Appoggiamo la legge di iniziativa popolare per modificare la norma sul pareggio di bilancio in Costituzione
Non siamo però d'accordo con l'analisi politica e la strategia

Il 23 settembre, con una conferenza stampa alla Camera tenuta da Maurizio Landini, Stefano Rodotà ed altri promotori, è stata presentata una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare per cancellare dagli articoli 81, 97 e 119 della Costituzione il vincolo del pareggio di bilancio, introdotto proditoriamente nel 2012 durante il governo Monti, in gran fretta, con l'assenso della stragrande maggioranza del parlamento e all'oscuro dell'opinione pubblica. I promotori hanno informato di aver già depositato in cassazione la proposta di legge in quattro articoli, e che dal 1° ottobre parte la raccolta delle almeno 50 mila firme necessarie per la sua presentazione in parlamento. All'iniziativa, promossa nella convinzione che i quattro referendum contro l'austerity e il Fiscal compact che si propone sostanzialmente lo stesso obiettivo non saranno ammessi dalla Corte costituzionale, aderiscono, oltre alla Fiom di Landini e a giuristi come Rodotà e Gaetano Azzariti, anche partiti come SEL e PRC, esponenti della minoranza PD come Fassina e Civati, associazioni politiche come L'altra Europa per Tsipras e associazioni culturali come Arci, Legambiente e Sbilanciamoci.
Il golpe istituzionale che ha imposto l'obbligo del pareggio di bilancio nella Costituzione si era consumato il 17 aprile 2012, con l'approvazione da parte del Senato nero, in quarta lettura e dopo appena quattro mesi di iter parlamentare, di un disegno di legge costituzionale che recepiva una direttiva UE che, in base ai recenti trattati “rigoristi” come il micidiale Fiscal compact, chiedeva ai governi di adottare misure vincolanti sul pareggio di bilancio, “preferibilmente” a livello costituzionale. Non era obbligatorio scriverla nelle costituzioni nazionali, tant'è vero che alcuni governi, tra cui la Francia, si sono guardati bene di farlo, ma il governo Monti, con l'avallo di Napolitano e riprendendo peraltro un progetto di legge già adottato dal precedente governo Berlusconi, aveva preso la palla al balzo per stravolgere in senso liberista la Costituzione con la scusa che ce l'imponeva l'Europa. Il tutto con la complicità di quasi l'intero parlamento, IDV compresa, nel silenzio assoluto dei media del regime neofascista e senza neanche bisogno di sottoporre la modifica a referendum popolare, avendo dribblato l'articolo 138 grazie alla schiacciante maggioranza parlamentare.
Liberismo legge suprema dello Stato
In sostanza la riscrittura dell'articolo 81 (e degli articoli 97, 117 e 119 che estendono l'obbligo del pareggio di bilancio anche alle Regioni e amministrazioni locali), equivale ad elevare il liberismo economico a legge fondamentale e suprema dello Stato, superiore allo stesso diritto/dovere dei governi di scegliere autonomamente le politiche economiche più rispondenti alle necessità sociali e al bene del Paese: in particolare quelle sancite dalla Costituzione nel gruppo di articoli dal 32 al 38 che coinvolgono irrinunciabili diritti sociali, come quello alla salute, allo studio, al lavoro, all'assistenza ai disabili, e così via; ma anche per tutta una serie di interventi vitali per la collettività, come la difesa e la messa in sicurezza del territorio, la tutela e la fornitura dei beni pubblici primari come l'acqua, l'energia, i trasporti pubblici, ecc.
Adesso questi diritti fondamentali sono subordinati al pareggio di bilancio, e il ricorso all'indebitamento dello Stato per sostenerli è vietato, perché può essere consentito “solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali”. Il che significa che anche qualora l'Europa rivedesse le sue politiche di austerity consentendo a paesi come l'Italia di finanziare la ripresa economica e/o lo Stato sociale col ricorso all'indebitamento pubblico temporaneo, ciò le sarebbe costituzionalmente vietato.
