avevano rivelato a tutto il mondo con il Manifesto del partito comunista del 1848: “In qualsiasi paese capitalistico la forza del proletariato è incomparabilmente più grande del peso numerico dei proletari nella somma totale della popolazione. E ciò perché il proletariato ha il dominio economico sul centro e sul ganglio di tutto il sistema economico del capitalismo ed anche perché, in regime capitalistico, esso esprime economicamente e politicamente gli interessi effettivi dell’immensa maggioranza dei lavoratori” . (3)
Abbiamo detto però che il proletariato italiano, che pure almeno per tutta la seconda metà del secolo scorso è stato il più avanzato e combattivo dei paesi capitalistici, vive oggi in una condizione per molti aspetti pre marxista, avendo perso la coscienza di essere classe per sé pur conservando quella di classe in sé. Come si è giunti a questo stato? Non è successo all’improvviso, ma è stato un processo di revisione del marxismo-leninismo e di diseducazione molto lungo e sistematico, la cui responsabilità è tutta dei dirigenti revisionisti del PCI: da Bordiga, da “sinistra”, a Gramsci e Togliatti fino a Berlinguer e Occhetto, da destra.
E dopo la caduta del muro di Berlino, il fallimento e il crollo dei regimi revisionisti dell’Est e lo scioglimento del PCI, la colpa è dei loro successori rinnegati, riformisti e liberali, i vari D’Alema, Veltroni, Fassino, Bersani ecc., che hanno completato quest’opera nefasta di decomunistizzazione e deideologizzazione del proletariato sbracandosi apertamente verso il liberalismo e l’anticomunismo. Cosa che hanno fatto con la criminalizzazione di Stalin e di Mao e della stessa guerra partigiana, riabilitando nel contempo i fascisti repubblichini e sposando le falsità fasciste sulle foibe. Mentre in politica estera si schieravano apertamente con la UE imperialista, il sionismo, l’imperialismo Usa e la Nato. Fino a concludere il loro ciclo consegnando il principale partito della “sinistra” borghese, il PD erede del PCI, nelle mani della cricca di destra del Berlusconi democristiano Renzi e sposando le controriforme costituzionali ed elettorali piduiste e fasciste.
Le generazioni di proletari del passato, quelle che avevano condotto la lotta antifascista e fatto la Resistenza, e quelle successive che avevano condotto le lotte del dopoguerra, l’autunno caldo del ’69 e le grandi lotte economiche, sociali e politiche degli anni ’70-’80, avevano tutte il socialismo come orizzonte, pur non avendo acquisito fino in fondo una cultura proletaria, cioè la coscienza della necessità della rivoluzione e della conquista del potere politico affinché il socialismo da meta ideale si trasformasse in conquista concreta. Questo perché il PCI revisionista questa cultura non gliela dava, pur avendo le scuole di partito, l’organizzazione capillare delle sezioni e la rete delle Case del popolo che avrebbero potuto adempiere questo compito.
Il fatto è che i dirigenti revisionisti erano dei democratici borghesi, con una formazione di forte impronta liberale e riformista, e la loro adesione al marxismo-leninismo era più formale ed opportunistica che convinta, una maschera indossata fintantoché furono vivi Lenin, Stalin e Mao. Era logico, perciò, che riportassero in maniera distorta alle masse proletarie il pensiero dei grandi Maestri del proletariato internazionale sotto forma di cultura borghese, riformista e liberale: vedi per esempio l’appiattimento sulla Costituzione del 1948, che era tutt’altro che una Costituzione socialista, bensì una Costituzione democratico borghese, un compromesso tra il proletariato diretto dai revisionisti e la borghesia, sbilanciato a favore di quest’ultima.
Da questo compromesso si sarebbe dovuti semmai ripartire verso sinistra, accumulando le forze per la rivoluzione socialista anche in Italia, in un contesto internazionale allora estremamente favorevole, caratterizzato dalla vittoria della rivoluzione socialista in Cina e in altri paesi, che aveva esteso i paesi socialisti a quasi un terzo dell’umanità e dall’avanzata irresistibile delle lotte di liberazione nazionale anticolonialiste e antimperialiste in tutto il mondo. E invece la cricca revisionista togliattiana, sulla scia di quella kruscioviana, che col 20° Congresso del PCUS del 1956 aveva rinnegato Stalin e rimesso la borghesia al potere in URSS, aveva scelto di svoltare ancor più a destra, verso la “via italiana al socialismo” pacifica, elettoralista e parlamentarista, con le “riforme di struttura”, l’attuazione integrale della Costituzione democratico borghese, e così via.
Mao aveva messo in guardia il movimento operaio e comunista internazionale dal pericolo del revisionismo moderno fin dalla sua prima manifestazione ufficiale, ed individuato molto bene chi erano i suoi alfieri, tra cui i revisionisti italiani: parlando al Comitato centrale del Partito comunista cinese del novembre 1956 così li smascherava: “Vorrei dire qualcosa sul XX Congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica. Secondo me ci sono due spade: una è Lenin, l’altra è Stalin. Adesso i russi hanno gettato via quella spada che è Stalin. L’hanno raccolta Gomulka e certi ungheresi per colpire l’Unione Sovietica, per combattere il cosiddetto stalinismo. I partiti di diversi paesi europei criticano anche loro l’Unione Sovietica. Il loro leader è Togliatti” .
