Il nuovo Berlusconi lo sapeva già quando in parlamento ha attaccato i magistrati
Indagato il padre di Renzi per “bancarotta fraudolenta”
Tra i debiti messi in salvo il Tfr del figlio

Il 16 settembre il padre del presidente del Consiglio Tiziano Renzi ha ricevuto un avviso di garanzia per bancarotta fraudolenta notificatogli dalla procura di Genova. Gli inquirenti lo accusano di aver “svuotato” la sua ex società di distribuzione di quotidiani, Chil Post, svendendone un ramo d’azienda “sano” per appena 3.800 euro alla srl Eventi 6 di proprietà della moglie Laura Bovoli e delle due figlie. Una vendita, ritenuta fittizia dagli inquirenti, che avrebbe consentito alla famiglia Renzi di sottrarre ai creditori le attività più redditizie. La società, ridotta a poco più di una scatola vuota, è stata poi affidata a un ex socio dei Renzi che l’ha portata a una sorta di “fallimento pilotato” con un passivo di oltre un milione di euro.
Il reato di bancarotta viene contestato anche all'ex amministratore Antonello Gabelli, 52 anni, imprenditore di Alessandria; e a Mariano Massone, figlio di Gianfranco, 76 anni, ex ambulante, che per conto di Tiziano Renzi ha gestito il business genovese della distribuzione dei giornali ed è ritenuto una sorta di socio occulto della Chil Post rilevata nel 2010 e poi fallita nel 2013 con un passivo di un milione e 125 mila euro.
L'inchiesta è condotta dal procuratore aggiunto Nicola Piacente e dal Pubblico ministero (Pm) Marco Airoldi in quanto la Chil Post aveva sede legale a Genova dopo il trasferimento da Firenze quattro anni fa. Le indagini sono iniziate nei primi mesi del 2014, quando il curatore fallimentare Maurizio Civardi evidenzia nella relazione al giudice fallimentare alcuni aspetti di rilievo penale.
I sospetti dei Pm riguardano soprattutto la cessione di una parte della Chil Post alla Eventi 6 di Laura Bovoli e delle due sorelle Renzi. L’ipotesi d’accusa è che la stima del valore della società sia stata tenuta volutamente bassa. Mentre nell’ormai “defunta” Chil Post sono rimasti debiti per oltre un milione.
Una “furbata”, come si dice a Firenze, confermata dal fatto che tra i debiti trasferiti da una società all’altra e quindi salvati dal crac figura, a pagina 5 dell’atto di cessione, anche la voce “Tfr personale di Matteo Renzi: 28.326,91 euro”. Infatti l'attuale premier Matteo Renzi è stato titolare di consistenti quote dell’azienda di famiglia dal 1998 al 2003. Ma poi, ecco la seconda “furbata”, al momento di candidarsi alla guida della Provincia ha ceduto il 40% delle suo quote ai genitori che a loro volta lo hanno assunto come dirigente della stessa società. Questo giochino ha permesso a Renzi premier di ottenere il versamento di tutti i contributi pagati dall’azienda fino al 2004, quando venne eletto presidente della Provincia, e in seguito versati dallo Stato come stabilisce la legge che garantisce a chi va in aspettativa lavorativa per ricoprire un incarico politico il diritto di ottenere il versamento dei contributi per ben nove anni.
Altri sospetti e passaggi di denaro poco chiari riguardano anche i creditori del fallimento tra cui figura ad esempio il Credito Cooperativo di Pontassieve, cioè la banca della città in cui il premier abita assieme alla famiglia. Il debito complessivo nei confronti dell'istituto stimato dal curatore fallimentare Maurizio Civardi, è di 496mila euro.
La banca è presieduta dal 2010 da Matteo Spanò, uno degli amici più stretti di Matteo Renzi, scout come lui e considerato uno dei suoi più fidati collaboratori. Spanò detiene anche quote e cariche nella società di comunicazione emarketing Dotmedia nella quale compare come socio anche Alessandro Conticini (fratello del marito di una sorella del premier) che fino al 2011 fu contitolare della Eventi 6, la srl della mamma e delle sorelle di Matteo Renzi.
