In contemporanea con l'Assemblea generale dell'Onu sul clima
400 mila ambientalisti marciano a New York contro “l'ingiustizia climatica”
Sotto accusa il capitalismo per il cambiamento climatico

 
Il 21 settembre, alla vigilia dell'apertura dei lavori dell'Assemblea generale dell'Onu sul clima, quasi 400 mila ambientalisti hanno dato vita a New York alla marcia contro “l'ingiustizia climatica”. La People’s Climate Change March era organizzata dall’associazione non governativa “350?.org”, la cui base è negli Usa ma è attiva in 188 paesi, che ha portato in piazza almeno un milione di manifestanti nelle piazze in tutto il mondo.
L'iniziativa principale era quella di New York, cui avevano dato l'adesione più di millequattrocento organizzazioni ambientaliste, sociali e sindacali americane, che con centinaia di autobus hanno mobilitato i manifestanti da tutti gli Stati Uniti.
La giornata contro “l'ingiustizia climatica” era un iniziativa lanciata online, tramite twitter, nel luglio scorso e in seguito propagandata con volantinaggi e manifesti, con l'obiettivo di mettere sotto accusa il capitalismo per il cambiamento climatico.
Tenendosi in concomitanza con l’inizio dell’assemblea generale dell’Onu sul clima, la polizia del nuovo sindaco democratico De Blasio ha posto numerosi ostacoli per concedere il permesso al corteo.
Nonostante che gli stessi organizzatori non avessero intenzione di avvicinarsi al palazzo dell'Onu. “Il corteo non ha il fine di bloccare l’Onu o paralizzare New York City - spiegava uno degli organizzatori - questa manifestazione è in realtà la prima uscita di un movimento più ampio, una coalizione che comprende non solo i soliti ambientalisti bianchi ma i sindacati e i rappresentanti delle comunità più colpite dagli effetti del cambiamento climatico. Questo non è il vecchio tipo di marcia per il clima in cui si parla solo di orsi polari. È più di questo. Stiamo parlando di razzismo ambientale e di giustizia climatica”.
“So che molti si aspettavano da noi una serie di flash mob ed altri tipi di mobilitazioni – spiegava un altro organizzatore - ma la radicalità qui non è nelle tattiche, è nel costruire una coalizione più ampia, potenzialmente enorme, non ignorabile”.
Una coalizione cui partecipavano anche attivisti di Occupy Wall Street che comunque organizzavano una manifestazione anche per il giorno successivo, sotto la bandiera di Flood Wall Street, articolata con un sit-in mirato a assediare il centro della finanza mondiale, Wall Street.
La People’s Climate Change March è stata organizzata per dare visibilità alla denuncia dell’”ingiustizia climatica” che mette insieme il tema della disparità economica e dell’ingiustizia sociale con quello dei cambiamenti climatici derivanti direttamente da scelte di utilizzo ed estrazione delle risorse energetiche con un impatto ambientale devastante. E poiché uno dei caratteri del ciclo produttivo capitalista è quello di essere legato all’impiego dei combustibili fossili ne risulta che per invertire il cambiamento climatico diventa necessario sfidare il capitalismo. Si tratta certo di una importante e necessaria lotta da portare fino in fondo anche se non può essere considerata “la chiave per uscire dalla dittatura del capitalismo” come teorizzano alcuni esponenti del movimento ambientalista.
Nelle assemblee dei mesi scorsi dei movimenti ambientalisti del continente latinoamericano, che il 18 settembre hanno indetto ufficialmente il Vertice dei popoli di fronte al cambio climatico a Lima dall’8 all’11 dicembre, le parole d’ordine erano “Cambiare il sistema non il clima” e lottare contro “il modello capitalistico predatorio” per risolvere alla radice le cause dell’inquinamento e del riscaldamento globale. Rivendicazioni portate nelle manifestazioni del 21 settembre che si sono svolte dall’Argentina, al Brasile, alla Colombia.
In un documento sottoscritto il 16 settembre da oltre 330 organizzazioni, in rappresentanza di movimenti contadini, indigeni ed ecologisti di tutto il mondo, da Via Campesina alla Red Ambiental Indigena, dalla Coalizione mondiale per i boschi ad Attac Francia, si denunciava l’influenza delle multinazionali e del settore privato sull’imminente vertice Onu. Si metteva in guardia dalle “false e pericolose soluzioni” sponsorizzate pure dalle multinazionali piene di molta propaganda ma inconcludenti se non si cambiava “un sistema economico ingiusto che mira a convertire tutto in merce e a finalizzare al profitto uno sviluppo indefinito, concentrando la ricchezza in poche mani e supersfruttando la natura fino al collasso”.
I movimenti invitavano a impegnarsi per un “cambiamento sistemico” proponendo 10 azioni concrete per evitare il “caos climatico”, tra le quali la definizione di impegni vincolanti da parte degli Stati per mantenere la temperatura del pianeta a non più di 1,5° centigradi, l’opposizione “ai grandi progetti di infrastrutture inutili”, la fine agli accordi di libero scambio e degli investimenti che incoraggiano i profitti commerciali a livello internazionale che “colpiscono i lavoratori, distruggono la natura e riducono la possibilità di definire le proprie priorità economiche, sociali e ambientali”. Affermavano che si deve “sostituire il capitalismo con un sistema che leghi il cambiamento climatico e i diritti umani, assicurando la protezione delle popolazioni più vulnerabili, come i migranti, e riconoscendo i diritti delle popolazioni native” e che occorre “ridistribuire la ricchezza, controllata dall’1% della popolazione mondiale”. Ma il capitalismo non si può sostituire, solo distruggere.

1 ottobre 2014