Più avanti egli smascherava anche le teorie revisioniste delle vie nazionali e parlamentari al socialismo: “Si può dire – proseguiva infatti Mao – che alcuni dirigenti sovietici in qualche misura hanno gettato via anche quella spada che è Lenin? Secondo me lo hanno fatto in misura notevole. La rivoluzione d’Ottobre è ancora valida? Può costituire o no un modello per tutti i paesi? Nel rapporto di Krusciov al XX Congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica si dice che si può conquistare il potere seguendo la via parlamentare, ossia che i vari paesi possono fare a meno di prendere esempio dalla rivoluzione d’Ottobre. Una volta aperta questa breccia, sostanzialmente si è gettato via il leninismo” . (4)
D’altra parte neanche le correnti trotzkiste ed opportuniste di “sinistra” esistenti allora nel PCI, come quella capeggiata da Secchia, costituivano una reale alternativa rivoluzionaria alla maggioranza revisionista e riformista togliattiana, ma solo una sua copertura a sinistra che serviva ad ingabbiare nel pantano del parlamentarismo, del riformismo e della socialdemocrazia la parte più cosciente e combattiva del proletariato. Uno schema, questo, che si sarebbe riprodotto varie volte fino ad oggi con Rifondazione trotzkista dopo lo scioglimento del PCI nel 1991, e con le sue varie filiazioni successive di PdCI, PCL, PC di Rizzo ecc., fino a SEL del narcisista trotzkista Vendola, il cui ruolo di copertura a sinistra e di ruota di scorta parlamentare al governo Renzi è sotto gli occhi di tutti.
In questo eterno schema truffaldino rientra anche il ripescaggio e la rivalutazione di passati leader revisionisti come Berlinguer, rimpianti e riproposti oggi dagli ex dirigenti del PCI come Veltroni, da il manifesto trotzkista e dalla trotzkista ex PdUP ed ex PRC Luciana Castellina, come un modello autenticamente “di sinistra” da contrapporre al PD di destra di Renzi. Niente potrebbe essere più falso ed ipocrita di questa santificazione di colui che con le sue ripetute e clamorose svolte a destra, , preparò il terreno alla liquidazione del PCI – la fine di un inganno durato 70 anni – e alla sua trasformazione oggi nel PD liberale del nuovo Berlusconi, come il rinnegamento della Rivoluzione d’Ottobre e del socialismo, la scelta di mettersi sotto l’‟ombrello protettivo” della Nato, il “compromesso storico” e la “solidarietà nazionale” con la DC, la complicità nella repressione del movimento di lotta del ’77 e il tradimento della lotta degli 80 giorni alla Fiat, perpetrato attraverso il crumiro Lama.
Da Gramsci, a Togliatti, a Berlinguer, c’è sempre stata una continuità di destra, revisionista, riformista e liberale, e non lo diciamo solo noi, ora lo rivendicano apertamente, rievocando la figura di Berlinguer nell’inserto speciale dedicatogli da l’Unità nel trentennale della morte, anche ex dirigenti di primo piano del PCI come Walter Veltroni e Alfredo Reichlin: “Quel che è certo è che quella svolta - scrive il primo a proposito del distacco dal socialismo e dall’URSS operato da Berlinguer - poté essere compiuta proprio perché quel partito aveva avuto Gramsci alle sue origini e Berlinguer al suo epilogo”.
Mentre Reichlin, già pupillo e allievo di Togliatti, stretto collaboratore di Berlinguer e uno tra i padri fondatori del PD, quindi uno che più di chiunque altro ha voce in capitolo su questo argomento, ha scritto: “Berlinguer nasce come epigono di Palmiro Togliatti e un continuatore della sua opera. Parlo di quell’originale progetto del comunismo italiano che è consistito nel dar vita a un partito nuovo rispetto alle formazioni rivoluzionarie di stampo leninista”.
Stando così le cose è chiaro che il proletariato non potrà risollevarsi dal suo attuale stato e riprendere la via del socialismo se non comprenderà fino in fondo l’inganno a cui è stato sottoposto per quasi un secolo da questi imbroglioni borghesi, facendo un serio bilancio critico e autocritico dell’intera storia del movimento operaio italiano, della lotta tra il marxismo-leninismo e il revisionismo, a livello internazionale rifacendosi a Mao, e a livello nazionale visionando l’elaborazione antirevisionista del PMLI.

LA COSCIENZA CHE DEVE ACQUISIRE IL PROLETARIATO
Abbiamo visto quali sono le cause che hanno portato il proletariato italiano a perdere progressivamente la coscienza di classe per sé fino a ritrovarsi oggi in balìa della borghesia e sotto la sua influenza. Per questo è assolutamente necessario che esso si liberi dal veleno della cultura borghese e acquisisca la propria cultura, che è il marxismo-leninismo-pensiero di Mao.
“Non si può parlare – rileva Lenin a questo proposito – di una ideologia indipendente elaborata dalle stesse masse operaie nel corso stesso del loro movimento, la questione si può porre solamente così: o ideologia borghese o ideologia socialista. Non c’è via di mezzo (poiché l’umanità non ha creato una ‘terza’ ideologia, e, d’altronde, in una società dilaniata dagli antagonismi di classe, non potrebbe mai esistere una ideologia al di fuori o al di sopra delle classi)” . (5)
Il proletariato deve dunque acquisire l’‟ideologia socialista”, cioè la scienza del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, trasformando così sé stesso, la sua mentalità, la sua visione del mondo e della società. E questo processo non può che essere, come ci insegna Mao, un mutuo processo, nel senso che il proletariato trasforma sé stesso trasformando il mondo, nel fuoco della lotta di classe, e viceversa trasforma il mondo trasformando sé stesso: “La lotta del proletariato e dei popoli rivoluzionari per la trasformazione del mondo - sottolinea infatti Mao - comporta la realizzazione dei seguenti compiti: trasformazione del mondo oggettivo e, nello stesso tempo, trasformazione del proprio mondo soggettivo - trasformazione delle proprie capacità conoscitive e trasformazione dei rapporti esistenti tra il mondo soggettivo e il mondo oggettivo” . (6)
Ma se non studia e non applica nella pratica, assiduamente e incessantemente, il marxismo-leninismo-pensiero di Mao, il proletariato italiano non potrà mai trasformare la società borghese italiana e sé stesso. Le operaie e gli operai più coscienti, avanzati e combattivi hanno quindi il dovere di studiarlo, a partire dalle cinque opere fondamentali marxiste-leniniste per trasformare il mondo e sé stessi, che il PMLI ha ristampato e che sono: “Il Manifesto del partito comunista” di Marx ed Engels, “Stato e rivoluzione” di Lenin, “Principi del leninismo” e “Questioni del leninismo” di Stalin e “Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo” di Mao.