Cosa si propone la legge di iniziativa popolare
La proposta di legge di iniziativa popolare si propone appunto – come si legge nel documento allegato al 4 al dispositivo - di intervenire su questo micidiale meccanismo anticostituzionale e antipopolare, modificando i nuovi articoli 81, 97 e 119 per “cancellare il principio del pareggio di bilancio e di collegare comunque le politiche di bilancio dello Stato alla salvaguardia dei 'diritti fondamentali delle persone' come stabiliti dal nostro ordinamento costituzionale”. E in particolare attraverso l'aggiunta di un comma all'articolo 81 che così recita: “La legge generale sulla contabilità e la finanza pubblica definisce i vincoli di bilancio nel rispetto dei diritti fondamentali delle persone”. Lo stesso principio del “rispetto dei diritti fondamentali delle persone”, definito dai promotori un principio fondante irrinunciabile delle moderne Costituzioni, come in alcune nazioni dell'America Latina, viene aggiunto anche all'articolo 97, che subordina l'organizzazione dei pubblici uffici al buon andamento e all'imparzialità dell'amministrazione. Mentre l'articolo 119 viene sostituito di sana pianta da uno nuovo che si apre così: “Ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni sono attribuite risorse pubbliche in relazione alle esigenze di tutela dei diritti sociali e civili, comunque sufficienti a garantire in ciascuna parte del territorio nazionale i livelli essenziali delle prestazioni”.
La posizione del PMLI
Il PMLI, che ha denunciato fin dall'inizio il golpe costituzionale sull'articolo 81 (vedi per esempio Il Bolscevico n. 45/2011, n. 11/2012 e n. 17/2012), appoggia questa legge di iniziativa popolare e darà il suo contributo alla raccolta delle firme e al successo dell'iniziativa, pur non essendo d'accordo con l'analisi politica e la strategia dei suoi promotori. Alcuni dei quali, fra l'altro, sono stati colpevolmente passivi e silenziosi mentre il golpe costituzionale si consumava tappa dopo tappa, SEL compresa; se non addirittura complici, come certi esponenti della minoranza PD che l'hanno votato in parlamento, e che ora ne invocano opportunisticamente la cancellazione solo per cercare visibilità politica dopo essere stati emarginati da Renzi.
Ma anche a prescindere da ciò non condividiamo gli obiettivi, che il documento di accompagnamento alla legge pone a cornice dell'iniziativa, di chiedere al governo che “sostenesse in sede europea la radicale modifica della normativa sulla convergenza dei bilanci, concordando con i partner europei misure sostanziali a favore dello sviluppo sostenibile”, nonché di “recuperare una progettualità che ponga i diritti al centro della costruzione del sistema politico e istituzionale in ambito sia europeo sia nazionale”. A nostro avviso in questa visione c'è un errore strategico di fondo che affida la soluzione del problema alle stesse istituzioni che lo hanno creato, e cioè l'Unione europea imperialista e il governo Renzi che in Italia ne applica le politiche liberiste ed antipopolari, oltre ad essere il comitato di affari del capitalismo nazionale e della P2.
Per noi invece, l'abolizione del pareggio di bilancio nella Costituzione deve essere solo un passo nella battaglia più generale per far uscire il nostro Paese dalla UE imperialista, un'unione di grandi gruppi finanziari, capitalisti e militari, che deve essere combattuta e distrutta prima possibile dai popoli europei. E per far cadere al più presto il governo neofascista e piduista del Berlusconi democristiano.
Inoltre il nostro orizzonte strategico non si restringe come per i promotori alla Costituzione del 1948, che anche quando fosse cancellato il pareggio di bilancio e inseritovi il principio teorico della “preminenza dei diritti fondamentali democratici borghesi delle persone sulle ragioni dell'economia”, resterebbe pur sempre una Costituzione borghese, per giunta ridotta ormai ad un colabrodo che fa acqua da tutte le parti, non più in grado di assicurare le minime libertà democratico-borghesi e rimpiazzata ormai da tempo da una Costituzione materiale neofascista, presidenzialista, federalista e interventista.
Il nostro orizzonte strategico è il socialismo, senza il quale non è possibile cambiare l'Italia e dare finalmente il potere al proletariato, a cui spetta di diritto perché è la classe che produce tutta la ricchezza del Paese.
Ciò non toglie che il nostro Partito possa partecipare anche a questa battaglia, tatticamente giusta in sé, e percorrere un pezzo di strada insieme alle forze che l'hanno promossa. Pur mantenendo ferme le sue posizioni e la sua piena autonomia politica e proseguendo nella sua lotta incrollabile per l'Italia unita, rossa e socialista.
 

1 ottobre 2014