Alcune riflessioni su un diversivo creato dai neorevisionisti e dai trotzkisti

Dove porta la bandiera di Guevara

 

 

di
GIOVANNI SCUDERI

Per noi marxisti-leninisti è chiaro come il sole che il pensiero, l'opera, la vita e la figura di Ernesto Guevara, detto il Che, non hanno nulla a che spartire col marxismo-leninismo-pensiero di Mao, con la rivoluzione socialista e col socialismo.

Non è così per tanti giovani che ancora adesso scendono in piazza sotto la bandiera del guerrigliero argentino e indossano con orgoglio le magliette con sopra stampata la sua effige. Per essi Guevara è un modello di rivoluzionario, l'esempio da imitare e da seguire. In ciò favoriti e incoraggiati dal PRC e dai gruppi trotzkisti che hanno tutto l'interesse politico a deviare le nuove generazioni di rivoluzionari dalla via maestra dell'Ottobre.

è necessario, perciò, da parte nostra dire fino in fondo ciò che pensiamo di Guevara, sollecitati in tal senso anche da alcuni giovani comunisti del PRC, per aiutare i giovani autenticamente rivoluzionari a farsi un'idea corretta e di classe di Guevara per non sprecare le loro fresche e importanti energie dietro insegne che non portano alla rivoluzione socialista e al socialismo, e che la pratica ha dimostrato essere simboli dell'individualismo, dell'avventurismo e del trotzkismo.

Rispetto a Guevara, come del resto a qualsiasi personaggio storico, bisogna avere un atteggiamento scientifico e materialistico, non inficiato da idealismo e misticismo, men che mai da sentimentalismo vissuto come ``passione durevole'', secondo una parola d'ordine del PRC.

Bisogna sempre analizzare la realtà con una visione di classe, attenersi ai fatti, fare un bilancio critico e autocritico dell'operato confrontandolo con l'esperienza storica e rivoluzionaria del movimento operaio internazionale e tenendo presente gli insegnamenti del marxismo-leninismo-pensiero di Mao.

Noi siamo d'accordo con Mao quando afferma che ``noi non crediamo a niente altro se non alla scienza, ciò significa che non bisogna avere miti. Sia per i cinesi che per gli stranieri, si tratta di vivi o morti, ciò che è giusto è giusto, ciò che è sbagliato è sbagliato, altrimenti si ha il mito. Bisogna liquidare i miti''(1).

Usando questa chiave materialistica e di classe, poniamoci allora alcune domande su Guevara, senza farci condizionare dalla sua immagine fisica e dalla drammaticità della sua morte, non a caso tanto pubblicizzate dai trotzkisti e dai neorevisionisti per colpire l'immaginazione e i sentimenti dei giovani rivoluzionari in modo da far passare in secondo piano le questioni politiche ed ideologiche.

La formazione

Cominciamo col dire qualcosa sulla sua formazione. Guevara nasce a Rosario, in Argentina, il 14 giugno 1928, da una famiglia borghese da cui riceve una formazione borghese che egli coltiva fin quando diventa adulto. A 25 anni è ancora seguace di Freud e della psicanalisi. Questa origine borghese e questa formazione borghese non l'abbandoneranno mai. Nemmeno quando a 26 anni, in Guatemala, legge alcune opere di Marx, Lenin e Mao, e quando partecipa, due anni dopo, inizialmente come medico e poi come spalla di Castro, alla rivoluzione cubana.

Pur gettandosi anima e corpo nella rivoluzione, e dando prova di abnegazione, di spirito di sacrificio, di coraggio e di disprezzo del pericolo, -- sono questi gli aspetti che più colpiscono i giovani rivoluzionari che non hanno ancora maturato la coscienza di classe e marxista-leninista -- egli però non riesce a trasformare la propria concezione del mondo e a rigettare l'individualismo, l'idealismo e l'avventurismo di cui era impregnato. Anche perché la sua conoscenza del marxismo-leninismo è mediata dai revisionisti e dai trotzkisti come Mandel, Karol e Sartre. E inoltre perché non aveva alle sue spalle un partito marxista-leninista che lo aiutasse a proletarizzarsi, ad avere una concezione proletaria del mondo e ad applicare correttamente il marxismo-leninismo.

Da rivoluzionario democratico borghese autodidatta e in mezzo a rivoluzionari del suo stesso tipo diventava per lui praticamente impossibile essere diverso da quello che era. Da sempre egli è stato vittima, prima, durante e dopo la rivoluzione cubana, dell'avventurismo romantico e dell'umanesimo paracristiano, che da giovane lo avevano spinto ad attraversare quasi tutta l'America Latina e a operare, come volontario laureando in medicina, in un lebbrosario peruviano.

La qualifica di avventuriero se la dà lui stesso quando, il 1· aprile '65, prima di lasciare Cuba per l'impresa guerrigliera nel Congo (attuale Zaire), scrive in una lettera ai suoi genitori: ``Molti mi diranno un avventuriero, e lo sono; solo che di un tipo diverso, di quelli che rischiano la pelle per dimostrare le proprie verità''(2).

Con ciò conferma che i suoi sentimenti, il suo carattere e il suo approccio verso la rivoluzione non erano affatto mutati nonostante fossero trascorsi oltre 6 anni dalla vittoria della rivoluzione cubana. Erano rimasti quegli stessi del 1955, allorché si unì a Castro ``per un vincolo di romantica simpatia e la considerazione che valeva la pena morire su una spiaggia straniera per un ideale così puro''(3).

Nella corrispondenza con i suoi genitori e familiari affiora più chiaramente che al centro della sua vita c'è l'``io'', la ricerca più di se stesso che la causa dell'emancipazione del proletariato. Sei mesi dopo la vittoria della rivoluzione cubana, nel luglio del 1959, scrive alla madre queste parole: ``Sono sempre lo stesso solitario di un tempo, alla ricerca della mia strada, senza aiuto personale, ma possiedo ora il concetto del mio dovere storico... mi sento qualcosa nella vita, non solo una potente forza interiore, che ho sempre sentito, ma anche una capacità di comprensione per gli altri e un assoluto senso fatalistico della mia missione che mi toglie ogni timore''(4).

Non è quindi un caso che in tutti i suoi scritti e discorsi ami definirsi un ``ribelle'', un ``rivoluzionario'', più che un comunista. Addirittura sembra prendere le distanze dai comunisti. In un intervento all'Onu, nel dicembre '64, afferma: ``La mia storia di rivoluzionario è breve: comincia realmente sul `Granma' (il battello su cui erano imbarcati gli 82 rivoluzionari che vanno a liberare Cuba dalla dittatura fascista di Batista, n.d.a.) e continua tuttora. Non ho mai appartenuto al partito comunista fino ad oggi che sto a Cuba''(5). E questo mentre aggiunge subito dopo: ``Possiamo proclamare tutti di fronte a questa assemblea che il marxismo-leninismo è la teoria politica della rivoluzione cubana''.

In realtà egli agisce a lungo, finché non cadrà teoricamente e praticamente nel trotzkismo, sotto l'influenza di José Martí, il condottiero democratico borghese della guerra di liberazione nazionale cubana contro i colonialisti spagnoli, caduto in combattimento il 19 maggio 1895.

Un anno dopo la vittoria della rivoluzione cubana, siamo esattamente al 28 gennaio 1960, Guevara lo esalta ancora così in un raduno di massa: ``Martí era nato, aveva sofferto ed era morto per l'ideale che noi adesso stiamo realizzando, e non solo: Martí fu il mentore della nostra rivoluzione, l'uomo alla cui parola è stato sempre necessario ricorrere per interpretare giustamente i fenomeni storici che stavamo vivendo, l'uomo alla cui parola e al cui esempio bisognava rifarsi ogni volta che nella nostra pratica si voleva dire o fare qualcosa di importante''(6). Da queste parole risulta chiaramente che è Martí il suo modello di vita, il suo maestro ideologico e politico e il suo punto di riferimento programmatico, e non i grandi maestri del proletariato internazionale e l'esperienza storica della rivoluzione socialista e degli Stati socialisti. E ciò nonostante che Alberdo Granado, l'amico del viaggio compiuto in moto in America Latina tra il dicembre del '51 e il luglio '52, abbia assicurato a ``Liberazione'', organo del PRC, dell'11 giugno '95 che ``è a partire dall'esperienza del Guatemala (nel 1954, n.d.a.) che il Che ha sentito l'esigenza di approfondire la conoscenza del marxismo. Essendo un uomo molto studioso e profondo, non ha letto dei manuali, ma direttamente gli scritti di Mao Zedong, di Lenin, di Marx''.

Non abbiamo alcun motivo per mettere in dubbio questa informazione. Solo che rileviamo che nel pensiero e nell'opera di Guevara non c'è traccia degli insegnamenti del marxismo-leninismo-pensiero di Mao. Lo dimostra anche il fatto che uno dei suoi primi viaggi all'estero, in rappresentanza del governo cubano, lo fa, nell'agosto '59, in Jugoslavia, il primo Stato revisionista della storia, già in rotta di collisione con l'allora campo socialista, riportandone una buona impressione.