Mao così sintetizza la necessità per il proletariato e il Partito stesso di studiare e applicare incessantemente il marxismo-leninismo:“Nella lotta di classe e nella lotta contro la natura, la classe operaia trasforma tutta la società, e, nello stesso tempo, trasforma sé stessa. Nel corso del lavoro, la classe operaia deve continuamente imparare ad eliminare progressivamente i propri difetti; essa non deve mai arrestarsi. Prendiamo ad esempio noi che siamo qui: molti fanno progressi ogni anno, ossia si rieducano. Un tempo io avevo ogni sorta di idee non marxiste e solo in seguito abbracciai il marxismo. Studiai un po’ di marxismo sui libri, iniziando così la mia rieducazione ideologica, ma mi sono trasformato soprattutto nel corso di una lotta di classe prolungata, e devo continuare a studiare se voglio ancora progredire, altrimenti resterò indietro” . (7)

L’OBIETTIVO STORICO DEL PROLETARIATO E LA LOTTA DI CLASSE OGGI
A questo punto dovrebbe essere chiaro che dal punto di vista del marxismo-leninismo-pensiero di Mao il compito storico del proletariato non è quello di riformare il capitalismo e il suo Stato e di addolcire l’oppressione della dittatura della borghesia, ma quello di spazzarli via e di sostituirli con la propria dittatura e col socialismo. E questo può avvenire solo con la rivoluzione proletaria, non attraverso il parlamento e usando le istituzioni create dalla borghesia.
Questa questione è stata posta per la prima volta con forza e con chiarezza al proletariato mondiale da Marx ed Engels nel Manifesto del partito comunista del 1848, proclamando apertamente che “Lo scopo immediato dei comunisti è quello stesso degli altri partiti proletari: formazione del proletariato in classe, rovesciamento del dominio borghese, conquista del potere politico da parte del proletariato” (8). Un obiettivo posto da Marx anche in testa al programma della I Internazionale degli operai, ribadendo che: “La conquista del potere politico è divenuto il grande dovere della classe operaia” . (9)
Successivamente anche gli altri Maestri hanno ribadito più volte e con forza che quello della conquista del potere politico è l’obiettivo storico fondamentale del proletariato e che è compito primario del suo partito renderlo cosciente di ciò. Nel “Che fare?” scritto tra il 1901 e il 1902, quando il Partito socialdemocratico russo era ancora in embrione e il proletariato russo era ben lungi dall’aver acquisito la coscienza di classe per sé, Lenin sottolineava: “La storia di tutti i paesi attesta che la classe operaia con le sue sole forze è in grado di elaborare soltanto una coscienza tradeunionista, cioè la convinzione della necessità di unirsi in sindacati, di condurre la lotta contro i padroni, di reclamare dal governo questa o quella legge necessaria agli operai” . (10)
Lo dimostra ampiamente l’attuale atteggiamento del proletariato italiano che, privo della sua cultura rivoluzionaria, sviluppa la lotta di classe interamente sul terreno del capitalismo, della Costituzione e della democrazia borghesi, del riformismo, dell’elettoralismo, del parlamentarismo e del pacifismo. Si batte con grande sacrificio e dispendio di energie per avere il lavoro, più alti salari e pensioni e così via, ma senza mettere in discussione il capitalismo e i suoi governi e facendo affidamento sui partiti della “sinistra” borghese e sui risultati elettorali ad essi favorevoli. È in gran parte ancora prigioniero della convinzione borghese, riformista ed elettoralista che attraverso un governo col suo partito preferito o amico si possa cambiare le cose.
Anche quando si astiene è solo perché è schifato dall’andazzo politico e dagli attuali partiti parlamentari, non con la convinzione che bisogna fare tabula rasa dell’esistente e creare un mondo nuovo col proletariato al potere. Il suo voto astensionista rifiuta il presente ma ancora non sposa il futuro, cioè il socialismo al quale per ora non aspira.
Nel frattempo, la nuova crisi mondiale devastante del capitalismo che imperversa da sette anni, seconda solo a quella terribile del 1929 che portò all’avvento del nazismo e alla 2ª guerra mondiale imperialista, ha fatto rapidamente precipitare in basso la situazione economica, sociale e politica e riportato indietro di decenni le condizioni di vita e di lavoro del proletariato e delle masse lavoratrici e popolari. Un anno dopo l’altro, un governo dopo l’altro, il nostro popolo è stato martoriato da continue stangate economiche, finanziarie e tariffarie, da tagli alla spesa pubblica, alle pensioni, all’assistenza e ai servizi sociali, dalla cancellazione di diritti e conquiste guadagnati con aspre lotte e sacrifici nel passato, dalla continua falcidia di posti di lavoro e dalla precarizzazione di quelli che restano, dalla devastazione dell’ambiente e del territorio e così via.
