Clamorosa "sentenza" degli ispettori del lavoro sul più grande call center italiano
Atesia deve assumere a tempo indeterminato tutti i sui 3.200 precari
Scavalcata l'inaccettabile circolare di Damiano. Il padrone Tripi minaccia il trasloco in Romania. I lavoratori annunciano una manifestazione a Roma

È durata poco più di un anno l'indagine dell'Ispettorato provinciale di Roma del lavoro in Atesia, il più grande e famoso call center italiano per verificare se vi fossero irregolarità e illegalità nelle tipologie di contratti di lavoro utilizzati. Al termine, la "sentenza" emessa, in una relazione che porta la data del 22 agosto scorso, non lascia dubbi: tutti i lavoratori precari (ben 3.200) assunti, con contratti di collaborazione a progetto (prima ancora con contratti coordinati continuativi) svolgono a tutti gli effetti un lavoro subordinato. Perciò, è la conclusione inequivocabile, in base all'art. 2094 del Codice civile, essi devono essere inquadrati nel lavoro dipendente. Gli ispettori del lavoro hanno insomma denunciato una situazione di totale violazione delle leggi sul lavoro, di uso spregiudicato e infame del precariato venutasi a determinare anche grazie alla complicità dei vertici sindacali confederali, che per anni l'hanno permessa e coperta. Una situazione intollerabile posta all'attenzione a seguito della lotta condotta con grande coraggio e caparbietà dai lavoratori interessati, sfidando la repressione padronale e rischiando il licenziamento.
La suddetta indagine fu infatti promossa il 27 luglio 2005 da 5 esponenti del Collettivo Precari Atesia con un esposto nel quale scrivevano: "I sottoscritti chiedono un intervento urgente di codesta Direzione provinciale inteso a verificare la natura dei rapporti di lavoro costituiti da Atesia Spa con gli attuali operatori di call center. A tal fine - continuavano - rappresentano che la generalità degli attuali operatori, in numero di circa 4 mila unità sono tutti stati giuridicamente inquadrati e retribuiti con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, ovvero con contratto progetto. Tuttavia, prescindendo dalla qualificazione giuridica del contratto, i sottoscritti ritengono che per le modalità operative in atto, i contratti instaurati siano tutti di tipo subordinato". E debbono essere comprensivi dei relativi diritti sindacali: la paga contrattuale, le ferie, l'indennità di malattia, il diritto alla maternità e altro ancora.
Nel frattempo i dipendenti Atesia sono diventati 3.200, a seguito di accordi sindacali siglati tra direzione dell'azienda e Cgil, Cisl e Uil, l'ultimo l'11 aprile scorso, che invece di portare alla stabilizzazione del posto di lavoro, come veniva affermato, ha prodotto una riduzione di 800 addetti, ha concesso la possibilità di ricorrere a un numero spropositato ed abnorme dei contratti di apprendistato, non ha migliorato le condizione di supersfruttamento vigenti, né ottenuto il rispetto delle normali tutele sindacali e contrattuali. Accordi sottoscritti in modo verticistico e antidemocratico, contro il consenso dei lavoratori.
Il giudizio dell'Ispettorato del lavoro, di fatto, scavalca e va oltre la circolare n.17 del 14 giugno 2006 del ministro del Lavoro, Cesare Damiano, spacciata come un primo passo importante per mettere ordine e sanare le irregolarità nell'utilizzo dei contratti di collaborazione a progetto (co.co.pro.) a partire dai call center. Un atto questo, si badi bene, in applicazione dell'odiata legge 30 varata dal governo Berlusconi e in relazione al Ddl 276/2003, un atto già annunciato a suo tempo dall'ex ministro del welfare, il leghista Roberto Maroni.