Il suo biografo ed estimatore, il cattolico trotzkista Roberto Massai, nel suo libro ``Che Guevara, pensiero e politica dell'utopia'', citando un articolo del suo eroe scritto su ``Verde Olivo'' del 23 novembre '59 ci informa che egli ha definito la Jugoslavia, dopo essersi incontrato con Tito, ``il più interessante dei paesi visitati'', anche per ``i suoi complessi e interessanti rapporti sociali'', ``l'unico paese comunista che goda di una libertà di critica molto grande'' e ne esalta l'autogestione borghese definendola un ``capitalismo imprenditoriale, con una distribuzione sociale dei profitti''. In ogni caso è un dato di fatto che egli inizialmente e per un certo periodo appoggia e prende come modello per la costruzione del socialismo insieme alla Jugoslavia di Tito, il ``socialismo'' revisionista della Cecoslovacchia.

La rivoluzione cubana

Guevara, dopo Castro e sotto la direzione di questi, ha dato il contributo più importante alla vittoria della rivoluzione antifascista e antimperialista cubana. Una rivoluzione atipica, originale, rispetto alle rivoluzioni dirette dal proletariato e dal suo partito comunista fino ad allora conosciute, una rivoluzione che raggiunge la vittoria in circostanze particolari ed anche fortuite e in presenza di una situazione internazionale in cui il vento della rivoluzione soffiava molto forte in tutto il mondo e il socialismo trionfante fronteggiava, condizionava e teneva a bada l'imperialismo. Basti pensare alla sottovalutazione, se non alla simpatia, iniziale e fino alla vittoria di cui godette da parte dell'imperialismo Usa.

Una rivoluzione iniziata senza una strategia, una tattica e un programma ben precisi e delineati, caratterizzata dallo spontaneismo e dal volontarismo, basata esclusivamente sulla volontà rivoluzionaria, sulle capacità militari e guerrigliere e sull'eroismo individuale di una pattuglia di 82 uomini; una rivoluzione comunque non pensata, organizzata e programmata come una tappa della rivoluzione socialista. E anche quando Castro ne proclama improvvisamente il carattere socialista, il 16 aprile '61, a oltre due anni dalla vittoria, non ne dà una spiegazione e non espone una strategia.

``Prima dello sbarco del Granma -- racconta Guevara -- predominava una mentalità che fino a un certo punto poteva chiamarsi soggettiva: cieca fiducia in una rapida esplosione militare e fede ed entusiasmo di poter liquidare il potere batistiano con una repentina sollevazione popolare combinata con scioperi rivoluzionari spontanei che avrebbero portato alla caduta del dittatore. Il movimento era l'erede diretto del Partito ortodoxo (un partito borghese cubano nelle cui fila militava Fidel Castro, n.d.a.) la cui parola d'ordine era: `Onore contro denaro'. Cioè la onestà amministrativa come idea principale del nuovo governo cubano''(7).

In altri scritti e occasioni Guevara ritorna sugli stessi concetti. Non tanto per spiegare, in senso critico e autocritico, come erano andate effettivamente le cose, ma per esaltare, teorizzare e propagandare la mentalità e l'azione anarcoide, spontaneista e avventurista del gruppo dirigente della rivoluzione cubana.

In una lettera a uno scrittore argentino scrive compiaciuto: ``Questa rivoluzione è la più genuina creazione dell'improvvisazione... il caos più perfettamente organizzato dell'universo. E questa rivoluzione è così perché ha camminato molto più rapidamente della sua ideologia anteriore. In fin dei conti Fidel Castro era un aspirante deputato per un partito borghese, così borghese e così rispettabile come poteva essere il partito radicale in Argentina (un partito espressione della media borghesia, n.d.a.) che seguiva le orme di un leader scomparso, Eduard Chibas, ...e noi, che lo seguivamo, eravamo un gruppo di uomini con scarsa preparazione politica, solo una carica di buona volontà e un'onestà congenita. Così gridavamo: `Nell'anno '56 saremo eroi o martiri'. Un po' prima avevamo gridato, o meglio aveva gridato Fidel: `Onore contro denaro'...

Così è nata questa rivoluzione, così si andavano creando le sue parole d'ordine e così si cominciò, a poco a poco, a teorizzare nei fatti per creare un'ideologia che veniva alla coda degli avvenimenti''(8).

In effetti inizialmente grande era il caos ideologico e politico nella testa dei rivoluzionari cubani. Quando si trovano in Messico e preparano lo sbarco a Cuba non escludono a priori nemmeno la possibilità di fare un golpe, purché ``basato sui principi'' e avesse un programma.

Contestando un membro del Movimento del 26 luglio fondato nel 1955 su iniziativa di Castro dopo il fallito assalto della caserma del Moncada, che proponeva di fare un golpe sullo stesso stile di Batista (il dittatore fascista allora al potere a Cuba), Guevara non respinge la proposta in toto ma l'accetta a determinate condizioni. Lo racconta egli stesso con queste parole: ``Io gli spiegavo che dovevamo fare un golpe basandoci sui principì, che era altrettanto importante sapere ciò che avremmo fatto una volta al potere''(9).

I rivoluzionari cubani scoprono quelle verità, anche le più elementari, già svelate e teorizzate dal marxismo-leninismo-pensiero di Mao, man mano che procedono nella rivoluzione e per esperienza pratica. Scoprono la necessità della riforma agraria per ``una imposizione dei contadini''(10). Capiscono la necessità di collegarsi alla classe operaia e ai lavoratori e di coinvolgerli nella lotta rivoluzionaria dopo uno sciopero generale spontaneo svoltosi a Santiago di Cuba. ``Questo fenomeno popolare -- narra Guevara -- servì a farci rendere conto della necessità di inserire nella lotta per la liberazione di Cuba la componente sociale costituita dai lavoratori''(11).

Solo otto mesi prima della vittoria, comprendono l'importanza di ``dare alla rivoluzione una teoria e una dottrina''(12). Sottointendendo quelle scaturite dalla loro pratica rivoluzionaria e non il marxismo-leninismo-pensiero di Mao. E lo dimostra anche il fatto che essi considerano l'avanguardia rivoluzionaria non il Partito ma l'``Esercito Ribelle'' che educano secondo gli insegnamenti di Martí. Lo spiega Guevara con queste parole: ``L'Esercito Ribelle è l'avanguardia del popolo cubano e quando ci riferiamo al suo progresso tecnico e culturale, dobbiamo conoscere il significato moderno di queste cose. Abbiamo già cominciato simbolicamente la sua educazione con una conferenza presieduta quasi esclusivamente dallo spirito e dall'insegnamento di José Martí''(13).

Indubbiamente la rivoluzione cubana costituisce un'importante vittoria del popolo cubano e dei popoli di tutto il mondo, un grosso contributo all'esperienza storica della guerra di liberazione nazionale e della lotta antifascista e antimperialista. Ma date le sue caratteristiche, particolarità e circostanze storiche e politiche non poteva certo essere teorizzata come un modello valido per tutti i popoli dell'America Latina e degli altri continenti.

L'errore capitale di Guevara consiste proprio nel fatto di non aver capito la singolarità e l'eccezionalità della rivoluzione cubana e di aver dato ad essa un ``valore universale''(14) e un ``contenuto universale''(15) fino al punto di tentare di esportarla in prima persona. Ciò non è solo un atto di superbia e di sopravvalutazione dei fatti e di se stesso. è soprattutto una violazione delle leggi oggettive della rivoluzione, un tentativo di voler costituire un terzo modello alternativo rispetto a quelli della rivoluzione russa e della rivoluzione cinese. In un momento in cui, peraltro, i marxisti-leninisti di tutto il mondo, con alla testa Mao, si battevano contro i revisionisti moderni per fare affermare su scala planetaria la via dell'Ottobre applicata secondo le condizioni specifiche di ciascun paese.

LA CONCEZIONE DELLA RIVOLUZIONE

Guevara aveva una concezione trotzkista della rivoluzione, del tutto simile alla famigerata teoria della ``rivoluzione permanente'', già denunciata e smascherata da Lenin e Stalin. A suo dire la rivoluzione deve essere fatta contemporaneamente in tutti o in più paesi, deve avere subito un carattere socialista e può essere esportata.

Mancando di una visione materialistica dialettica e storica e ignorando persino l'esperienza concreta delle rivoluzioni storiche e di quelle allora in atto, non era in grado di capire le diverse fasi della rivoluzione, di distinguere i vari tipi di rivoluzione -- da quella democratico borghese a quella socialista, alla guerra di liberazione nazionale --, di saper fare delle alleanze adeguate alle diverse fasi e ai vari tipi delle rivoluzioni e di coinvolgere in questo quadro le borghesie nazionali antimperialiste.

In uno scritto del '63 afferma: ``Di fronte a questo panorama americano sembra difficile che la vittoria possa ottenersi e consolidarsi in un paese isolato... In tutti i paesi in cui la repressione giunge a livelli insopportabili, bisogna issare la bandiera della ribellione e, per necessità storiche, questa bandiera avrà caratteristiche continentali. La Cordigliera delle Ande è chiamata a diventare la Sierra Maestra d'America, come ha detto il compagno Fidel Castro, e tutti gli immensi territori di questo continente diventeranno il teatro di una lotta a morte contro il potere imperialista''(16).

In una famosa lettera inviata alla ``Tricontinentale'', un'organizzazione internazionale promossa ed egemonizzata da Castro e che coordinava certe forze ``rivoluzionarie e antimperialiste'' di Asia, Africa e America Latina, rilancia, approfondisce e sviluppa tali concetti nel tentativo di dettare la linea al movimento rivoluzionario mondiale. Nonostante che fosse già fallita la sua guerriglia in Congo, e quella in Bolivia, dove allora si trovava, non riuscisse a decollare.