Eppure, nonostante questa “cura da cavallo” imposta dalla UE imperialista di Merkel e Draghi, e applicata con particolare zelo e ferocia dai governi Berlusconi, Monti, Letta e ora da Renzi, nonostante che il cosiddetto “costo del lavoro” sia al disotto della media europea e nonostante i continui tagli ai diritti sindacali invocati dai padroni e dai governi per agevolare la “ripresa”, siamo ancora in piena recessione economica. L’occupazione è in continuo calo: secondo il rapporto Istat sul 2013 e sul periodo 2008-2013, l’anno scorso sono stati persi altri 478 mila posti di lavoro, e tra i più colpiti ci sono proprio gli operai, che hanno perso in cinque anni quasi un milione di posti, 958 mila per la precisione, pari a meno il 15,1%. Di questi quasi la metà, 396 mila, riguardano il settore delle costruzioni, e di questi la metà, 162 mila, persi solo l’anno scorso. Negli ultimi cinque anni i disoccupati sono quasi raddoppiati, e sono arrivati alla cifra di 3 milioni e 200 mila, contando solo quelli ufficialmente registrati come tali. A pagarne di più il prezzo sono il Sud, i giovani e le donne, con il 19,7% di disoccupati nel Mezzogiorno, il 43% tra i giovani tra 15 e 24 anni e il 13,8% tra le donne.
Anche la povertà è aumentata spaventosamente, e sono cresciute altrettanto le diseguaglianze sociali. Se nel mondo solo 85 persone assommano una ricchezza pari a quella di metà della popolazione mondiale (tra cui vi sono anche tre Paperoni italiani, Ferrero, Prada e Del Vecchio), in Italia il 10% delle famiglie più ricche si spartisce quasi la metà della ricchezza nazionale (era il 46% nel 2010), per la maggior parte concentrata nelle regioni ricche del Nord. I 10 uomini più ricchi d’Italia, secondo il Censis, possiedono un patrimonio di circa 75 miliardi, pari a quello di 500 mila famiglie operaie. Il solo nuovo Valletta della Fiat, Marchionne, che vorrebbe esportare il suo modello di relazioni industriali mussoliniane in tutta la “nuova Italia” e la “nuova Europa”, secondo Il Sole 24 ore , ha guadagnato 250 milioni di euro tra il 2004 e il 2012, alla faccia della crisi e degli operai che per i suoi gusti non sarebbero ancora abbastanza schiavizzati.
In compenso, secondo il rapporto Istat di luglio su dati 2013, in Italia ci sono 10 milioni e 48 mila persone che vivono in condizioni di povertà relativa (con un reddito cioè al di sotto della media nazionale); e tra queste ben 6 milioni e 20 mila, il 10% della popolazione, vivono in condizioni di povertà assoluta, cioè non ce la fanno letteralmente ad arrivare alla fine del mese, tra cui (dati Spi-Cgil) ben la metà degli anziani. In particolare, secondo dati Censis, i redditi delle famiglie operaie hanno avuto un crollo ben del 17,9% negli ultimi 12 anni.
A questa drammatica situazione il proletariato cerca di far fronte come è possibile fare nelle condizioni in cui versa: ossia, come abbiamo visto, ingannato e ingabbiato dai rinnegati, liberali e riformisti del PD e dai neorevisionisti e trotzkisti dei partiti falsi comunisti che li coprono a sinistra. E per di più oggi, a differenza del passato, al proletariato è impedita persino la lotta di tipo tradeunionista di cui parlava sopra Lenin, perché alla sua testa ci sono dei sindacati ormai integrati nel sistema capitalista che non svolgono più neanche questo ruolo minimale: o perché sono apertamente neocorporativi, filopadronali e collaborazionisti, come Cisl e Uil, o perché hanno capitolato e accettato da tempo di subordinare gli interessi dei lavoratori a quelli cosiddetti “generali” del Paese, ossia ai padroni, alla classe dominante borghese e al governo, come la Cgil della destra Camusso. Solo la Fiom, ma più a livello di strutture di base che di vertice, visto anche il vergognoso feeling tra Landini e Renzi, e, con tutti i loro limiti, i “sindacati di base” e Il Sindacato è un’altra cosa, suppliscono in qualche modo a questo ruolo a cui anche la Cgil ha rinunciato.
Per questo il PMLI si è battuto con tutte le sue forze insieme alle altre componenti della sinistra sindacale nei congressi di base e di categoria, laddove è potuto essere presente, per rovesciare la linea capitolazionista e collaborazionista della Camusso al 17° Congresso della Cgil. Ma visto anche che tale linea è prevalsa di nuovo, è più che mai convinto che occorre azzerare tutti i vecchi sindacati e creare dal basso un unico grande sindacato, il sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati, che sia fondato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale e contrattuale delle Assemblee generali dei lavoratori e dei pensionati, e che abbia come linea e programma esclusivamente la difesa degli interessi dei lavoratori e dei pensionati senza vincoli e compatibilità dettati dai capitalisti e dal governo.

IL PMLI E IL PROLETARIATO
Il PMLI ha un gravoso compito da compiere nei confronti del nostro proletariato, quello di fargli cambiare la cultura e l’atteggiamento politico. Il che significa convincerlo a rivoluzionare la propria testa e pratica sociale armandosi del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e dando battaglia sui fronti politico, sindacale e teorico alla classe dominante borghese, contestandone il potere e rivendicandolo per sé. Gli spetta di diritto giacché è il produttore di tutta la ricchezza del Paese.
Questo fondamentale compito è estremamente difficile realizzarlo in breve tempo e bene, date le nostre attuali insufficienti forze, il nostro ancora troppo debole legame col proletariato e dato che solo una minima parte del proletariato conosce il PMLI; senza contare, come abbiamo già detto, la profonda devastazione ideologica compiuta dai revisionisti, dai riformisti e dai falsi comunisti. Ciononostante dobbiamo fare bene tutto quanto ci è possibile, migliorando soprattutto il nostro lavoro nei luoghi di lavoro dove siamo presenti e nella propaganda verso le fabbriche più combattive e durante le manifestazioni dei lavoratori, specialmente in quelle dei metalmeccanici. Stesso atteggiamento dobbiamo averlo riguardo le scuole e le università e le manifestazioni degli studenti, la stragrande maggioranza dei quali saranno i futuri operaie e operai, comunque lavoratori ai più bassi livelli retributivi.
