Esplodono le proteste antirazziali negli Stati uniti
Da quasi un mese continuano le manifestazioni in tutto il paese contro gli assassini della polizia, impuniti anche sotto l'amministrazione Obama

 
Le mamme di due ragazzi di colore uccisi nei mesi scorsi dalla polizia dal palco della manifestazione di Washington denunciavano che “sarebbero vivi se fossero stati bianchi; davanti erano esposti striscioni sui quali era scritto "Basta violenza della polizia" e "Black lives matter", la vita dei neri conta, portati dai dimostranti che erano sfilati il 13 dicembre in una delle tante iniziative di protesta che si sono svolte in tutto il paese.
Decine di migliaia di manifestanti, neri e bianchi, sono scesi in strada nelle manifestazioni nazionali del 13 dicembre per ricordare le morti di Michael Brown e Eric Garner, i due afroamericani uccisi da agenti di polizia a Ferguson nel Missouri, e a New York e contro le decisioni dei grand jury di Missouri e New York di non incriminare i poliziotti bianchi responsabili delle due morti, divenute simbolo dei continui omicidi razzisti e impuniti della polizia. Dopo quasi un mese di proteste in centinaia di città americane, la protesta antirazziale è ancora viva e ha raggiunto la capitale, fin sotto le finestre del Congresso e della Casa bianca.
Sul palco davanti al Capitol, alla cupola del parlamento americano, erano intervenuti tra gli altri la madre, la vedova e le figlie di Eric Garner, morto per aver venduto abusivamente sigarette, la madre di Trayvon Martin, ucciso perché definito in atteggiamento sospetto, i genitori di Michael Brown, la madre del dodicenne Tamir Rice, colpevole di aver impugnato un giocattolo, la madre di Amadou Diallo, il padre di John Crawford Jr., assassinato in un supermercato WalMart per aver preso in mano un fucile giocattolo per il figlio. Vittime di quella vera propria guerra
che la polizia di Obama continua a scatenare ogni giorno sulle strade dei quartieri poveri e neri d’America. Una guerra nella quale in America ogni 28 ore un nero viene ucciso, secondo uno studio denominato “Operation Ghetto Storm”.
Erano almeno 25 mila i manifestanti che hanno dato vita al corteo di Washington, altrettanti a New York dove il corteo ha attraversato e bloccato le strade di Manhattan. Fra le manifestazioni nelle altre città si segnalano quelle di Berkeley e Oakland, in California, dove la polizia è intervenuta contro i dimostranti con lacrimogeni e manganelli. Nella città californiana di Oakland la protesta è proseguita fino al 16 dicembre quando alcune centinaia di manifestanti circondavano il quartier generale della polizia e bloccavano l'autostrada, incatenandosi lungo una corsia. Almeno una trentina i manifestanti arrestati che si aggiungevano alle diverse centinaia in tutto il paese fermati durante le manifestazioni della settimana precedente.
Fra le manifestazioni principali quella del 5 dicembre a New York dove il corteo era partito da Foley Square, a due passi dal comune diretto dal sindaco Bill de Blasio, e si era diretto verso il ponte di Brooklyn, bloccandolo. Schivando i presidi della polizia gruppi di manifestanti bloccavano altri accessi a Manhattan, paralizzando gran parte del traffico newyorkese. Nella stessa giornata centinaia di manifestanti tentavano anche di interrompere la cerimonia dell’inaugurazione dell’albero di natale a Rockefeller Center ma erano respinti dalla polizia che aveva blindato l’intera; centinaia di manifestanti si dirigevano allora alla Grand Central Station, occupandola.
Cortei e blocchi stradali si svolgevano in altre città, con un gran numero di manifestanti soprattutto a Boston, Pittsburgh, Chicago e Miami. Altre manifestazioni e scontri con la polizia si registravano il 7 e 8 dicembre a Berkley, in California, dove la polizia usava ancora gas lacrimogeni e fumogeni per disperdere la protesta.
Dopo aver buttato acqua sul fuoco e invitato a manifestazioni pacifiche, non sempre ascoltato, Obama provava a contenere l'esplosione delle proteste antirazziali annunciando la cancellazione del cosiddetto "racial profiling", la pratica che mette il fattore razziale alla base dell'intervento delle “forze dell'ordine”. Se Eric Garner, uno degli assassinati dalla polizia, fosse stato un bianco sarebbe stato solo arrestato e non aggredito da un gruppo di agenti fra i quali uno lo aveva preso da dietro stringendogli il collo fino a provocarne il soffocamento nonostante dicesse “non respiro”. Quella del “racial profiling” è una pratica razzista denunciata più volte come illegale dalle associazioni per la difesa dei diritti civili, una denuncia ripetuta tutte le innumerevoli volte nelle quali un nero era assassinato dalla polizia e assolto, anzi nemmeno chiamato a giudizio. Obama e il suo ministro della giustizia Eric Holder, anche esso afroamericano, l'hanno tenuta vergognosamente in vita e solo con le piazze piene di manifestanti si decidevano a annunciare una modifica delle regole. Troppo tardi per eliminare le loro responsabilità politiche degli assassini della polizia.

17 dicembre 2014