Dopo 2.136 morti, più di 11 mila feriti palestinesi e 200 mila senza casa
Tregua a Gaza. I palestinesi festeggiano la fine del genocidio

 
 
Nel pomeriggio del 26 agosto Hamas annunciava l'intesa tra israeliani e palestinesi, raggiunta sotto la mediazione dell'Egitto, per una tregua duratura nella Striscia di Gaza dopo quasi due mesi di guerra. "È una vittoria per la resistenza", affermavano i responsabili di Hamas e della jihad islamica sottolineando che l'intesa in particolare prevedeva l'apertura dei valichi della Striscia per consentire l'accesso degli aiuti e dei materiali per la ricostruzione, una parziale attenuazione della rigida chiusura dei territori palestinesi della Striscia attuata dai sionisti e dal regime egiziano.
La fine del genocidio è stata festeggiata nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania con manifestazioni per le strade.
La tregua dichiarata dopo 51 giorni di guerra si chiude infatti con un bilancio ufficiale di 2.136 morti, un quarto dei quali bambini, e oltre 11 mila feriti, 500 mila sfollati e oltre 20 mila case distrutte dagli oltre 4 mila raid sionisti che comunque erano cominciati già prima dell'inizio ufficiale dell'operazione “Margine protettivo” l'8 luglio scorso. Lanciata da Tel Aviv con la motivazione di interrompere il lancio di razzi dalla Striscia di Gaza ma il cui bersaglio principale è stata la popolazione di Gaza per terrorizzarla e spingerla a togliere il sostegno alle organizzazioni che guidano la resistenza contro gli occupanti sionisti. Disarmare e disarticolare la resistenza all'occupazione e dare campo libero ai palestinesi collaborazionisti guidati dal presidente Abu Mazen è l'obiettivo a breve di Tel Aviv. Un obiettivo finora fallito nonostante l'assedio di Gaza e con la terza pesante aggressione.
I termini dell'accordo di tregua sarebbero simili al testo che fu definito, sempre al Cairo, che mise fine all'aggressione sionista a Gaza nel 2012. Allora in Egitto era al governo la formazione islamica dei Fratelli musulmani, da una costola della quale era nata Hamas, e la mediazione patrocinata dall'allora presidente Morsi prevedeva la fine del blocco israeliano al confine con la Striscia per far passare aiuti umanitari e forniture per la ricostruzione mentre l'Egitto riaprì il valico di Rafah, alla frontiera palestinese. Da Tel Aviv arrivò anche il consenso a una minima estensione del diritto di pesca dei palestinesi che passava da tre a sei miglia al largo delle coste della Striscia. Una concessione, quella dell'estensione della zona di pesca che Tel Aviv tolse dopo pochi mesi, nel marzo 2013.
Allora l'asse tra l'egiziano Morsi e l'emiro del Qatar, bin al Thani, portò alla visita ufficiale dell'emiro a Gaza che nell'occasione portò un assegno da 10 milioni di dollari e promise investimenti infrastrutturali per 400 milioni di dollari, distinguendosi come il primo capo di Stato e di governo straniero disposto a farsi ricevere dai capi di un'organizzazione, alla guida del governo dal 2006, dichiarata “terroristica” dagli Usa e dall'Unione europea. Il Qatar offrì rifugio al capo politico di Hamas, Meshal, che si trasferì a Doha.
L'asse Egitto-Qatar si ruppe quando l'allora generale egiziano al Sisi, sponsorizzato dall'Arabia Saudita, ha esautorato Morsi col golpe che poi l'ha condotto a sostituirlo alla presidenza. E nella conduzione di una trattativa che ha visto viaggiare il presidente palestinese Abu Mazen tra Doha e il Cairo fino alla stipula della tregua del 26 agosto. Doha si è detta “pronta a contribuire alla ricostruzione il prima possibile” ma è da vedere se il suo contributo sarà accettato dato che la contropartita potrebbe essere il disarmo di Hamas.
Il dubbio potrebbe essere sciolto a breve, entro il mese di settembre il governo egiziano riconvocherà al Cairo entrambe le parti a trattare; sul tavolo ci sarebbero il finanziamento per la costruzione di un nuovo porto e dell'aeroporto, le frontiere libere per gli 1,7 milioni di palestinesi di Gaza. In cambio di che cosa?.

17 settembre 2014