Nel “Che fare?” Lenin sottolineava: “La socialdemocrazia (oggi diremmo marxisti-leninisti, ndr) dirige la lotta della classe operaia non soltanto per ottenere condizioni vantaggiose nella vendita della forza lavoro, ma anche per abbattere il regime sociale che costringe i nullatenenti a vendersi ai ricchi... dobbiamo occuparci attivamente dell’educazione politica della classe operaia, dello sviluppo della sua coscienza politica” . (11) E in un altro punto, per rispondere agli economicisti e agli spontaneisti allora prevalenti nel movimento operaio russo, Lenin precisava: “La coscienza politica di classe può essere portata all’operaio solo dall’esterno, cioè dall’esterno della lotta economica, dall’esterno della sfera dei rapporti tra operai e padroni” . (12)
Ed è precisamente questo il primo compito del nostro Partito: elevare la coscienza politica del proletariato fino a portarla alla consapevolezza di essere prima di tutto una classe, e non soltanto un insieme di individui, gruppi sociali e professionali ecc. E di essere una classe generale portatrice del ruolo storico di riunire e guidare la maggioranza degli sfruttati e degli oppressi ad abbattere la dittatura della borghesia e instaurare il socialismo: “Ricordate – dice Lenin nel discorso del 1905 “Imparate dai nemici” - il Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels, che parla di trasformazione del proletariato in classe mediante il progressivo sviluppo non soltanto della sua unità, ma anche della sua coscienza . (13)
Questo processo di elevazione della coscienza del proletariato potrà avvenire solo attraverso un lungo e paziente lavoro di educazione marxista-leninista, e non in maniera dogmatica e libresca ma calandolo nella lotta quotidiana del proletariato, in modo che la teoria si fonda con la pratica ricevendo da questa la più evidente delle conferme, e viceversa la lotta di classe quotidiana riceva continuamente illuminazione e impulso dalla teoria. Lenin era ben cosciente che senza prima quest’opera paziente portata dall’esterno del proletariato, e tuttavia calata all’interno della sua lotta quotidiana, il proletariato russo non avrebbe potuto costituirsi in classe e porsi il problema del potere politico: “Nell’azione politica del partito socialdemocratico – scriveva ancora Lenin nel 1905 – c’è, e ci sarà sempre, un elemento pedagogico; bisogna educare l’intera classe degli operai salariati a combattere per la liberazione di tutta l’umanità da ogni oppressione; bisogna addestrare tenacemente sempre nuovi strati di questa classe, bisogna saper avvicinare i componenti meno coscienti ed evoluti della classe, gli elementi meno toccati dalla nostra scienza e dalla scienza della vita, per parlare con loro; bisogna saperli avvicinare, saperli elevare con coerenza, con pazienza fino alla coscienza socialdemocratica, senza trasformare la nostra dottrina in un arido dogma, non insegnandola solo con i libri, ma anche con la partecipazione alla lotta quotidiana degli strati più umili e arretrati del proletariato. Quest’azione quotidiana contiene in sé – lo ripetiamo – un certo elemento pedagogico. Il socialdemocratico che dimentichi tale attività cessa di essere socialdemocratico” . (14)
Solo noi marxisti-leninisti possiamo e dobbiamo svolgere questo ruolo indispensabile di ridare al proletariato la coscienza di classe per sé, facendogli aprire gli occhi sulla sua situazione e su quella della società attraverso una paziente e instancabile opera di denuncia e di propaganda, nella quale un ruolo importante spetta ai sinceri intellettuali del popolo che dobbiamo assolutamente conquistare alla nostra causa. Non ci dobbiamo mai stancare di far comprendere al proletariato che, come ha sintetizzato in un’unica essenziale espressione il compagno Scuderi, “la conquista del potere politico da parte del proletariato è la madre di tutte le questioni. Col potere politico il proletariato ha tutto, senza il potere politico il proletariato non ha niente”.

IL GOVERNO RENZI
Compagne e compagni, amiche e amici, la drammatica situazione che abbiamo visto richiede che il proletariato scenda urgentemente in campo con tutta la sua forza per aprire una nuova stagione di lotte politiche. Aprendo bene gli occhi sulla natura del governo Renzi, che si presenta ingannevolmente al Paese come un governo di sinistra, avendo fondato questo inganno unicamente sulla mancia elettorale degli 80 euro nelle buste paga di una parte dei lavoratori, che peraltro viene rimangiata con gli interessi con nuovi tagli alla spesa pubblica e sociale.
Il governo Renzi è un governo di destra a tutto tondo, per la sua politica interna economica, sociale, istituzionale, estera e militare. Per quanto si atteggi a controparte critica della UE dell’austerity e invochi la “flessibilità” in nome della “crescita”, ne accetta in realtà tutti i limiti e le regole, muovendosi in perfetta continuità con i governi Berlusconi, Monti e Letta, nel far pagare i costi della crisi e della invocata “ripresa” interamente ai lavoratori, ai pensionati e alle masse popolari.
Evita come la peste di far pagare ai capitalisti, ai finanzieri, ai più ricchi le spese per finanziare l’occupazione, la bonifica e la messa in sicurezza del territorio, e per sostenere le famiglie più povere, i lavoratori, i pensionati, i disoccupati, i cassintegrati, i giovani e il Mezzogiorno. Nessuna vera misura contro l’evasione e l’elusione fiscale, e nemmeno una patrimoniale sui grandi patrimoni, che Renzi non vuol nemmeno sentire nominare, altrimenti non avrebbe preso i voti della destra, tra cui 7-800 mila dall’elettorato berlusconiano, che gli hanno permesso di mascherare l’emorragia astensionista a sinistra e figurare come il trionfatore delle europee. Ignora misure come l’aumento della progressività della tassazione sui redditi più alti, pensioni d’oro, rendite finanziarie e consumi di lusso, far pagare l’Imu alla chiesa e alle scuole private, anziché esentarle e addirittura finanziarle, cancellare le missioni di guerra all’estero e l’acquisto dei costosissimi e per giunta inaffidabili F35, e così via.
