Quattro splendide poesie antirevisioniste di Mao
(Da "Il Bolscevico" n.3/1991)
Queste quattro entusiasmanti poesie sono state scritte da Mao tra il 1961 e il 1965, nel pieno della polemica ideologica e dello scontro politico con i partiti revisionisti (alcuni dei quali proprio nei nostri giorni o si sono sciolti o sono stati soppressi o si sono rifondati anche nominalmente su basi socialdemocratiche o vi si apprestano, com'è il caso del partito di Occhetto) capeggiati da quel rinnegato Krusciov che aveva, pochi anni prima, al XX Congresso del PCUS, rovesciato con un colpo di stato il socialismo di Lenin e di Stalin in Urss e riportato la borghesia al potere e tentava di imporre all'allora movimento comunista internazionale e ai partiti comunisti del mondo intero una strategia di capitolazione all'imperialismo e alla democrazia borghese e di abbandono della via universale della Rivoluzione d'Ottobre, in nome dell'evoluzione pacifica del capitalismo in socialismo e del gradualismo riformista che erano stati al fondo della separazione dalla Seconda Internazionale socialdemocratica e della fondazione della Terza Internazionale.
Certo allora i revisionisti non parlavano scopertamente, come oggi, di rigettare il comunismo né si azzardavano a invocare, come fa il neoliberale Gorbaciov e il suo gregge di pecorelle smarrite ansiose di tornare all'ovile, un "mondo unico e interdipendente" ove si fossero d'incanto volatizzati gli antagonismi che minano nel profondo il sistema imperialista e lo pongono in conflitto permanente coi popoli del mondo. Allora i revisionisti si spacciavano per "comunisti creativi" impegnati a svecchiare il marxismo-leninismo e indirizzavano l'accusa di "dogmatici" a quanti difendevano Stalin e si opponevano a qualsiasi revisione dei principi rivoluzionari del marxismo-leninismo. Agli opportunisti e agli sprovveduti del tempo poté sembrare persino eccessiva la reazione che Mao, alla testa del Partito Comunista Cinese e degli autentici marxisti-leninisti del mondo intero, oppose al revisionismo, eppure nessuno più di Mao sapeva che quella di Krusciov non era una semplice deviazione di destra in grado di essere fisiologicamente riassorbita ma l'inizio della demolizione sistematica, che allora riguardava più la sfera ideologica che l'ambito sociale, più la politica che l'economia, che sarebbe inevitabilmente sfociata, come la realtà di oggi sta ampiamente confermando, nel tentativo di far tabula rasa dell'intera costruzione e, persino, dell'idea stessa del socialismo.
In quegli e negli anni successivi Mao, e noi suoi discepoli in Italia, usava parole di fuoco contro Krusciov e i rinnegati revisionisti e combatteva aspramente la banda revisionista cinese di Liu e Deng; se non lo avesse fatto questi mostri sarebbero riusciti nel loro intento di seccare l'intera quercia del marxismo-leninismo e avremmo aspettato chissà quanti anni prima che un virgulto tornasse a germogliare dalle sue radici. Invece, grazie a lui, non tutto è andato perso e noi siamo qui a testimoniare che almeno qualche ramo è ben saldo a quel tronco e conosce nuove primavere.
Benché Mao amasse ripetere di non considerarsi un poeta di professione e invitasse le giovani generazioni a non considerare un modello la sua scelta dello stile tradizionale cinese - che presenta peraltro ardue difficoltà prima che ne siano appresi gli schemi metrici e le regole compositive formali e di linguaggio - il pathos suscitato da queste quattro poesie è davvero travolgente se riesce a catturare prima il cuore, toccando le corde più segrete delle emozioni, poi la mente, che ha bisogno, si sa, di convincenti idee prima di essere conquistata, e infine trascina il lettore, al punto di rendergli insopportabile l'idea di essere relegato al rango di spettatore partecipe senza diventare attore della stessa battaglia senza quartiere che gli eroi, il popolo e i marxisti-leninisti, stanno conducendo contro i geni malefici, l'imperialismo e i revisionisti. Gli eroi prendono le sembianze ora del saggio re-scimmia Sun, ora di uomini coraggiosi che non temono le avversità atmosferiche più tremende né gli animali più feroci, ora della gigantesca e ben radicata acacia, ora infine del peng, un uccello della mitologia cinese così gigantesco da oscurare il sole quando si leva alto nel cielo.
Specularmente l'imperialismo ora è il demone, nemico infernale, ora la tigre, di carta dal punto di vista strategico ma dotata nella realtà di denti d'acciaio, mentre i revisionisti vengono sprezzantemente assimilati al monaco balordo, all'orso, ai cattivi insetti, mosche o formiche che siano, e all'atterrito passero.
Dietro ad allegorie che si prestano a più chiavi di lettura troviamo sempre una chiarezza espositiva cristallina, senza che ne abbia a soffrire la potenza evocativa delle immagini. La sua è una poesia militante che rifugge dalla pura contemplazione di tanti poeti conservatori e trasuda di spirito educativo non meno della sua prosa politica. Sa ricorrere con maestria a paragoni e metafore, ad associazioni di idee e a racconti fantastici e sa mescolarli sapientemente in immagini liriche tanto efficaci perché parlano comunque della vita e della lotta degli uomini per l'emancipazione, dandone un affresco in cui gli oppressi non possono non riconoscersi.
Non è possibile in questa sede dilungarsi in una presentazione più articolata delle quattro poesie, come invece sarebbe necessario, tuttavia vogliamo proporvi rapidissime notazioni che ne agevolino la lettura.
 