Nella lettera, divenuta immediatamente il manifesto del trotzkismo internazionale e degli ``ultrasinistri'' in genere, si legge: ``Le borghesie nazionali (in America Latina, n.d.a.) hanno perso ogni capacità di opporsi all'imperialismo (se mai l'ebbero sul serio) e ne costituiscono, anzi, il vagone di coda. Non c'è alternativa ormai: o rivoluzione socialista o caricatura della rivoluzione...

Nell'America Latina si lotta con le armi alla mano in Guatemala, Colombia, Venezuela e Bolivia e già spuntano i primi focolai di lotta in Brasile... Però quasi tutti i paesi di questo continente sono maturi per una lotta di natura tale, che per riuscire vittoriosa, non può che proporsi l'instaurazione di un governo di tipo socialista... Da tempo abbiamo sostenuto che, date le analogie, la lotta in America acquisterà, ad un certo punto, dimensioni continentali... Nuovi focolai di guerra sorgeranno in questi e altri paesi americani, come è successo in Bolivia, e si svilupperanno con tutte le vicissitudini che questo pericoloso mestiere di rivoluzionario moderno comporta. Molti moriranno vittime dei loro errori...

L'America, il continente dimenticato dalle ultime lotte politiche di liberazione, che comincia ora a farsi sentire, attraverso la tricontinentale, con la voce della avanguardia dei suoi popoli, che è la rivoluzione cubana, avrà un compito molto più grande: la creazione del secondo o terzo Vietnam (alludeva alla potente e vittoriosa guerra di liberazione nazionale allora in atto in Vietnam, n.d.a.), o del secondo e terzo Vietnam del mondo.

Bisogna, in definitiva, tener presente che l'imperialismo è un sistema mondiale, ultima tappa del capitalismo, e che occorre sconfiggerlo in un grande confronto mondiale...

Le nostre aspirazioni, in sintesi, sono queste: distruzione dell'imperialismo mediante l'eliminazione del suo baluardo più potente: il dominio imperialista degli Stati Uniti d'America. Come obiettivi tattici assumiamo la liberazione graduale dei popoli, a uno a uno, o per gruppi, attirando il nemico in una lotta difficile fuori dal suo terreno, liquidando le sue basi di appoggio: i territori dipendenti...

Come potremmo guardare a un futuro luminoso e vicino se due, tre, molti Vietnam sbocciassero sulla superficie del globo, con le loro parti di morti e di immense tragedie, con il loro eroismo quotidiano, con i loro ripetuti colpi all'imperialismo, con l'obbligo, per esso, di disperdere le sue forze sotto l'urto del crescente odio dei popoli del mondo!"(17).

Mai prima di allora, ma anche successivamente, idealismo, soggettivismo, spontaneismo, volontarismo, avventurismo, fantasia e lirismo avevano pervaso in simile misura il cervello di un piccolo borghese rivoluzionario.

Guevara arriva a tanto ispirato dalla lezione che aveva appreso da Trotzki il quale, nel '29, così sistematizzava la sua teoria controrivoluzionaria e antimarxista-leninista: ``La teoria della rivoluzione permanente, rinata nel 1905,... dimostrava che nella nostra epoca l'assolvimento dei compiti democratici nei paesi borghesi arretrati, porta questi paesi direttamente alla dittatura del proletariato e che questa dittatura mette all'ordine del giorno i compiti socialisti. Questa l'idea fondamentale della teoria. Mentre secondo l'opinione tradizionale la via verso la dittatura del proletariato doveva passare attraverso un lungo periodo di democrazia, la teoria della rivoluzione permanente proclamava che nei paesi arretrati la via verso la democrazia passava attraverso la dittatura del proletariato... Così diveniva permanente il processo rivoluzionario dalla rivoluzione democratica alla trasformazione socialista della società...

La rivoluzione proletaria può rimanere entro un quadro nazionale solo come regime provvisorio, anche se questo regime si prolunga, come dimostra l'esempio dell'Unione Sovietica...

Se lo Stato proletario continuasse a restare nell'isolamento, finirebbe col soccombere alle proprie contraddizioni. La sua salvezza risiede unicamente nella vittoria del proletariato dei paesi avanzati... La rivoluzione mondiale, nonostante i ripiegamenti e i riflussi temporanei, costituisce un processo permanente''(18).

Guevara nei suoi scritti e discorsi, da noi conosciuti, nasconde la sua dipendenza ideologica da Trotzki, ma l'influenza di questi nel suo pensiero e nella sua opera è più che evidente. Certo è che lo leggeva e si ispirava a Trotzki. In Bolivia, come dice lui stesso nel suo diario, aveva con sé il volume ``Storia della rivoluzione russa'' di Trotzki, e si rammaricava di averlo perso durante uno scontro a fuoco.

Che differenza con Lenin che leggeva le opere di Marx ed Engels sullo Stato e la rivoluzione mentre preparava la Rivoluzione russa, e con Mao che nella base rossa di Yenan leggeva ``I principi del leninismo'' di Stalin!

L'INTERNAZIONALISMO PROLETARIO

I trotzkisti e i neorevisionisti sono riusciti a far penetrare tra i giovani un'immagine di Guevara di autentico internazionalista proletario. Ma se andiamo a vedere come stanno effettivamente le cose ci accorgiamo che si tratta di una falsa immagine. Non è sufficiente morire per una causa in cui si crede. Per essere definiti internazionalisti proletari occorre che questa causa sia giusta, ma anche la linea che si persegue e le azioni che si compiono devono essere giuste.

Sul piano concettuale, l'internazionalismo di Guevara è tutt'altro che proletario. Non a caso lo chiama ``Internazionalismo rivoluzionario'' e non proletario nel comunicato n. 4 ``al popolo boliviano'', che diffonde quando si trova in Bolivia.

La sua concezione internazionalista è umanitaria, ecumenica, interclassista, assolutamente estranea al marxismo-leninismo-pensiero di Mao, ed è mutuata da Martí. Lo dimostrano queste sue parole: ``Dobbiamo praticare il vero internazionalismo proletario, sentire come un'offesa personale qualsiasi aggressione, qualsiasi offesa, qualsiasi azione che vada contro la dignità dell'uomo, contro la sua felicità in qualsiasi parte del mondo...

Dobbiamo tenere sempre alta la stessa bandiera di dignità umana che alzò il nostro Martí, guida di molte generazioni, presente oggi con la sua freschezza di sempre nella realtà di Cuba: `ogni uomo vero deve sentire sulla propria guancia lo schiaffo dato sulla guancia di qualsiasi uomo' (citazione di Martí, n.d.a.)''(19).

Quando poi passa alle proposte su scala internazionale, casca subito nell'avventurismo e nella provocazione. Ecco un brano della sua lettera alla ``Tricontinentale'' che fa rizzare i capelli: ``Bisogna sviluppare un autentico internazionalismo proletario, con eserciti proletari internazionali in cui la bandiera sotto la quale si lotta sia la causa sacra della redenzione dell'umanità, di modo che morire sotto le insegne del Vietnam, del Venezuela, Guatemala, Laos, Guinea, Colombia, Bolivia, Brasile, per non citare che gli attuali teatri della lotta armata, sia ugualmente glorioso e desiderabile per un americano, un asiatico, un africano e anche un europeo''(20).

Sul piano pratico, l'internazionalismo di Guevara è funzionale all'egemonismo, allo sciovinismo e al colonialismo di Cuba, ne fosse egli consapevole o meno. L'esportazione della guerriglia in Congo e in Bolivia, in ultima analisi, non era infatti che una penetrazione di Cuba in quei paesi. Questo disegno apparirà più chiaro negli anni successivi quando Castro invierà ``aiuti'' militari e truppe armate ai regimi filosovietici dell'Africa, come erano allora quelli dell'Angola e dell'Etiopia.

IL REVISIONISMO MODERNO

Negli anni vissuti da Guevara come un rivoluzionario -- dal '56 al '67 --, l'allora movimento comunista internazionale e il campo socialista erano scossi da una lotta titanica dei marxisti-leninisti contro i revisionisti moderni in difesa del socialismo, della teoria rivoluzionaria proletaria, della rivoluzione mondiale e per sviluppare la lotta dei popoli contro l'imperialismo.

A Mosca, nel '57 e nel '60, si erano svolte due conferenze internazionali, la prima di un gruppo ristretto di Partiti comunisti e la seconda di ben 81 Partiti comunisti, per trattare la questione del revisionismo e i problemi inerenti la lotta rivoluzionaria. Il revisionismo era stato additato da tutti come il pericolo principale, anche se la maggior parte lo aveva fatto solo a parole. Da entrambe le parti, da quella marxista-leninista e da quella revisionista mascherata si parlava e si lottava in nome della lotta contro il revisionismo e in difesa del marxismo-leninismo. Nessuno osava definirsi revisionista e accettava di essere accusato di revisionismo. Il revisionismo, allora, era considerato da tutti, anche dagli stessi revisionisti, un marchio infamante.