Studia invece nuovi condoni, come quello sul rientro dei capitali esportati all’estero da evasori e mafiosi; rifinanzia surrettiziamente per miliardi col decreto “Sblocca Italia” le “grandi opere” che devastano l’ambiente e ingrassano solo le grandi imprese, i politicanti borghesi corrotti e la mafia; rilancia e attua la svendita e privatizzazione del patrimonio dello Stato e delle aziende pubbliche per un totale di 12 miliardi; aumenta lo sfruttamento dei giovani e il precariato, con il decreto del rinnegato ex presidente delle cooperative “rosse” Poletti, che liberalizza i contratti a termine e l’apprendistato e il “Jobs Act”: un “piano del lavoro” che abolirà l’articolo 18 per i neo assunti e lo Statuto dei lavoratori, e che anche secondo alcuni autorevoli giuslavoristi rappresenta “l’epilogo dello smantellamento dei diritti del lavoro iniziato nel 1997 con il pacchetto Treu”. Quando governava, ricordiamolo, il “centro-sinistra” di Prodi.
In aggiunta a ciò il nuovo Berlusconi prepara nuovi e più micidiali tagli alla spesa pubblica, sanitaria, sociale e assistenziale, con la spending review che punta a “risparmiare” ben 16 miliardi nel 2015 (ma già si inizia a parlare di 20), e 32 miliardi nel 2016 sulla pelle dei malati, degli anziani, dei disabili, dei pendolari, delle famiglie, degli studenti e in breve di tutti coloro che hanno bisogno dei servizi pubblici e sociali. Con la controriforma della pubblica amministrazione, oltre a istituzionalizzare il blocco del turn-over, dei contratti e degli stipendi e il ricorso massiccio al lavoro precario già in vigore da anni nel pubblico impiego, Renzi mira a militarizzare e desindacalizzare i dipendenti pubblici, come durante il ventennio mussoliniano, e a tagliare decine di migliaia di posti di lavoro, con misure come la mobilità forzata, il demansionamento e l’aumento dei carichi di lavoro, che avranno nuove e più gravi ripercussioni sulle masse (si pensi agli ospedali, le scuole, i trasporti ecc.).
Ma dove si rivela in tutta la sua pericolosità la natura, più che di destra, marcatamente neofascista del governo Renzi, è nel suo piano di “riforme” elettorali, istituzionali e costituzionali, concordate insieme al delinquente di Arcore e sancite nel patto del Nazareno: un patto noto solo ai due banditi, ma che – oltre all’Italicum e alla controriforma piduista della Costituzione - deve contenere sicuramente come contropartita l’intangibilità di Mediaset, visto anche l’accanimento contro la Rai dimostrato da Renzi, e la sospirata impunità giudiziara per l’ex premier , vista la sua “miracolosa” assoluzione in appello per il processo Ruby.
Si tratta di un programma di controriforme che ricalca e completa il piano della P2, che si ispira anche alle indicazioni della mega banca d’affari americana JP Morgan, e che Renzi sta imponendo a passo di carica al parlamento, con la copertura e il pieno appoggio istituzionale e politico del nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano. Parliamo delle legge elettorale Italicum, una legge super maggioritaria ancor peggiore del Porcellum e della legge Acerbo di mussoliniana memoria; parliamo dell’abolizione del Senato e delle Province, della riduzione delle prerogative della Camera, che istituzionalizza un “premierato forte” di fatto con poteri per il premier simili a quelli di Mussolini e della controriforma del Titolo V della Costituzione, che incoraggia il secessionismo leghista e nello stesso tempo riaccentra nelle mani del governo una serie di competenze delle Regioni.
Parliamo della controriforma della Giustizia e del Consiglio superiore della magistratura presentata dal ministro Orlando, che mira a realizzare da “sinistra” quel progetto piduista di sottomettere i magistrati al governo e mettere il bavaglio alla stampa sulle intercettazioni, sugli scandali e la corruzione politica, che non era riuscito a Berlusconi da destra. Parliamo infine della controriforma della scuola fondata sulla meritocrazia, sulla gerarchizzazione, sulla competizione e divisione degli insegnanti, sulla valutazione, su più ore di lavoro, sui presidi-manager, sull’aziendalismo, che apre le porte ai capitalisti e che infligge un ulteriore grave colpo all’istruzione pubblica a favore di quella privata.

ABBATTERE IL GOVERNO DEL NUOVO BERLUSCONI
Queste “riforme” piduiste e il metodo sfacciatamente autoritario e contro ogni regola costituzionale con cui Renzi le sta imponendo, cominciano a destare allarme anche in alcuni ambienti democratici. Testimonia del crescente allarme anche la campagna con raccolta di firme, lanciata lo scorso luglio da Il Fatto Quotidiano. Campagna meritoria e che noi abbiamo appoggiato, ma anche criticato, perché non andava a fondo della questione limitandosi a definire quella di Renzi una “democrazia autoritaria”, anziché chiamarla col suo vero nome, neofascismo. Come abbiamo criticato la reticenza di paragonarlo, come esempio di dittatore, all’imperatore romano Cesare Augusto e non al modello più vicino e calzante, cioè a Mussolini. Parimenti abbiamo criticato e critichiamo il tentativo di ridurre l’obiettivo del movimento di lotta che si invoca per fermarlo alla difesa pura e semplice della Costituzione del 1948: una Costituzione che oltretutto non esiste più se non a livello puramente formale, perché è già stata stravolta e sostituita di fatto da quella materiale neofascista, presidenzialista, federalista e interventista della seconda repubblica. Perché questi giornalisti, intellettuali e giuristi democratici non vanno invece fino in fondo aiutandoci a chiarire alle masse qual è la vera natura veramente mussoliniana del disegno di Renzi e del regime neofascista oggi imperante?