Replica al compagno Kuo Mo-jo
17 novembre 1961

Non appena si muove la grande terra, colpo di vento, di tuono
ed ecco lo spirito, da un pallido mucchio d'ossa apparso.
Il monaco: un balordo, ma si può ancora rieducarlo;
il demone: nemico infernale, non può che distruggere.
Scimmia d'oro, ci vogliono mille sacrosante bastonate,
per ripulire da diecimila miglia di sporcizia il cielo di giada.
Oggi si acclama Sun, il grande saggio,
perché riappare il pesante odore del demone.
Replica al compagno Kuo Mo-jo (1961) fu composta allorché Mao vide vanificare uno dietro l'altro ogni tentativo di rovesciare la direzione kruscioviana del PCUS e di riportarla alla ragione del marxismo-leninismo. Il monaco balordo revisionista non riesce a ravvedersi neppure con un sacco di legnate, tanto egli è deciso a dar nuovo credito e a giurare su una presunta natura pacifica dell'imperialismo, che invece rimane per i popoli del mondo il nemico infernale da distruggere.
Nubi invernali
26 dicembre 1962

Nubi invernali gravide di neve, bianchi fiocchi volteggiano,
diecimila fiori appassiti, innumerevoli, a un tratto così rari.
Alto il cielo, a raffiche, il gelo dilaga avido,
grande la terra, poco, quanto poco calore, un alito.
Soltanto uomini coraggiosi danno caccia alla tigre,
ancor minore è la paura che i valorosi hanno dell'orso.
Fiori di pruno per la gioia che il grande cielo sia innevato;
rigide mosche congelate, e nessuno che se ne stupisca.
Nubi invernali (1962), scritta in occasione del suo sessantanovesimo compleanno (settantesimo per la numerazione cinese), è l'efficace metafora delle prove tremende cui sono chiamati i popoli del mondo e i combattenti per il socialismo davanti al tradimento e quindi alla resa dei revisionisti all'imperialismo e al liberalismo. Ciononostante la natura sconvolta dalle intemperie come il mondo lo è dalla lotta di classe non appare mai ostile a quegli uomini coraggiosi ma è tutt'uno con loro, fin quasi a stupirsi delle loro gesta. Sorride loro e li circonda di gioia mentre i revisionisti finiscono come rigide mosche congelate dalle avversità.
Replica al compagno Kuo Mo-jo
9 gennaio 1963

Piccolo, piccolo il globo terrestre,
ci sono due o tre mosche, urtano le pareti.
Ronzano, ronzano:
alcune furiosamente irritate,
alcune rumorosamente querule.
Formiche sull'acacia, orgoglio del loro grande impero,
formiche scuotono l'albero - facile a dirsi.
Ora, al vento dell'ovest cadono le foglie su Ch'ang-an,
stridono frecce in volo.
Quanti compiti,
subito urgenti;
capovolgere cielo e terra,
il tempo stringe.
Diecimila anni - troppo lunghi,
bisogna lottare duramente, senza sosta.
Quattro mari in rivolta, nubi e acque infuriate,
tremano i cinque continenti, scatenati il vento e il tuono.
Dovete spazzarli via, tutti quanti, i cattivi insetti:
questi son gli unici nemici.
 