La suddetta circolare, ispirata dalla tesi diessina secondo cui c'è anche una "flessibilità buona" da difendere e promuovere, più che dare un aiuto normativo ai lavoratori e alle loro rivendicazioni, in primis l'assunzione nel lavoro dipendente a tempo indeterminato, finisce per fornire una via d'uscita ai padroni per poter continuare a svolgere impunemente le loro attività con i contratti precari. Come? Facendo una distinzione artificiosa e non rispondente al vero tra dipendenti impegnati nell' in bound, ossia nel fornire di norma informazioni telefoniche, da considerarsi lavoro subordinato; e dipendenti impegnati nell' out bound, ossia in indagini statistiche, ricerca di mercato, proposte di vendita, da considerarsi, secondo il ministro, "lavoro genuinamente autonomo" e quindi inquadrabile con i contratti a progetto parasubordinati. La realtà è che nei call center tutti gli operatori svolgono lavoro subordinato e non c'è ombra di lavoro autonomo non solo quanto a orari, ritmi, luogo e strumenti di lavoro ma anche per quanto riguarda l'organizzazione e la determinazione del risultato. Non c'è autonomia se ricevo un compito da un'impresa e devo svolgerlo nella sua sede con i suoi mezzi. Ma la circolare del ministro dell'Unione, richiamando il Dlg.vo 124/2004 interveniva anche nelle funzioni del Servizio ispettivo assegnando ad essi compiti "informativi" verso le aziende sulla corretta tipologia contrattuale come attività "preliminare all'avvio ... di una vigilanza mirata a verificare la genuinità delle collaborazioni a progetto". Come dire, prima ti avviso, poi faccio sul serio e ti ispeziono.
Tuttavia, al padrone dell'Atesia, vicino politicamente a Prodi e Rutelli dei quali è sostenitore economico, e agli altri padroni del settore (250 mila addetti in 700 aziende) non è piaciuta neppure la circolare di Damiano, vissuta comunque come una limitazione. Ma è contro il responso degli ispettori del lavoro che si sono scatenati, lanciando anatemi, paventando catastrofi, nel senso di chiusure e licenziamenti, minacciando di traslocare le loro attività nei paesi dell'Est, Romania, Slovenia, ecc. dove flessibilità, bassi salari e assenza di diritti sindacali imperano senza colpo ferire. Sono però minacce difficilmente attuabili considerando che gran parte delle commissioni ai call center sono di parte pubblica (amministrazioni, enti, servizi pubblici) che potrebbero agilmente disdirle.
Minacce che comunque non fanno paura ai lavoratori di Atesia ben determinati a portare la loro battaglia fino all'ottenimento delle loro rivendicazioni con in testa l'assunzione a tempo indeterminato nei contratti del lavoro dipendente. Ciò che hanno intimato gli ispettori del lavoro che però non è una cosa così automatica, come potrebbe sembrare. Nella storia di Atesia già nel 1998 ci fu un'ispezione, furono inoltrati diversi esposti alla magistratura intrapresi dai lavoratori e dell'Inps, per la parte che lo riguarda e cioè l'evasione contributiva. Furono resi pubblici dossier dettagliati affinché tutti fossero informati che mostro di precarietà era diventato questo call center. Senza però ottenere sin qui l'esito sperato.
Nell'assemblea nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori dei call center, svoltasi a Roma il 9 settembre, è stato deciso di proclamare una giornata di lotta per il 29 settembre prossimo con corteo nella capitale e contemporaneamente di chiedere un incontro con ministro Damiano affinché dia seguito a quanto stabilito dagli ispettori del lavoro. Al centro della contestazione: il sistematico uso di ogni forma di precariato, anche quelle illegittime, i turni massacranti, gli orari totalmente flessibili, l'abuso del contratto part-time, l'uso del call center per esternalizzare le attività e precarizzare i rapporti di lavoro. Queste le rivendicazioni messe a punto: trasformazione di tutti i contratti precari in contratti a tempo indeterminato full-time; riduzione degli orari a parità di salario e diversa organizzazione degli orari; inquadramenti adeguati alla professionalità acquisita; blocco dei processi di esternalizzazione e di precarizzazione del lavoro; reintegro di tutte le lavoratrici e i lavoratori licenziati.
Diversamente dai partiti dell'Ulivo e degli stessi vertici sindacali che hanno commentato con preoccupazione e disaccordo l'esito degli ispettori, noi del PMLI appoggiamo in pieno la lotta dei precari dell'Atesia degli altri call center e sosteniamo le loro giuste rivendicazioni.

20 settembre 2006