Il PMLI non ha certo aspettato che le cose arrivassero fino a questo punto per denunciare che Renzi è il nuovo Berlusconi. E lo ha fatto subito, fin dal suo insediamento al governo, col documento dell’Ufficio politico dal titolo “Spazziamo via il governo del Berlusconi democristiano Renzi”. Allora nessun altro lo aveva capito, lasciandosi frastornare dal suo decisionismo e dalla sua velocità. Ora anche altri ci stanno arrivando, forse grazie al PMLI? Comunque quel che non tutti hanno ancora capito - sicuramente non lo ha capito il narcisista razzista Grillo, che lo chiama figlio della P2 ma poi ha provato a trattare con lui sull’Italicum e la “riforma” piduista del Senato - è che Matteo Renzi è una reincarnazione moderna e tecnologica di Mussolini e Berlusconi, che è una figura solo apparentemente nuova, ma in realtà vecchia come Berlusconi e Mussolini: il quale è sempre lo stampo originale dell’ “uomo della provvidenza” che ogni volta la classe dominante borghese in camicia nera riesuma, quando la vecchia caricatura ha fatto il suo tempo e c’è da fabbricarne una nuova per sedurre e tenere in pugno il Paese per suo conto.
Le somiglianze del nuovo Berlusconi con il suo stretto alleato e col duce del fascismo diventano sempre più evidenti ogni giorno che passa: e non soltanto per il suo sfrenato narcisismo e per il piglio ducesco con cui tratta e mette a tacere “gufi”, “rosiconi”, “frenatori” e chiunque osi metterglisi di traverso, anche quei pochi del suo stesso partito che, lungi da rappresentare un’opposizione credibile, si limitano a mugugnare e a difendere la poltrona. Per non parlare dell’insofferenza che ostenta verso i sindacati e segnatamente la Cgil, che come Mussolini, Craxi, Berlusconi e il suo amico Marchionne, vorrebbe veder ridotti a sindacati corporativi asserviti ai padroni e al governo.
Assomiglia al duce anche per le sue ambizioni in politica estera, che coltiva spingendo sul nazionalismo e battendo i pugni sul tavolo di Bruxelles reclamando libertà di manovra e “rispetto” per l’Italia, mentre di concerto con Napolitano accentra nelle mani del governo il “nuovo modello di difesa” militarista e interventista per dare ali alle smanie espansioniste dell’imperialismo italiano alla ricerca del “posto al sole” di mussoliniana memoria tra le grandi potenze. Anche approfittando dell’occasione favorevole offertagli dal semestre di presidenza italiana della UE, che affida nelle sue mani e in quelle della Mogherini la politica estera europea.
Ma poi, al dunque, Renzi non fa che riconfermare fedeltà ai rigidi confini economici e finanziari imposti dalla UE, dalla Bce e dalla Germania alla “flessibilità” che invoca ad ogni piè sospinto, e coprire e condividere la politica imperialista ed espansionista europea verso Est. Per non parlare dell’infame silenzio e appoggio al governo sionista e nazista di Tel Aviv e alla sua politica di genocidio del popolo palestinese, al quale va tutta la nostra solidarietà militante antimperialista. Mentre invece ostenta smanie interventiste in Iraq e in Libia. Noi vogliamo invece che l’Italia si tiri fuori dai conflitti in Ucraina, Afghanistan, Iraq, Siria e Libia, e non invii all’estero né un soldato, né un qualsiasi strumento militare. Non vogliamo assolutamente che il nostro popolo, a partire dai giovani, diventi carne da cannone per le fregole, le ambizioni e gli interessi politici, economici, commerciali e finanziari del capitalismo e della classe dominante borghese italiani.
Renzi e il suo governo di destra sono perciò nemici giurati del proletariato, dei lavoratori e di tutti i sinceri democratici, antifascisti e antimperialisti, e vanno spazzati via quanto prima, raccogliendo tutte le forze in un fronte unito che conduca contro di essi una strenua opposizione di classe e di massa nelle fabbriche e in tutti i luoghi di lavoro, nelle scuole e nelle università, nelle piazze, e nelle organizzazioni di massa, specie sindacali e studentesche. Come ha sostenuto il Segretario generale nel suo Rapporto alla 4ª Sessione plenaria allargata del 5° CC del PMLI: “Se non si ferma subito, Renzi durerà venti anni. Che si sveglino allora i vertici dei sindacati confederali e i “sindacati di base” e proclamino unitariamente uno sciopero generale di 8 ore con manifestazione nazionale sotto Palazzo Chigi. I marxisti leninisti italiani comunque non gli daranno pace finché il suo governo non sarà spazzato via dalla piazza”.
Intanto salutiamo in maniera militante la proclamazione dello sciopero da parte di Unicobas il 17 settembre e le manifestazioni indette dall’Uds e dalla Rete degli studenti medi per il 10 ottobre, auspicando che si vedano in piazza tante bandiere e camicie rosse. Non bisogna guardare al fumo ma all’arrosto che ci cucina Renzi, il nuovo cuoco dei capitalisti italiani. Bisogna capire a fondo, e trasmettere questo nostro giudizio al proletariato, che il nuovo Berlusconi sta di fatto fascistizzando e piduizzando la democrazia borghese e lo Stato di diritto borghese, mascherando ciò con un fiume di parole fumose, demagogiche e accattivanti e con false iniziative di coinvolgimento del popolo.