Si trattava di una lotta simile e della stessa portata storica, ideologica e politica di quella di Lenin e Stalin all'inizio del secolo contro la socialdemocrazia. Una lotta che richiedeva l'unità militante e il concorso attivo di tutti i veri marxisti-leninisti del mondo, ma che è stata disertata da Guevara. Anzi costui ha fatto di peggio, a fianco di Castro e sotto la sua direzione, ha spostato l'attenzione dei movimenti rivoluzionari dal conflitto ideologico e politico al guerriglismo, sottraendo e disperdendo così delle forze che potevano dare un forte contributo al trionfo del marxismo-leninismo sul revisionismo moderno.

In particolare, anziché smascherare ideologicamente i partiti revisionisti filosovietici dell'America Latina e contribuire alla nascita e allo sviluppo di Partiti marxisti-leninisti, egli opportunisticamente non si è impegnato su questo fronte lasciando i sinceri comunisti e le masse rivoluzionarie in balia dei revisionisti e lanciandosi, ed esortando gli altri ad imitarlo, in azioni guerrigliere di piccolo gruppo avventuristiche e senza sbocco. Che si possono paragonare, per certi aspetti, a quelle delle sedicenti ``Brigate rosse''. Solo che queste si muovevano nelle città ed erano dirette contro singole autorità borghesi e quelle invece si svolgevano in montagna ed erano dirette contro l'esercito governativo.

Nonostante si fosse incontrato a Pechino con Mao nel novembre 1960 e che avesse visto con i propri occhi i preparativi, e poi l'esplosione, della Grande rivoluzione culturale proletaria in Cina, egli rimane completamente sordo a ogni richiamo proletario rivoluzionario e alla necessità della lotta contro il revisionismo moderno, senza la quale è impossibile combattere il capitalismo e l'imperialismo, fare, sviluppare e vincere la rivoluzione.

A quanto ci risulta, nelle sue opere, scritte e orali, il revisionismo è citato una sola volta, ma in modo generico, non qualificato, di sfuggita e riferito esclusivamente alla necessità di creare un ``uomo nuovo'' a Cuba.

In quell'intervento, era il marzo '65 e già Breznev era succeduto da tempo a Krusciov, egli vede il pericolo del dogmatismo e delle ``debolezze'' e non quello del revisionismo di destra. Infatti dice: ``Nelle attuali circostanze vi sono dei pericoli. Non solo esiste il pericolo del dogmatismo... ma esiste anche il pericolo delle debolezze (quella della corruzione, n.d.a.) nelle quali si può cadere''(21).

Per un calcolo egemonico e nel tentativo di creare una centrale internazionale, un terzo polo, che facesse capo a Cuba e che fosse capace di coinvolgere anche il Vietnam del Nord e la Repubblica popolare di Corea, egli dichiara apertamente di non volersi schierare nel conflitto tra Cina e Urss, cioè nel conflitto tra marxismo-leninismo e revisionismo, e invita tutti i movimenti rivoluzionari del mondo a fare altrettanto.

Una prima volta lo fa a New York, in un'intervista concessa alla CBS il 14 dicembre 1964, in cui dice: ``C'è un conflitto (tra Urss e Cina, n.d.a.), un conflitto ideologico che tutti conosciamo. Abbiamo dichiarato la nostra posizione nel senso dell'unità dei paesi socialisti. (Ricordiamo che Mao aveva già detto pochi mesi prima che l'Urss non era più un paese socialista, ma una `dittatura della borghesia, una dittatura di tipo fascista tedesco, una dittatura di tipo hitleriano', n.d.a.). L'unità è la prima misura -- continua Guevara -- e sosteniamo sempre che l'unità è necessaria... Non prendiamo parte alla controversia perché ci sono problemi molto specifici''(22).

Quasi tre anni dopo, in sede della ``Tricontinentale'', rilancia lo stesso discorso, aggravandolo. ``è l'ora di appianare le nostre divergenze, egli afferma, e porre tutto al servizio della lotta. Che grandi controversie agitino il mondo che lotta per la libertà, tutti lo sappiamo e non possiamo nasconderlo. Che abbiano assunto un carattere e una acutezza tali che il dialogo e la conciliazione appaiono estremamente difficili, se non impossibili, pure lo sappiamo...

Data la virulenza e l'intransigenza con cui ognuno difende la propria causa, noi diseredati non possiamo prendere posizione, per l'una o l'altra forma di manifestazione delle divergenze, anche se a volte conveniamo con alcune affermazioni dell'una o dell'altra parte, o, in maggior misura, con quelle di una parte piuttosto che dell'altra''(23).

Nella stessa occasione, contro l'evidenza dei fatti, arriva addirittura a mettere sullo stesso piano la Cina di Mao e l'Urss di Breznev causando un danno incalcolabile alla causa del socialismo. Queste le sue parole veramente imperdonabili: ``Sono altrettanto colpevoli coloro (l'Urss, n.d.a.) che nel momento decisivo esitarono a fare del Vietnam una parte inviolabile del territorio socialista, correndo sì il rischio di una guerra mondiale, ma obbligando a una decisione gli imperialisti Usa. E sono colpevoli coloro (la Cina, n.d.a.) che continuano una guerra di insulti e colpi di spillo, iniziata già da tempo dai rappresentanti delle due massime potenze del campo socialista. Chiediamo, esigendo una risposta onesta: si trova o no isolato il Vietnam, in pericoloso equilibrio fra le due potenze in lotta?''(24).

Un discorso questo che manda in visibilio i trotzkisti e gli opportunisti di ``sinistra'' di tutte le risme e che viene immediatamente esaltato e diffuso in Italia dal magnate ``ultrasinistra'' Giangiacomo Feltrinelli, dall'editore trotzkista Giulio Savelli ora di Forza Italia, e in Europa e nel mondo dal provocatore Réges Debray, già socialista francese, amico di Castro e Guevara, sospetto agente dei servizi segreti francesi diventato poi ``consigliere'' di Mitterrand, quand'era presidente della Repubblica, ed ora simpatizzante di Chirac, successore di Mitterrand.

Finalmente i falsi rivoluzionari, e la piccola borghesia rivoluzionaria, avevano trovato in Guevara quella nuova bandiera di cui avevano bisogno per abbattere le bandiere di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao.

LA CLASSE OPERAIA E IL PARTITO

Nelle teorizzazioni di Guevara c'è poco posto per la classe operaia e per il partito della classe operaia. Le sue attenzioni maggiori sono tutte rivolte all'uomo e all'``avanguardia guerrigliera'', non alla classe operaia e al suo partito. Come il papa e gli ideologi borghesi, egli incentra il suo discorso sull'uomo in generale, non curandosi della sua origine e collocazione di classe. ``La nostra missione -- egli afferma -- è quella di sviluppare l'uomo e ciò che di nobile vi è in ciascuno''(25). Conseguentemente si adopera per dare alle nuove generazioni un'educazione umanitaria. In un raduno dei giovani comunisti dà loro questa consegna: ``Ogni giovane comunista deve essere profondamente umano, così umano da rasentare la perfezione, elevare l'uomo mediante il lavoro, lo studio, l'esercizio della solidarietà continua con il proprio popolo e con tutti i popoli del mondo; sviluppare al massimo la propria sensibilità fino a sentirsi angosciato quando un uomo viene assassinato in qualsiasi angolo del mondo''(26).

Quando parla dell'uomo sembra proprio di sentir parlare il papa, perfino in certe invocazioni. Come quando chiude la lettera dal titolo ``Il socialismo e l'uomo a Cuba'' con questa stupefacente battuta: ``Accetta il nostro saluto rituale, come una stretta di mano o un `Ave Maria Purissima'''(27).

In questa lettera troviamo altre perle del tipo: ``L'ultima e più importante ambizione rivoluzionaria è vedere l'uomo liberato dalla sua alienazione... l'uomo nel socialismo... raggiungerà la piena coscienza del suo essere sociale, il che equivale alla sua piena realizzazione come creatura umana, rotte le catene dell'alienazione. Questo si tradurrà in concreto nella riacquisizione della propria natura per mezzo del lavoro liberato, e nell'espressione della propria condizione umana attraverso la cultura e l'arte...

Da molto tempo l'uomo cerca di liberarsi dall'alienazione per mezzo della cultura e l'arte. Egli muore ogni giorno durante le otto e più ore in cui agisce come merce, per poi risuscitare nella sua creazione spirituale. Però questo rimedio reca con sé i germi della sua malattia: è un essere solitario colui che cerca la comunione con la natura. Difende la sua individualità oppressa dall'ambiente, e reagisce di fronte alle idee estetiche come un essere unico la cui aspirazione è rimanere immacolato...

è l'uomo del XXI secolo quello che dobbiamo creare, sebbene questa sia ancora un'aspirazione soggettiva e non sistematizzata...

Il compito del rivoluzionario d'avanguardia è nello stesso tempo magnifico e angoscioso. Lasciami dire, a rischio di sembrare ridicolo, che il vero rivoluzionario è guidato da grandi sentimenti di amore... I nostri rivoluzionari d'avanguardia devono idealizzare questo amore per l'umanità, per le cause più sante, e farlo unico, indivisibile. Non possono scendere con la loro piccola dose di amore quotidiano nei luoghi ove l'uomo comune lo esercita...

Bisogna possedere una grande dose di umanità, una grande dose di senso della giustizia e della verità per non cadere in eccessi dogmatici, in freddi scolasticismi''(28).