Replica al compagno Kuo Mo-jo (1963) è la risposta fulminante agli attacchi che i revisionisti kruscioviani sferrano contro la Cina di Mao. Costoro sono presentati come mosche fastidiose e come formiche che, illuse, credono di scuotere e sradicare la grande acacia. Il vento dell'Ovest sommerge di foglie la Cina di Mao che viceversa non si lascia intimidire rispondendo con il lancio di frecce. La seconda strofa cambia ritmo, si fa incalzante per rendere ancor più stridente il contrasto tra la grandezza dei compiti che ci aspettano se vogliamo dare libero sfogo al socialismo e la piccolezza degli insetti revisionisti, che devono essere spazzati via senza pietà né indugio.
Dialogo d'uccelli
Autunno 1965

Un "peng" dispiega le ali,
si alza in volo a novantamila "li"
e scatena un ciclone formidabile.
Il cielo alle spalle, guarda in basso:
dovunque gli uomini hanno innalzato opposte barriere.
Migliaia di fuochi squarciano il cielo,
milioni di proiettili straziano la terra,
sul fondo di un cespuglio
un passero se ne sta immobile impietrito da terrore.
"Questa è davvero la fine del mondo!
Oh! Scappiamo, presto, ad ali spiegate."
"Ma dove vuoi andare, me lo vuoi dire?"
Rispose il passero:
"C'è un palazzo di giada su una montagna fatata.
Non lo sai che due anni fa fu stipulato un patto a tre (*)
al chiaro della bella luna d'autunno?
E poi è pieno di cibo:
con le patate cotte a puntino
ci sarà perfino tanto goulasch"
"Basta taci, queste sono solo vuote parole.
Non vedi che il mondo è sconvolto dalla tempesta."

(*) Si riferisce al trattato per la interdizione parziale degli esperimenti nucleari firmato a Mosca il 25 luglio 1963 fra USA, URSS e Gran Bretagna
Dialogo d'uccelli (1965) è dominato dal contrasto tra la figura superba, intrepida e audace del peng, che guarda al disordine sulla terra come a una cosa positiva, e il passero meschino e vile che ne è atterrito e cerca un'improbabile pace nella pacificazione tra le parti in lotta. Ripropone il contrasto tra proletariato e borghesia e tra socialismo e capitalismo. I marxisti-leninisti amano la tempesta della lotta di classe mentre i revisionisti la temono suscitando spregevolmente nelle masse il timore che essa possa portare alla fine del mondo. L'opera di corruzione della coscienza rivoluzionaria fatta da quest'ultimi si spinge fino al punto di promettere benessere e cibo e volontà se solo i popoli rinunceranno alla lotta all'imperialismo e lo asseconderanno. Ecco perché il peng zittisce bruscamente il passero e saluta con orgoglio gli sconvolgimenti di classe. Da una cosa cattiva nasce una buona, Mao già pensa alla Grande rivoluzione culturale proletaria che di lì a qualche mese scatenerà dimostrando la grande vitalità del socialismo e che il revisionismo, la borghesia e l'imperialismo sono destinati al fallimento.
Vogliamo terminare queste rapide note ricordando cinque splendidi versi tratti dalla poesia "Ritorno al monte Chinkang", scritta sempre nel '65: sono di incitamento formidabile nella lotta per il socialismo.

Si può prendere la luna nel firmamento
come si afferra la testuggine in fondo al mare
Si può tornare gioiosi a ridere e a cantare;
non c'è niente di impossibile al mondo
per chi osa sfidare le vette più alte.

9 febbraio 2011