Spanò era consigliere della stessa banca dal maggio del 2008, ma nel 2010, quando ne diventa presidente, il credito di Pontassieve eroga un sostanzioso mutuo alla Chil Post. Tiziano Renzi lascerà la società a novembre, un mese dopo aver ceduto il ramo d'azienda alla moglie che si fa carico anche del Tfr del figlio Matteo.
ll prestito è un mutuo chirografario, ossia non si basa su garanzie ipotecarie ma, in genere, su una presunta “fiducia” personale. Ma la cosa ancora più strana è che la banca guidata dall'amico del premier non presenta nessuna istanza di fallimento per cercare di ottenere il mezzo milione prestato alla Chil dei Renzi. Al contrario di quanto hanno fatto ad esempio la Asti Asfalti e la "Immobiliare Mi. Ro." che vantano complessivamente un credito di 400 mila euro e i cui titolari sono già stati sentiti dalla procura di Genova.
Agli atti dell'inchiesta c'è anche la causa di lavoro che lo scorso agosto la società di Tiziano Renzi ha perso nei confronti di un dipendente della sua società che ha lavorato in nero. Il giudice del lavoro ha condannato la società dei Renzi a risarcire il dipendente con 90 mila euro riconoscendogli un periodo lavorativo di sei anni dal 2006 al 2012. Il lavoratore si occupava di distribuzione dei giornali porta a porta, lavorando tutti i giorni da mezzanotte in poi. Non certo un bel biglietto da visita per il Berlusconi democristiano Renzi che accusa i sindacati di essere la causa della disoccupazione e dell'aumento dei precariato e che con la demagogica campagna sui “diritti uguali per tutti” si appresta a cancellare lo Statuto dei lavoratori. Mentre a Firenze “sono in corso accertamenti” su un'altra vicenda giudiziaria che nei mesi scorsi ha “sfiorato” direttamente il premier ossia il fascicolo aperto dalla procura a seguito di un esposto, sul caso dell’appartamento in cui da marzo 2011 a gennaio 2014 ha abitato Matteo Renzi, quando era sindaco, e il cui affitto sarebbe stato pagato dall’imprenditore suo amico Marco Carrai, forse a “sua insaputa”.
Inseguito dalle inchieste giudiziarie e giornalistiche sui suoi candidati alle primarie in Emilia-Romagna, sulle tangenti Eni e perfino sui maneggi della sua famiglia, Renzi ha reagito alla maniera dei suoi modelli Craxi e Berlusconi scagliandosi con particolare veemenza contro i magistrati. Noi “non consentiamo che avvisi di garanzia più o meno citofonati sui giornali consentano di cambiare la politica in questo Paese... Arrivare a sentenza preventiva sulla base dell’iscrizione nel registro degli indagati è un atto di barbarie. Noi aspettiamo le indagini e rispettiamo le sentenze... L’avviso di garanzia non sia un vulnus della carriera politica” ha tuonato infatti il Berlusconi democristiano durante il suo discorso alla Camera e al Senato del 16 settembre per presentare il suo piano fascista, piduista, antisindacale e antiprecari per i prossimi mille giorni del suo governo.
Un attacco di una gravità inaudita e senza precedenti contro i magistrati specie se si pensa che Renzi era già al corrente dell'avviso di garanzia che aveva ricevuto suo padre la sera prima. A Renzi senior infatti l’avviso di garanzia è stato notificato lunedì sera, 24 ore prima che il premier presentasse al parlamento il piano Millegiorni. Ed è difficile immaginare che Renzi non sapesse nulla dell'indagine a carico di suo padre e che le sue bordate contro i magistrati non siano piovute dal cielo.
Ciononostante il procuratore capo di Genova, Michele di Lecce, ha annunciato che potrebbero esserci anche altri indagati con particolare riferimento alla Eventi6, la società beneficiaria dei rami sani dell’azienda tra cui la distribuzione dei giornali e di proprietà della mamma di Renzi e delle sorelle, Matilde e Benedetta.
I Pm di Genova stanno passando al setaccio tutta la vita imprenditoriale di Tiziano Renzi che in trent'anni ha fondato dieci società ma ha assunto un solo dipendente a tempo indeterminato: il figlio Matteo ma giusto il tempo neccessario per sfruttare i contributi pensionistici pagati dallo Stato. Risulta che dal 1984 a oggi Renzi senior ha fatto uso quasi esclusivo di lavoratori atipici, studenti impiegati come strilloni agli incroci dei semafori, supersfruttati e inquadrati come co.co.co per pochi euro all'ora. Colpisce in particolare la vicenda, analoga alla Chil Post, che ha caratterizzato la Mail Service Srl, una società di cui il padre del premier era socio di maggioranza, con il 60% del capitale, e che nel 2011 è stata dichiarata fallita. Proprio come la Chil Post. La Mail Service potrebbe rappresentare un precedente utile al fine delle indagini perché sembra attuare uno schema poi ripetuto.

1 ottobre 2014