Alle elezioni nella regione Ucraina del Donbass
Confermati i reggenti indipendentisti di Donetsk e Lugansk
Solo nella giornata del voto hanno taciuto i cannoni di Kiev

 
Si sono tenute il 2 novembre le elezioni per il presidente e il parlamento nelle due regioni separatiste di Donetsk e Lugansk, l'unico giorno nel quale hanno taciuto le artiglierie di Kiev che continuano a colpire in particolare la città di Donetsk nonostante il cessate il fuoco previsto dall'accordo di Minsk del settembre scorso, probabilmente per la presenza nel Donbass di una settantina di osservatori stranieri.
Non è nota la partecipazione ufficiale al voto dei circa tre milioni di elettori, sarebbe stata alta secondo le agenzie russe che l'hanno messa a confronto con quella delle elezioni legislative del 26 ottobre nei territori ucraini sotto controllo del governo di Kiev quando quasi la metà dei circa 36 milioni di elettori aveva disertato le urne.
Come previsto hanno vinto gli attuali “facenti funzione” di leader delle due Repubbliche, Aleksandr Zakharcenko e Igor Plotnitskij. A Donetsk Zakharcenko ha raccolto circa l'80% dei consensi espressi, oltre 765 mila voti; i resti sono andati al vice presidente del parlamento di Novorossija Aleksandr Kofman, con circa 112 mila voti e al deputato del Soviet repubblicano Jurij Sivokonenko con 93 mila voti. A
Lugansk Plotnitskij ha vinto con quasi il 64% dei voti validi, oltre 445 mila consensi distaccando gli altri due candidati fermatisi attorno al 10%.
Con percentuali di oltre il 65% dei voti validi le formazioni dei due vincitori, “Repubblica di Donetsk” capeggiata da Zakharcenko e “Pace a Lugansk” capeggiata da Plotnitskij hanno ottenuto la maggioranza nei parlamenti delle due autoproclamate repubbliche.
Nell'annunciare i risultati del voto il presidente della Commissione elettorale centrale di Donetsk, Roman Ljaghin, dichiarava che “Kiev deve mettersi l’animo in pace: il Donbass non fa più parte dell’Ucraina. Questo è un’assioma”. Mentre Zakharcenko dichiarava di essere “pronto al dialogo con loro (il governo di Kiev, ndr) ma ci aspettiamo che loro facciano dei passi adeguati”.
Il presidente ucraino Petro Poroshenko liquidava le elezioni nel Donbass definendole come una "farsa montata da organizzazioni terroristiche sotto la minaccia dei carri armati e delle mitragliatrici" e una "sfida a cui reagiremo nel modo più adeguato". Il giorno successivo le artiglierie di Kiev riprendevano a colpire Donetsk. Con le spalle ancora più coperte dall'imperialismo americano e dall'Unione europea (Ue) dopo l’entrata in vigore dall'1 novembre dell’Accordo di associazione alla Ue.
Il voto nel Donbass era riconosciuto da Mosca secondo la quale gli eletti nel Donbass hanno ricevuto dagli elettori un mandato per il ripristino della pace, da costruire con passi concreti nel dialogo tra Kiev e i rappresentanti delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk in base agli accordi di Minsk. Per il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, il voto del 2 novembre rappresenta una legittimazione della leadership delle due repubbliche, così come i referendum del maggio scorso avevano sancito la volontà delle popolazioni del Donbass di separare i propri destini da Kiev. Il leader della Crimea ritornata sotto la Russia, Sergej Aksenov, sottolineava il “legittimo diritto delle Repubbliche popolari all’autodeterminazione”. E questo è il difficile nodo che i negoziati tra le parti dovrebbero sciogliere.
Un segnale di distensione era arrivato alla vigilia del voto, il 30 ottobre, quando il presidente del consiglio ucraino Arsenij Yatsenjuk dava disposizioni all'azienda statale del gas di pagare a Mosca sia il debito pregresso, sia la fornitura fino a fine anno del gas fornito dalla Russia in accordo all'intesa definita a Bruxelles tra i governi russo e ucraino. Il lungo e difficile negoziato si era sbloccato solo grazie all’intermediazione della Ue che ha fornito le garanzie monetarie. Il governo reazionario di Kiev, coi soldi della Ue, pagherà oltre la metà dei 5,3 miliardi di dollari di debito con Mosca e pagherà in anticipo le prossime forniture. Sarà così garantito anche il flusso di gas russo all’Europa. E questa era l'urgenza dei paesi imperialisti europei.

5 novembre 2014