RILANCIARE LA LOTTA PER IL LAVORO
Nel quadro di queste battaglie politiche e sindacali, applicando l’indicazione del Comitato centrale del Partito, dobbiamo concentrare massimamente le forze sul fronte della lotta per il lavoro, che attualmente è il problema più drammatico che assilla le masse, specie nel Meridione, e sul quale tutto il Partito deve mobilitarsi e fare fuoco e fiamme, dando tutto il nostro contributo affinché il prossimo autunno sia un nuovo autunno caldo. Affinché cioè il proletariato, mettendosi alla testa di un grande movimento per il lavoro, passi al contrattacco con forti lotte di massa nelle fabbriche e nelle piazze per fermare la linea capitalista liberista che distrugge posti di lavoro e aumenta il precariato e costringere i padroni e il governo a cambiare rotta sul tema delle politiche industriali e dell’occupazione.
Noi dobbiamo condurre questa battaglia oggi cruciale e urgente in tutte le organizzazioni di massa e in tutti i luoghi di lavoro e di studio in cui possiamo essere presenti, senza dimenticare mai la battaglia strategica e a lungo termine per rendere cosciente il proletariato che la vera questione è quella del potere politico e del socialismo, e che solo con l’abbattimento del capitalismo e l’instaurazione del socialismo è possibile cambiare veramente l’Italia, e mettere fine allo sfruttamento, alla disoccupazione e alla miseria delle masse.
Il nostro auspicio è che le operaie e gli operai coscienti e più combattivi che già conoscono o conosceranno il PMLI capiscano che solo prendendo posto nelle sue file per aiutarlo a diventare grande, forte e radicato su tutto il territorio nazionale, sarà possibile risvegliare il proletariato e fargli acquistare la piena coscienza della necessità di lottare per conquistare l’Italia unita, rossa e socialista. Evitando di cadere nella nuova trappola che sta preparando la Lista Tsipras per non farlo uscire dal pantano del capitalismo, dello Stato borghese, del riformismo, dell’elettoralismo, del parlamentarismo, del costituzionalismo, del legalitarismo e del pacifismo.
Il nostro è un compito duro e difficile ma se, come ci ha spronato a fare il nostro Segretario generale, sapremo fare bene il lavoro di massa sulla base della parola d’ordine “Studiare, concentrarsi sulle priorità, radicarsi; radicarsi, concentrarsi sulle priorità, studiare”, e se sapremo utilizzare bene i cinque assi che abbiamo in mano, rappresentati dai nostri Maestri, i risultati nel tempo arriveranno. Ogni volta che ci sentiamo scoraggiati dalla piccolezza delle nostre forze rispetto agli immani compiti che la lotta di classe ci presenta davanti, ricordiamoci di queste tonificanti parole di Mao: “Tutti i compagni del Partito devono tenere pienamente conto delle difficoltà ed essere pronti a superarle in modo sistematico e con indomabile volontà. Le forze reazionarie hanno le loro difficoltà, noi abbiamo le nostre. Ma le difficoltà delle forze reazionarie sono insormontabili, perché queste forze si incamminano verso la morte, senza alcuna prospettiva futura. Le nostre difficoltà possono essere superate perché siamo forze nuove e in ascesa con un futuro luminoso” . (15)
Ispirati da questo splendido incitamento di Mao, lavoriamo perciò sodo e con fiducia per restituire al proletariato la coscienza di classe per sé e conquistarlo al PMLI, al marxismo-leninismo-pensiero di Mao e alla causa del socialismo.
Solo il socialismo può cambiare l’Italia e dare il potere al proletariato!
Uniamo tutte le masse e le forze politiche, sindacali, sociali, culturali e religiose antifasciste, antipiduiste, democratiche e progressiste in un vasto fronte unito per spazzare via il governo del Berlusconi democristiano Renzi!
Gloria eterna a Mao!
Con Mao per sempre, contro il capitalismo, per il socialismo!
Avanti con fiducia e con forza verso l’Italia unita, rossa e socialista!
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
 
 
 
Note
1) Mao, Sulla dittatura democratica popolare, 30 giugno 1949, opere scelte, vol. 4, Casa editrice in lingue estere di Pechino, pp. 433-434
2) Mao, Sulla pratica, luglio 1937, opere scelte, vol. 1, Casa editrice in lingue estere di Pechino, p. 319
3) Lenin, Le elezioni dell’Assemblea costituente e la dittatura del proletariato, dicembre 1919
4) Discorso alla II Sessione plenaria dell’VIII Comitato centrale del Partito comunista cinese, 15 novembre 1956, opere scelte, vol 5 (Ed. Einaudi), pp. 454-455
5) Lenin, “Che fare?”, autunno 1901-febbraio 1902, opere complete, Editori Riuniti, vol. 5, p. 354
6) Mao, “Sulla pratica”, luglio 1937, opere scelte, vol. 1, Casa editrice in lingue estere di Pechino, p. 327
7) Mao, “Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo, 27 febbraio 1957, Casa editrice in lingue estere di Pechino, p. 28
8) Marx ed Engels, “Manifesto del partito comunista”, dicembre 1847-gennaio 1848, Piccola biblioteca marxista-leninista, p. 40
9) Marx, “Indirizzo inaugurale dell’Associazione internazionale degli operai”, 21-27 ottobre 1864, opere complete, Editori Riuniti, vol. 20, p. 12
10) Lenin, “Che fare?”, autunno 1901-febbraio 1902, opere complete, Editori Riuniti, vol. 5, p. 346
11) Lenin, “Che fare?”, autunno 1901-febbraio 1902, opere complete, Editori Riuniti, vol. 5, pp. 369-370
12) Lenin, “Che fare?”, autunno 1901-febbraio 1902, opere complete, Editori Riuniti, vol. 5, pp. 389
13) Lenin, “Imparate dai nemici”, 18 novembre 1905, opere complete, Editori Riuniti, vol. 10 p. 50
14) Lenin, “Sulla fusione di politica e pedagogia”, giugno 1905, opere complete, vol. 8 p. 416
15) Mao, “Salutiamo il nuovo slancio della rivoluzione cinese”, 1° febbraio 1947, opere scelte, Casa editrice in lingue estere di Pechino, vol. 4 p. 123

10 settembre 2014