Guevara, in ultima analisi, parlando dell'uomo, secondo schemi umanitari borghesi, idealistici e non materialistici, in realtà parlava dei problemi dei piccoli borghesi e alludeva alle libertà democratico borghesi che voleva esistessero nel socialismo.

Egli dimostra di avere più confidenza con i problemi esistenziali, che con quelli della classe operaia di cui ignora completamente le caratteristiche, il ruolo, le funzioni e i compiti. Non avendo avuto la classe operaia cubana -- anche per responsabilità del vecchio partito comunista cubano revisionista e filosovietico -- un ruolo egemone e fondamentale nella rivoluzione e nella costruzione del socialismo a Cuba, egli non la comprende, non la considera e non la valorizza più di tanto. Qualche volta addirittura l'attacca, come quando afferma: ``In questa fase (quella dell'industrializzazione, n.d.a.), il ruolo della classe operaia diventa decisivo. O la classe operaia comprende perfettamente tutti i suoi doveri e l'importanza decisiva di questo momento, e vinciamo; o non la comprende, e l'industrializzazione resterà uno dei tanti tiepidi tentativi fatti in America per sottrarsi al giogo coloniale...

Resta però ancora nella classe operaia molto di quella mentalità che si limitava a mettere in luce una sola differenza, da un lato l'operaio e dall'altro il padrone, una mentalità semplicistica che conduceva tutte le analisi a quell'unica grande divisione: operai e padroni''(29).

Circa i compiti della classe operaia nel socialismo, egli li riduce sostanzialmente a uno solo: lavorare per creare più ricchezza. Qual è allora la differenza tra socialismo e capitalismo? Ecco le sue testuali parole: ``Riassumendo, e, se me lo permettete, ribadendoli ancora una volta, i doveri della classe operaia sono: produrre, ricordandoci che cosa significa produrre, senza licenziamenti; produrre di più, per creare più ricchezze che si trasformeranno in maggiori fonti di lavoro; risparmiare tutto il possibile, non solo a livello statale, ma in qualsiasi settore in cui l'economia significhi veramente una economia nazionale; intensificare la vigilanza rivoluzionaria per scoprire, ed è ciò che importa, nuove risorse e nuovi modi di lavorare che consentano di risparmiare a vantaggio della nazione; organizzarsi, organizzarsi per poter compiere lo sforzo più produttivo nell'impegno collettivo della industrializzazione''(30).

L'esercizio del potere politico da parte della classe operaia non faceva parte dei piani immediati di Guevara. A un anno e sei mesi dalla vittoria della rivoluzione ancora la classe operaia non era al potere e Guevara si propone di darglielo in un futuro non definito.

``Il consejo técnico asesor (il consiglio di consulenza tecnica, n.d.a.) è poi il laboratorio sperimentale -- dice Guevara -- in cui la classe operaia si prepara per i grandi compiti futuri della direzione generale del paese... L'amministratore rivoluzionario (delle imprese pubbliche, n.d.a.) deve lavorare perché i suoi tecnici rimangano nel paese, realizzino un cambiamento ideologico che permetta loro non solo di lavorare, ma di lavorare con entusiasmo per la rivoluzione, e deve cercare di farli identificare con la classe operaia che è la classe chiamata a reggere le sorti del paese nel prossimo futuro''(31). Questo ``prossimo futuro'' però è passato invano perché la classe operaia non è mai andata effettivamente al potere a Cuba.

Che Guevara non avesse fiducia nella classe operaia è dimostrato anche dal fatto che egli non mette mai in primo piano il partito della classe operaia, cioè il partito marxista-leninista. Non ne ha coscienza, non ne capisce l'importanza. Ne parla poco e quando ne parla ne stravolge i contenuti, le caratteristiche, il ruolo e la composizione, cercando di adattarlo ai canoni borghesi, trotzkisti e anarchici. Lo testimoniano le seguenti affermazioni, che vanno però lette attentamente alla luce degli insegnamenti di Lenin, Stalin e Mao sul Partito, altrimenti non si riesce a rilevare le contraddizioni con esse: ``Il partito del futuro -- sostiene Guevara -- sarà intimamente legato alle masse, e assorbirà da esse le grandi idee che poi si plasmeranno in direttive concrete; un partito che applicherà rigidamente la propria disciplina secondo le regole del centralismo democratico e, nello stesso tempo, un partito in cui esistano sempre la discussione, la critica e l'autocritica aperte, per migliorare continuamente il lavoro. Sarà in questa fase un partito di quadri, degli uomini migliori, e questi ultimi dovranno adempiere al loro compito dinamico a stare al contatto col popolo, di trasmettere le esperienze alle sfere superiori, di trasmettere alle masse le direttive concrete e mettersi in cammino alla testa di esse. Primi nello studio, primi nel lavoro, primi nell'entusiasmo rivoluzionario, primi nel sacrificio; in ogni momento i quadri del nostro partito debbono essere più buoni, più puri, più umani di tutti gli altri...

Il marxismo non è una macchina automatica e fanatica, diretta, come un siluro, mediante autocomandi verso un obiettivo determinato. Di questo problema si occupa espressamente Fidel (Castro, n.d.a.) in uno dei suoi interventi: `Chi ha detto che il marxismo è rinuncia ai sentimenti umani, al cameratismo, all'amore per il compagno, alla considerazione per il compagno? Chi ha detto che il marxismo è non avere anima, non avere sentimenti? Se fu proprio l'amore per l'uomo che generò il marxismo; fu l'amore per l'uomo, per l'umanità, fu il desiderio di combattere l'infelicità del proletariato, il desiderio di combattere la miseria, l'ingiustizia, il calvario e il continuo sfruttamento subito dal proletariato, che fa sorgere nella mente di Karl Marx il marxismo, esattamente quando il marxismo poteva sorgere, quando poteva sorgere una possibilità reale e, più che una possibilità reale, la necessità storica della rivoluzione sociale di cui fu interprete Karl Marx. Ma che cosa lo fece essere quell'interprete, se non la ricchezza dei sentimenti umani di uomini come lui, come Engels, come Lenin?'''(32).

In verità a Guevara non andava proprio giù l'idea di assegnare al partito della classe operaia il ruolo dirigente della rivoluzione cubana. La concezione del Partito marxista-leninista non faceva parte del suo bagaglio culturale e della sua esperienza pratica. Il fatto che la rivoluzione cubana era stata fatta senza la direzione del partito della classe operaia gli era rimasto talmente impresso da convincerlo che tale partito non sia assolutamente necessario per la rivoluzione e che il suo ruolo possa essere assolto dall'``avanguardia guerrigliera''.

Questa concezione era in lui così radicata da spingerlo a teorizzarla, a generalizzarla e a propagandarla come un modello universale, in particolare per l'America Latina. Di fatto, se non nelle intenzioni, si pretendeva di far passare un'eccezione come una regola, buttando all'aria un patrimonio rivoluzionario comune a tutto il proletariato mondiale ormai acquisito e provato con successo in più paesi.

Guevara coglie così tutte le occasioni utili, all'interno e all'esterno di Cuba, per propagandare a perdifiato la sua linea guerrigliera. Rientrato a Cuba, dopo aver visitato dall'ottobre al dicembre 1960 diversi paesi socialisti dell'Europa e dell'Asia, tra cui la Cina e l'Urss, non tiene minimamente conto dei risultati della Conferenza degli 81 Partiti comunisti appena conclusasi a Mosca, risultati che esaltano il ruolo dei Partiti comunisti e indicano il revisionismo come pericolo principale, e ancora una volta riafferma la sua teoria del ruolo dirigente dell'``avan-guardia guerrigliera''.

``Noi riteniamo, egli dice, che la rivoluzione cubana abbia dato tre contributi fondamentali, già noti, cose non nuove, che si sono verificate anche in altri paesi, ma che noi mettiamo in pratica per la prima volta in America, riscoprendoli, in quanto non avevamo conoscenze esatte, teoriche, di contributi da altre parti.

Noi pensiamo che il focolaio insurrezionale acceleri la creazione delle condizioni oggettive e soggettive necessarie per la presa del potere; crediamo anche, ponderatamente, non è cioè un fatto di fede, che la rivoluzione deve farsi nei paesi sottosviluppati d'America, basandosi, fondamentalmente, sulla classe contadina; in quasi tutti, naturalmente, questa non è un'asserzione di carattere assoluto, ma riguarda i paesi d'America in generale, questo sì, e che, partendo dai nuclei rurali, da piccoli gruppi, diventando più numerosi attraverso la lotta e impadronendosi delle città dalla campagna sarà possibile raggiungere la vittoria''(33).

Con ciò si ritorna al punto di partenza; all'esaltazione dell'individuo, del piccolo gruppo guerrigliero e non della classe operaia e del suo partito. L'esperienza cubana avrebbe dimostrato la non necessità del partito. Perché allora affidare al partito quel ruolo che possono svolgere le ``personalità''? ``La personalità -- sostiene Guevara -- ha il ruolo di mobilitazione e di direzione poiché incarna le più alte virtù e aspirazioni del popolo, e non si allontana dalla giusta rotta''Ä(34)É. Insomma che bisogno c'è del partito quando ci sono delle ``personalità'' come Guevara e Castro?

