Senza risultati la riapertura del dialogo tra governo e studenti
La polizia carica il presidio di Occupy Central a Hong Kong
Il governatore Leung invece di dare le dimissioni richieste dai manifestanti minaccia l'impiego dell'esercito per liquidare la protesta

 
Lo scorso 5 ottobre il governo e i leader della protesta avevano annunciato l'imminente apertura formale del dialogo fra le parti in concomitanza con la scadenza dell'ultimatum del governo agli studenti di liberare le strade occupate da una settimana La politica del bastone e della carota dell'amministrazione filocinese della regione autonoma si realizzava con la minaccia di una repressione ancora più dura della rivolta nata per rivendicare libere elezioni e le dimissioni del capo del governo locale e con l'offerta di negoziati convocati per non concedere nulla. La protesta infatti non smobilitava completamente con centinaia di studenti e membri di Occupy Central che rimanevano nei presidi di Admiralty e Mong Kok e impedivano l'avvio dei negoziati.
I presidi dei manifestanti respingevano i nuovi attacchi della polizia e dopo altre due settimane il governo riprovava con l'offerta di apertura dei negoziati. Si sceglieva l'interlocutore, solo la Federazione degli studenti tagliando fuori le altre rappresentanze studentesche e Occupy Central, e convocava l'incontro per il 21 ottobre. Mentre la Corte suprema ordinava lo sblocco di alcune strade nei quartieri al centro delle proteste, Admiralty e Causeway sull'isola, Mongkok sulla penisola di Kowloon, e preparava il terreno legale per una nuova ondata repressiva della polizia, financo dell'esercito. Nei giorni precedenti la polizia caricava ripetutamente il presidio di Occupy Central a Mong Kok, dove migliaia di manifestanti tornavano nelle strade da cui erano cacciati.
I colloqui sono in corso al momento in cui scriviamo e dai primi lanci di agenzia risulterebbe che il governatore Leung Chun-yin abbia solo affermato che “il governo e i tre segretari ascolteranno il parere della Federazione degli studenti di Hong Kong con la massima attenzione” ma quanto a modificare il meccanismo elettorale contestato dalla piazza non se ne parla: la democrazia, quella borghese già limitata, “non è possibile” perché porterebbe al fallimento dell'economia dato che la politica verrebbe ad essere influenzata dalla maggioranza, da coloro che "guadagnano meno di 1800 dollari di Hong Kong al mese (circa181 euro)”.
Le due parti si erano preventivamente accordate affinché l'incontro si chiudesse col governo impegnato a inviare "ulteriori informazioni" a Pechino sulle richieste di democrazia di Hong Kong. Altro non è stato possibile secondo il governo dato che “Hong Kong non è un paese indipendente. È soltanto una regione amministrativa speciale e dobbiamo lavorare nel quadro fissato dal Congresso Nazionale del Popolo", ha precisato uno dei tre segretari. Cioè le decisioni vengono prese a Pechino.
Non molto rispetto alle richieste dei manifestanti che chiedevano per le elezioni per il nuovo governatore, previste nel 2017, il suffragio diretto e universale per l'elezione del capo dell'esecutivo e non la farsa del voto su candidati selezionati da un comitato nominato da Pechino e dai capitalisti della regione autonoma. I leader della Federazione degli studenti hanno manifestato la delusione per l'esito dell'incontro e si sono riservati di decidere se proseguire o interrompere gli incontri.
Nei giorni precedenti la Segretaria generale del governo Carrie Lam aveva ricordato che “il lavoro del governo sulle riforme politiche si deve basare sulla Basic Law e sulla decisione dell'assemblea legislativa nazionale”, ovvero sul meccanismo deciso da Pechino. E da Pechino il Quotidiano del Popolo , l'organo ufficiale del Partito revisionista cinese, accusava il movimento di Occupy Central di volere "l'auto-determinazione" e finanche "l'indipendenza" l'indipendenza di Hong Kong, che nessuno del movimento di protesta ha chiesto. Con l'articolo pubblicato il 19 ottobre apparivano in piena sintonia le accuse del governatore Leung che accusava Occupy Central di essere ormai "fuori controllo" e di "provocare disordini" ma soprattutto di essere finito sotto il controllo di "forze straniere di diverse nazioni e parti del mondo". E assicurava che lo sgombero delle strade era solo "una questione di tempo". L'accusa di secessione e di essere strumento nelle mani di forze straniere potrebbe aprire “legalmente” la strada anche a un intervento militare dell'esercito cinese.

22 ottobre 2014