Le prime cellule del partito di Castro, in cui confluiranno il vecchio partito comunista revisionista, il Movimento del 26 luglio, il Direttorio rivoluzionario e il partito socialista popolare, vengono create nel 1962. Questo partito in un primo momento si chiama Organizzazione rivoluzionaria integrata, poi Partito unito della rivoluzione socialista di Cuba e infine Partito comunista di Cuba.

Il primo Comitato centrale e il primo Ufficio politico di questo partito vengono costituiti ufficialmente il 1· ottobre 1965. Il primo congresso del Partito comunista di Cuba si svolge nel dicembre 1975, ben 17 anni dopo la vittoria della rivoluzione cubana. Sono presenti quasi tutti i partiti revisionisti del mondo, compreso quelli della Jugoslavia e dell'Italia, ma non il Partito comunista cinese che non invia nemmeno un messaggio di saluto. Nei discorsi ufficiali di Fidel Castro e Raul Castro Ruz si sprecano gli osanna all'Urss revisionista e socialimperialista, mentre molti sono gli attacchi indiretti a Mao.

IL SOCIALISMO A CUBA

Il 16 aprile 1961 Castro proclama ufficialmente il carattere socialista della rivoluzione cubana, in risposta all'invasione mercenaria di Play Girón promossa e appoggiata dall'imperialismo Usa capeggiato da Kennedy. L'inizio della rivoluzione socialista viene fatto risalire all'ottobre 1960.

Nella costruzione del socialismo Guevara occupa posti e svolge funzioni di fondamentale importanza nelle relazioni estere, in campo militare e soprattutto sul fronte economico. Nel settembre del '59 viene nominato Capo del Dipartimento dell'industrializzazione dell'Istituto nazionale della riforma agraria, due mesi dopo diventa Presidente della Banca nazionale e nel febbraio del '61 è nominato ministro dell'industria.

Anche in questa fase, egli continua a essere la spalla di Castro. Ne riconosce apertamente l'autorità e la direzione. Ne condivide la politica interna ed estera. Appoggia tutte le sue decisioni, inclusi l'alleanza subalterna prima con Krusciov, il restauratore del capitalismo in Urss, e poi con Breznev, l'installazione avventuristica dei missili sovietici a Cuba e la rottura con la Cina di Mao. Ne è il portavoce e l'apripista. Tra i due c'era una perfetta intesa e una calcolata divisione di compiti, in base ai diversi ruoli che ricoprivano nel partito e nello Stato.

Tutto ciò è documentato dalla lettera di commiato che Guevara scrisse a Castro, presumibilmente nel marzo-aprile 1965, poco prima di partire per la missione guerrigliera nel Congo ex belga attuale Zaire. In essa si legge: ``Il mio unico errore di una certa gravità è stato quello di non aver avuto fiducia in te fin dai primi momenti della Sierra Maestra e di non aver compreso con sufficiente rapidità le tue qualità di dirigente e di rivoluzionario.

Ho vissuto giorni magnifici e al tuo fianco ho sentito l'orgoglio di appartenere al nostro popolo nei giorni luminosi e tristi della crisi dei Caraibi (in conseguenza dell'installazione dei missili sovietici a Cuba, n.d.a.).

Poche volte uno statista ha brillato di una luce più alta che in quei giorni; mi inorgoglisce anche il pensiero di averti seguito senza esitazioni, identificandomi con la tua maniera di pensare e di vedere e di valutare i pericoli e i principì...

Ti ringrazio per i tuoi insegnamenti e per il tuo esempio a cui cercherò di essere fedele fino alle ultime conseguenze delle mie azioni; mi sono sempre identificato con la politica estera della nostra rivoluzione e continuo a farlo; dovunque andrò sentirò la responsabilità di essere un rivoluzionario cubano e come tale agirò''(35).

Guevara non aveva un'idea chiara e corretta della costruzione del socialismo. Anche in questo campo non tiene conto dell'esperienza storica del socialismo e della teoria marxista-leninista. Cosicché oscilla tra il revisionismo di destra e quello di ``sinistra''.

Da una parte intendeva applicare la dittatura del proletariato sulle masse sostenendo che ``è la dittatura del proletariato che si esercita non solo sulla classe sconfitta, ma anche su ogni individuo della classe vincitrice''(36). Mentre dall'altra, come Krusciov, voleva dare tutto il potere al popolo, anziché alla classe operaia, e perciò esaltava il fatto che a Cuba avanzava ``l'affermazione sempre più positiva del popolo come guida di questa na-zione; vale a dire, il popolo al potere''(37).

Egli forza i tempi, brucia le tappe anticipando volontaristicamente situazioni e realizzazioni non ancora mature e attuabili.

Sul piano economico sosteneva il superamento della legge del valore nel socialismo, quando invece essa è oggettivamente ancora attiva fin tanto che sussiste una qualche forma di produzione mercantile, di scambio per mezzo di compra-vendita. Come dimostra l'esperienza concreta del socialismo viventi Lenin, Stalin e Mao, la legge del valore è presente nel socialismo anche se non svolge un ruolo regolatore della produzione, che è svolto invece dalla pianificazione. Solo nel comunismo potrà essere superata completamente la legge del valore.

Idealisticamente e demagogicamente egli nega la legge del valore non solo a Cuba, non solo nel commercio tra i paesi socialisti, ma anche nel commercio tra questi e i paesi del Terzo mondo, in considerazione del fatto che ``il costo del progresso dei paesi sottosviluppati deve essere sopportato dai paesi socialisti''(38).

Certamente l'internazionalismo proletario non si può basare sulla legge del valore, ma non la può nemmeno ignorare, altrimenti si manda a gambe all'aria il socialismo in quattro e quattr'otto.

Le leggi oggettive per Guevara è come se non esistessero. Per lui tutto scaturisce dalla sola volontà dell'uomo. Bastano le intenzioni per avere quello che non c'è. Pure il comunismo. Ecco quanto ci dice in proposito: ``Noi abbiamo cominciato a parlare da poco tempo, ma nella rivoluzione del comunismo che è ora la nostra meta siamo relativamente molto giovani. Abbiamo compiuto appena cinque anni di rivoluzione. Non sono ancora passati tre anni dalla dichiarazione del suo carattere socialista. Siamo in pieno periodo di transizione, tappa preventiva di costruzione per passare al socialismo, e di qui alla costruzione del comunismo. Ma noi già ci siamo prefissi come obiettivo la società comunista. E qui di fronte ai nostri occhi -- non importa che la distanza sia molto grande e che il lungo cammino non possa essere percorso in un anno o due, tutti lo sappiamo -- sta già la società nuova, assolutamente nuova, senza classi, e quindi senza dittatura di classi''(39).

Egli era convinto che Cuba fosse l'avanguardia rivoluzionaria del mondo, e perciò voleva che fosse la prima a raggiungere in pochissimi anni quel traguardo da nessuno prima mai varcato, nemmeno dall'Urss di Lenin e Stalin in trentasei anni di socialismo. Tanto è vero che considerava Cuba come ``una collina che funge da avamposto, una collina che abbraccia la vastissima distesa di un mondo dell'economia distorta come l'America Latina, che lancia il suo messaggio e col suo esempio illumina tutti i popoli d'America. Cuba ha un grande valore strategico per i due contendenti che in questo momento si disputano l'egemonia sul mondo: l'imperialismo e il socialismo''(40).

LA GUERRIGLIA IN CONGO E IN BOLIVIA

Guevara correva tanto con la mente e la fantasia ed era talmente condizionato dai suoi sentimenti umanitari e piccolo borghesi e dalla sua formazione idealista e non marxista-leninista da staccarsi dalla realtà, fino al punto da esportare la guerriglia prima in Congo e poi in Bolivia, commettendo l'errore più grosso e imperdonabile ai danni della causa del socialismo, del proletariato e della rivoluzione.

Nelle storie delle rivoluzioni di qualsiasi tipo non si era mai visto che un manipolo di guerriglieri stranieri abbia fatto e vinto una rivoluzione a nome e per conto del popolo che si voleva liberare. E che questo popolo alla fine abbia sposato la causa dei liberatori stranieri.

Ma Guevara, novello Don Chisciotte, come lui stesso si autodefinisce nella lettera di commiato dell'aprile '65 ai suoi genitori già citata, vuole ``dimostrare'' personalmente le ``proprie verità'', che è possibile suscitare la rivoluzione del popolo attraverso l'azione di un gruppo di guerriglieri straniero. Invece va incontro a due clamorosi fallimenti che costituiscono la pietra tombale del guevarismo, una versione del trotzkismo degli anni '60 e '70.

Egli, tra l'altro, si muove sul terreno pratico non avendo alle spalle una teorizzazione sufficiente, credibile e corretta. Nemmeno il suo scritto del 1960 ``La Guerra di guerriglia'' può essere considerato soddisfacente e accettabile. Non vi si trova traccia dei potenti scritti militari di Mao.

Le indicazioni che egli dà sono esclusivamente di tipo militare, tecnico, pratico. Assolutamente carenti sui piani politico, strategico e tattico. Citiamone alcune perle.

Parlando dell'ideale del guerrigliero afferma: ``Questo ideale è semplice, puro, senza grandi pretese e, in generale, non va molto lontano: ma è così tenace e chiaro che è possibile sacrificargli la propria vita senza esitare minimamente.

Per la quasi totalità dei contadini, è il diritto di avere un pezzo di terra propria da coltivare e di godere di un trattamento sociale giusto. Per gli operai, è avere un lavoro, ricevere un salario adeguato e anche lui un trattamento giusto. Fra gli studenti e fra i professionisti si trovano idee più astratte, come il significato della libertà per la quale combattono''(41).

In un messaggio del '67 ai minatori boliviani sostiene che ``la lotta di massa nei paesi sottosviluppati, a maggioranza contadina e con un esteso territorio, deve essere sviluppata da una piccola avanguardia mobile: la guerriglia, radicata in seno al popolo. Essa andrà acquistando forza a spese dell'esercito nemico, e catalizzerà il fervore rivoluzionario delle masse fino a creare la situazione rivoluzionaria in cui il potere statale crollerà di un solo colpo, ben assestato e al momento opportuno''(42).

A un guerrigliero del Guatemala che lo salutava prima di lasciare Cuba non sa dargli altro che questo consiglio militare: ``Mi limitai a raccomandargli insistentemente tre punti: mobilità costante, diffidenza costante, vigilanza costante''(43).

Guevara era il teorizzatore e l'esportatore materiale del guerriglismo, ma dietro di lui c'era Castro, il quale condivideva le missioni in Congo e in Bolivia. Anzi ne era l'ispiratore. Lo testimonia lui stesso, in un'intervista rilasciata a Gianni Minà nel giugno 1987, con queste parole: ``Io stesso avevo suggerito al Che di prendere tempo con i progetti dell'America Latina, di aspettare... Così lo designammo responsabile del gruppo che andò ad aiutare i rivoluzionari dell'attuale Zaire... Dopo il periodo trascorso in Zaire il Che... non voleva più tornare a Cuba perché lo imbarazzava ritornare dopo la pubblicazione della sua lettera (di congedo da Castro, n.d.a.)...

Aveva scelto il territorio (in Bolivia, n.d.a.) e aveva elaborato il suo piano di lotta. Noi gli demmo la cooperazione e l'appoggio per mettere in atto l'idea...

Noi, con grande lealtà, abbiamo dato al Che tutto l'aiuto che ci aveva chiesto, i compagni che ci aveva chiesto, una collaborazione totale... Lo aiutammo, e aiutammo un'impresa che credevamo fosse possibile. Non avremmo potuto aiutare qualcosa di impossibile, qualcosa in cui non avessimo creduto... Il Che si comportò così e io condivisi le sue scelte''(44).

Le responsabilità delle due provocatorie avventure trotzkiste in terre straniere vanno quindi distribuite equamente fra entrambi i leader storici della rivoluzione cubana.

Per capire in che situazione si era cacciato Guevara, quanto egli fosse estraneo non solo al popolo congolese ma agli stessi rivoluzionari congolesi e le dimensioni del fallimento della sua missione, è sufficiente riportare un paio di brani che concludono il suo diario, reso pubblico e pubblicato di recente.

Il primo: ``Abbiamo continuato nel tentativo di arruolare con ogni mezzo i congolesi nel nostro piccolo esercito e di dargli rudimenti di istruzione militare, per cercare di salvare con quel nucleo la cosa più importante, l'anima, la presenza del sentimento rivoluzionario...

Verso di loro sentivo tutta l'impotenza che dà la mancanza di comunicazione diretta; avrei voluto infondergli tutto ciò che realmente provavo, ma quella sorta di trasformazione che era la traduzione, e forse lo stesso colore della mia pelle, annullavano ogni sforzo. In seguito a una delle loro frequenti trasgressioni (si erano rifiutati di lavorare, cosa che costituiva una caratteristica tipica), ho parlato loro in francese, infuriato; ho detto le cose più tremende che sono riuscito a trovare nel mio scarno vocabolario e, al colmo della rabbia, ho aggiunto che avrebbero fatto meglio a infilarsi una gonna e a caricare yucca con le ceste (un lavoro prettamente femminile), perché non servivano a nulla, avrei preferito formare un esercito di sole donne, che non con individui come loro; mentre il traduttore ripeteva il mio sfogo in swhili, tutti gli uomini mi hanno guardato e sono scoppiati a ridere fragorosamente''(45).

Il secondo brano, è quello dell'addio: ``Durante quelle ultime ore di permanenza in Congo mi sono sentito solo come mai prima, né a Cuba né in nessun'altro luogo dove mi avesse condotto il mio peregrinare. Potevo dire: `Mai come oggi, dopo tanto camminare, mi sono ritrovato così solo'...

Questa è la storia di un fallimento... I protagonisti e i relatori sono stranieri che hanno rischiato la vita in un territorio sconosciuto, dove si parla una lingua diversa e al quale li uniscono soltanto i legami dell'internazionalismo proletario, inaugurando un metodo non praticato nelle guerre di liberazione moderne... Più correttamente questa è la storia di una decomposizione...

Mi tocca a questo punto l'analisi più difficile, quella sul mio comportamento personale. Approfondendo fin dove ne sono stato capace l'autocritica, sono giunto alle seguenti conclusioni: dal punto di vista dei rapporti con i comandi della rivoluzione, sono stato ostacolato dalla maniera piuttosto anomala in cui ero entrato in Congo e non sono stato capace di superare tale inconveniente. Nei rapporti ho avuto un andamento incostante; per molto tempo ho tenuto un atteggiamento che potrebbe essere definito eccessivamente compiacente, e a volte mi sono lasciato andare a esplosioni di rabbia che ferivano; forse questa è una mia caratteristica innata...

In quanto ai contatti con i miei uomini credo di essermi sufficientemente sacrificato perché nessuno possa imputarmi nulla dal punto di vista personale e fisico, ma in Congo le mie due debolezze fondamentali venivano soddisfatte: il tabacco, che mi è mancato ben poco, e la lettura, che è stata sempre abbondante... Soprattutto il fatto di ritirarmi a leggere, fuggendo i problemi quotidiani, tendeva ad allontanarmi dal contatto con gli uomini, senza contare che ci sono certi aspetti del mio carattere che non rendono facile l'intimità con gli altri...

Sono ricorso a metodi che non si usano in un esercito regolare, come il lasciare gli uomini senza mangiare; è l'unico sistema efficace che conosco in situazioni di guerriglia. All'inizio ho preteso di applicare coercizioni morali, e ho fallito. Ho tentato di fare in modo che gli uomini avessero il mio stesso punto di vista, e ho fallito; non ero preparato a guardare con ottimismo a un futuro che bisognava intravedere tra brume tanto scure come quelle del presente.

Non ho avuto il coraggio di chiedere il massimo sacrificio nel momento decisivo. Era un ostacolo interno, psicologico. Per me era molto facile restare in Congo; dal punto di vista dell'amor proprio del combattente, era ciò che andava fatto; dal punto di vista della mia attitudine futura, anche se non fosse risultata la cosa più conveniente, in quel momento mi era indifferente. Quando valutavo la decisione, giocava contro di me sapere quanto mi sarebbe risultato facile scegliere il sacrificio. Ritengo che dentro di me avrei dovuto superare la zavorra di questa autocritica e imporre a un determinato numero di combattenti il gesto finale; in pochi, ma saremmo dovuti restare.

Infine, ha pesato nei miei rapporti con gli uomini, l'ho potuto toccare con mano, per quanto sia del tutto soggettivo, la lettera di commiato a Fidel. Questa ha fatto sì che i compagni vedessero in me, come tanti anni fa sulla Sierra, uno straniero in contatto con i cubani. Allora, ero quello appena arrivato, adesso, quello che se n'è andato via. C'erano cose che non avevamo più in comune, certi desideri ai quali avevo tacitamente ed esplicitamente rinunciato e che risultano i più sacri per ogni uomo preso individualmente: la sua famiglia, la sua terra, il suo ambiente. La lettera che aveva suscitato tanti elogi a Cuba e fuori, mi separava dai combattenti.

Forse potranno sembrare insolite queste considerazioni psicologiche nell'analisi di una lotta che ha dimensioni quasi continentali. Continuo a essere fedele al mio concetto di nucleo; io ero il comandante di un gruppo di cubani, niente più di una compagnia, ed il mio compito era quello di essere il loro capo reale, colui che li avrebbe portati alla vittoria promuovendo lo sviluppo di un autentico esercito popolare. Ma la mia particolare situazione mi rendeva al tempo stesso un soldato, il rappresentante di un potere straniero, istruttore di cubani e congolesi, stratega, politico d'alto bordo in uno scenario sconosciuto. E un Catone il Censore, ripetitivo e pedante, nei miei rapporti con i capi della rivoluzione. A forza di tirare tanti fili, si è formato un nodo gordiano che non ho avuto la risolutezza di tagliare. Se fossi stato un soldato più autentico avrei avuto maggiore influenza sugli altri aspetti delle mie complesse relazioni...

Ho imparato molto, in Congo. Ci sono stati errori che non commetterò più, forse altri ne ripeterò o ne commetterò di nuovi. Ne sono uscito con più fede che mai nella lotta guerrigliera, ma abbiamo fallito. La mia responsabilità è grande; non dimenticherò questa sconfitta né i suoi preziosi insegnamenti''(46).

E invece Guevara dimenticherà ben presto questa sconfitta e i suoi insegnamenti. Due anni dopo ripeterà gli stessi errori e riporterà lo stesso fallimento in Bolivia.

Il suo diario testimonia lo stato di isolamento totale in cui viene a trovarsi la guerriglia, che egli inizia con circa 38 uomini, per lo più cubani, rispetto al popolo e ai contadini boliviani. Quattro mesi prima della sconfitta definitiva scrive: ``Continua la mancanza totale di collegamenti, il che ci riduce a 24 uomini...; continua sempre la mancanza di reclutamento contadino''(47). Otto giorni prima di essere catturato, e barbaramente ucciso, scrive sconsolato: ``La massa contadina non ci aiuta per niente e i contadini si tramutano in delatori''(48).

E così viene ancora una volta tragicamente dimostrato che senza il popolo i rivoluzionari non sono niente e non possono fare niente. ``La guerra rivoluzionaria - rileva Mao - è la guerra delle masse ed è possibile condurla solo mobilitando le masse e facendo affidamento su di esse''(49). Ed ancora: ``Il popolo, e solo il popolo, è la forza motrice che crea la storia del mondo''(50). Infine: ``I veri eroi sono le masse, mentre noi siamo spesso infantili e ridicoli; se non comprendiamo questo, è impossibile acquistare una conoscenza sia pure rudimentale''(51).

Ignorare queste verità, comprovate dalla pratica, vuol dire andare incontro ai più grandi fallimenti storici.

LA BANDIERA DELLA VITTORIA

Se la nostra analisi è corretta, se è conforme ai fatti, come possono i giovani comunisti e i rivoluzionari riconoscersi in Guevara, prenderlo come modello e innalzare la sua bandiera?

Possono identificarsi in lui i trotzkisti, i neorevisionisti, gli anarchici, gli autonomi, i rivoluzionari da salotto, i piccoli borghesi ribelli, gli ``ultrasinistri'', non certo chi lotta effettivamente contro il capitalismo e l'imperialismo italiano, per il socialismo. Come si vede dalla pratica di certi gruppi e movimenti, seguendo quella bandiera non si fa fare un solo passo alla lotta di classe e non si fa nemmeno un graffio al regime neofascista, al suo governo Dini e ai suoi servi D'Alema, Prodi e Bertinotti. è comunque assurdo seguire una bandiera che porta alla sconfitta, al fallimento totale.

La storia del movimento operaio internazionale conosce una sola bandiera invincibile e sempre vittoriosa. è la grande bandiera rossa di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao.

Nel passato, alzando questa bandiera i popoli di tutto il mondo hanno assestato colpi devastanti al capitalismo, all'imperialismo, al colonialismo, al razzismo, al fascismo e al nazismo e conseguito splendide vittorie, e il socialismo ha trionfato in un terzo del mondo.

Nel presente, si può fare altrettanto. Si può sconvolgere di nuovo cielo e terra, riconquistare le posizioni perdute e andare ancora più avanti. Basta osare alzare di nuovo la bandiera rossa dei maestri e gettarsi in prima fila nella lotta di classe.

Oggi questa grande bandiera della vittoria la tiene alta e la propone solo il PMLI, e quindi è a questo Partito che bisogna dare tutta la propria forza intellettuale, politica e materiale e il proprio impegno politico e organizzativo affinché esso possa essere il punto di riferimento, di ispirazione, di raccolta e di mobilitazione di tutti gli sfruttati e gli oppressi del nostro Paese.

Lo devono fare in particolare le operaie e gli operai e le ragazze e i ragazzi che si battono in prima fila nei luoghi di lavoro, di studio e di vita. Spetta soprattutto a loro riempire di decine, centinaia, migliaia di bandiere dei maestri le piazze in lotta, sicuri che con i maestri e col PMLI vinceremo.

 

(Documento apparso su ``Il Bolscevico''

n. 36 del 12 ottobre 1995)


NOTE

 

1 - Mao, Sulla bozza di Costituzione della Repubblica popolare cinese, 14 giugno 1954, opere scelte, vol. 5·, Edizioni Einaudi, p. 169

2 - Guevara, Lettera ai genitori, 1 aprile 1965, in Scritti, discorsi e diari di guerriglia, Einaudi editore, p. 1455

3 - Guevara, La guerriglia a Cuba, 4 dicembre '59, ibidem, p. 10

4 - Roberto Massari, Ernesto Che Guevara. Uomo, compagno, amico..., Erre Emme, p. 29

5 - Guevara, Discorso di controreplica agli interventi dei delegati di Costa Rica, Nicaragua, Venezuela, Colombia, Panama e Stati Uniti alla XIX Assemblea generale delle Nazioni Unite, dicembre '64, in Scritti, discorsi e diari di guerriglia, Einaudi editore, p. 1405

6 - Guevara, Apologia di Martí, 28 gennaio 1960, ibidem, p. 747

7 - Guevara, Note per lo studio della ideologia della rivoluzione cubana, ibidem, p. 481

8 - Guevara, Lettere a Ernesto S-bato, 12 aprile 1960, ibidem, pp. 1442-1444

9 - Guevara, La formazione del programma sociale dell'esercito ribelle, 27 gennaio 1059, ibidem, p. 720

10 - Ibidem, p. 726

11 - Ibidem, p. 722

12 - Ibidem, p. 723

13 - Ibidem, pp. 728-729

14 - Guevara, La guerra di guerriglia, 1960, ibidem, p. 327

15 - Ibidem, p.348

16 - Guevara, La guerra di guerriglia è un metodo, settembre 1963, ibidem, p. 437

17 - Guevara, Messaggio alla Tricontinentale, reso pubblico all'Avana il 17 aprile 1967, ibidem, pp. 1466, 1469, 1470, 1471, 1474, 1475

18 - Trotzki, La rivoluzione permanente, 30 novembre 1929, Einaudi editore, pp. 23-24

19 - Guevara, Il partito marxista-leninista, 1963, in Scritti, discorsi e diari di guerriglia, Einaudi editore, p. 586

20 - Guevara, Messaggio alla Tricontinentale, già citato, ibidem, p. 1473

21 - Guevara, Il socialismo e l'uomo a Cuba, marzo 1965, ibidem, p. 714

22 - Guevara, Intervista concessa a New York alla CBS, 14 dicembre 1964, ibidem, p. 1412

23 - Guevara, Messaggio alla Tricontinentale, già citato, ibidem, pp. 1473-1474

24 - Ibidem, p. 1464

25 - Guevara, Curiamo i feriti, 29 aprile 1962, ibidem, p. 112

26 - Guevara, Che cosa deve essere un giovane comunista, ibidem, p. 1144

27 - Guevara, Il socialismo e l'uomo a Cuba, marzo '65, ibidem, p. 716

28 - Ibidem, pp. 707, 708, 709, 711, 714

29 - Guevara, Quando si trova di fronte un popolo deciso ad abbatterla, la potenza del colonialismo non è più così forte, 18 giugno 1960, ibidem, pp. 786-787

30 - Ibidem, p. 808

31 - Guevara, Discussione collettiva, decisione e responsabilità uniche, luglio 1961, ibidem, pp. 497 e 499

32 - Guevara, Il Partito marxista-leninista, 1963, ibidem, pp. 584-585

33 - Guevara, Viaggio nei paesi socialisti, 6 gennaio 1961, ibidem, pp. 938-939

34 - Guevara, Il socialismo e l'uomo a Cuba, op. cit., ibidem, p. 716

35 - Guevara, Lettera a Fidel Castro, presumibilmente marzo-aprile 1965, in Scritti, discorsi e diari di guerriglia, Einaudi editore, pp. 1453-1454

36 - Guevara, Il socialismo e l'uomo a Cuba, op. cit., ibidem, p. 706

37 - Guevara, Antonio Guiteras, 8 maggio 1961, in Scritti, discorsi e diari di guerriglia, Einaudi editore, p. 1007

38 - Guevara, Discorso al II Seminario economico afro-asiatico svoltosi ad Algeri, 24 febbraio 1965, ibidem, p. 1425

39 - Guevara, Discorso alla cerimonia di consegna dei certificati di lavoro comunista agli operai del ministero dell'industria per il lavoro volontario di duecentoquaranta ore extra, 11 gennaio 1964, ibidem, p. 1267

40 - Guevara, Tattica e strategia della rivoluzione Latino-Americana, ottobre 1962, ibidem, p. 548

41 - Guevara, La guerra di guerriglia, 1960, ibidem, p. 320

42 - Guevara, Messaggio ai minatori boliviani, 1967, ibidem, p. 1701

43 - Guevara, El Patojo, 19 agosto 1962, ibidem, p. 266

44 - Roberto Massari, op. cit., pp. 236, 237, 238, 248, 250

45 - A cura di Paco Ignacio Taibo II, Froil-n Escobar e Felix Guerra, L'anno in cui non siamo stati in nessuna parte, 1994, Ponte alle Grazie, pp. 201-203

46 - Ibidem, pp. 252, 253, 254, 255, 256

47 - Guevara, Diario di Bolivia, 30 giugno 1967, in Scritti, discorsi e diari di guerriglia, Einaudi editore, p. 1620

48 - Ibidem, p. 1681

49 - Mao, Preoccuparsi del benessere delle masse, fare attenzione ai metodi di lavoro, 27 gennaio 1934, Opere scelte, vol. 1, p. 157

50 - Mao, Sul governo di coalizione, 24 aprile 1945, Opere scelte, vol. 3, p. 213

51 - Mao, Prefazione e poscritto a ``Inchiesta sulle campagne'', marzo e aprile 1946, Opere scelte, vol. 3, p. 9